Nel calendario del campionato mondiale di Formula 1 vi è un evento che si distingue fra tutti: parliamo, naturalmente, del Gran Premio di Monaco.
Sulle strade cittadine di Montecarlo si corre dal 1929, quando il fondatore dell’Automobile Club de Monaco (ACM), Antony Noghès, organizzò all’interno del Principato la prima edizione di quello che sarebbe divenuto un evento irrinunciabile nell’ambito del motorsport. Il GP di Monaco accompagna la Formula 1 dal 1950, ovvero dagli albori della categoria regina dell’automobilismo, e giunge nel 2021 alla sua sessantasettesima edizione, dopo la mancata disputa dell’anno scorso. Il fascino, la tradizione, il glamour hanno da sempre caratterizzato il fine settimana monegasco, in un incontro ideale tra motori, lusso e stile.
Sotto il profilo tecnico e più squisitamente sportivo, la gara di Montecarlo è una delle prove più difficili e affascinanti in assoluto. Per adattare le vetture al tracciato, infatti, occorrono assetti del tutto particolari, ben studiati per tale occasione, in modo da dotarle di un carico aerodinamico alto che consenta ai piloti di affrontare la successione di curve strette mantenendo stabilità e controllo, oltre a una maggiore precisione in ingresso. La velocità di punta viene dunque penalizzata, ma è importante riuscire a essere performanti anche nei pochi tratti veloci, riconducibili sostanzialmente al rettilineo sul traguardo, al settore seguente alla curva di Sainte Dévote (che prende il nome dalla Patrona di Montecarlo, la cui chiesa si trova vicina a quella zona) con i cambi di direzione della Beau Rivage e di Massenet, e nel tratto del tunnel seguente alla curva del Portier. Se il posteriore della vettura deve essere perfetto, è altrettanto importante la confidenza sull’anteriore, poiché muri e delimitazioni laterali rappresentano la principale insidia per i piloti, che non possono permettersi alcun errore. Anche i rapporti delle marce sono più bravi del consueto, perché le cambiate sono frequenti nell’arco di un giro e ottimizzare la risposta del cambio consente di migliorare l’accelerazione, per fare la differenza nei tratti più lenti del circuito e per dosare la velocità in frenata sfruttando la trazione (la curva del Grand Hotel Hairpin, anche nota come Loews, è la più lenta dell’intero campionato, ma occorre mantenere una certa fluidità per affrontare subito dopo Mirabeau Bas e il già citato Portier, per poi sprigionare i cavalli sotto il tunnel).
Il Gran Premio di Monaco ha fatto la storia della Formula 1 e al traguardo hanno spesso trionfato grandissimi campioni. Scorrendo l’albo d’oro, il Re di Montecarlo (sportivamente parlando, non vogliamo certo essere accusati di lesa maestà nei confronti del Principe Alberto II) è Ayrton Senna, che ha vinto in ben sei occasioni sul tracciato cittadino. A quota cinque troviamo Michael Schumacher e Graham Hill, seguiti da Alain Prost con quattro successi. Lewis Hamilton, che non ha mai particolarmente amato sfrecciare tra le stradine monegasche, ha comunque ottenuto tre affermazioni, tante quante il suo ex compagno e rivale Nico Rosberg. Come costruttori, la McLaren detiene il record di vittorie (15), e precede Ferrari (9) e Lotus (7).
Di seguito, andremo a riscoprire cinque gare storiche nel Principato di Monaco, ben sapendo che sono decisamente di più le edizioni del Gran Premio che meriterebbero di essere celebrate. Ma questa vuole essere soprattutto un’occasione per rendere omaggio a un evento sportivo che ogni appassionato di motori non può non apprezzare.
1. È nata una stella (1984)
Il campionato 1984 aveva una squadra nettamente prevalente sulle altre: la McLaren-TAG Porsche, che nelle prime cinque prove aveva trionfato con Prost in Brasile e a Imola, e con Lauda in Sudafrica e in Francia. L’unico doppio ritiro si era verificato in Belgio, dove a vincere era stata la Ferrari di Alboreto. La Scuderia di Maranello era l’unica vera avversaria dei britannici, molto più della Renault, delle squadre motorizzate dal motore turbo francese (Ligier e Lotus) e dell’ancora acerba Williams-Honda.
Il GP di Monaco, sesta prova del Mondiale, si presentava dunque come un trionfo (quasi) annunciato per la McLaren, con la bilancia che pendeva più sul Professore francese, che per di più riuscì a conquistare la pole position al sabato, precedendo un rampante Nigel Mansell (Lotus) e le Ferrari di Arnoux e Alboreto. Alla domenica mattina, sul Principato si abbatté una fortissima pioggia, tanto da mettere in discussione la disputa della corsa per ragioni di sicurezza. Ma su quest’ultimo aspetto erano (ancora) altri tempi, e dopo alcune riunioni questa ipotesi venne scongiurata, decidendo solo per un rinvio rispetto all’orario previsto per la partenza, decidendo di bagnare il tratto coperto del tunnel per mantenere una condizione uniforme di pista umida.
Al via Prost tenne il comando, seguito da Mansell e Arnoux; alla curva di Sainte Dévote, Derek Warwick (Renault), per evitare il francese della Ferrari, andò lungo finendo contro le barriere, venendo a sua volta tamponato dal compagno di squadra Patrick Tambay; la collisione causò anche il rallentamento di Riccardo Patrese (Alfa Romeo) e Elio De Angelis (Lotus), mentre risalirono Lauda e Keke Rosberg (Williams). L’incidente tra i due alfieri della Renault provocò delle contusioni a Warwick e la frattura del perone a Tambay, ferito da una sospensione che bucò la scocca (impensabile nella F1 odierna). La gara proseguì non senza intoppi ed incertezze: all’undicesimo giro Prost urtò un commissario, impegnato nel far ripartire un’altra vettura. Le conseguenze furono comunque lievi, e Mansell prese il comando della corsa, ma solo per cinque giri. Alla sedicesima tornata, infatti, picchiò contro le barriere alla Beau Rivage, cercando di ripartire poco dopo ma fermandosi definitivamente al Mirabeau. Prost riprese il controllo, seguito da Lauda il quale, però, al 19° giro venne sopravanzato da una vettura molto più rapida: la sorprendente Toleman-Hart del brasiliano Ayrton Senna, che si fiondò decisamente all’inseguimento di Prost. Un esordiente che osava sfidare il campione già affermato: tra le curve monegasche, Ayrton sprigionava magia a ogni sterzata, danzando sulla pioggia che cadeva senza sosta e con una macchina che non avrebbe mai potuto consentirgli, in teoria, di battagliare per le prime posizioni.
Mentre la bagarre proseguiva più indietro tra le vetture ancora in gara, Senna era ormai a un passo dall’attaccare un Prost in evidente difficoltà, tanto da alzare le braccia sul rettilineo principale e chiedere la sospensione del Gran Premio. Un giro dopo, l’ex pilota Jacky Ickx, direttore di corsa, espose la bandiera rossa proprio mentre Ayrton superava la McLaren del francese, e subito dopo anche la bandiera nera, per costringere i pochi piloti ancora in pista a rientrare; venne infine esposta anche la bandiera a scacchi da parte di un commissario, ma questa mossa generò ulteriore confusione. La decisione finale fu effettivamente quella di dichiarare conclusa la gara, con le posizioni del giro 31. Così, Prost celebrò una vittoria sul piatto d’argento, con Senna secondo e Arnoux terzo (in seguito alla squalifica della Tyrrel del tedesco Bellof). Come prevedibile, le polemiche non mancarono: si accusarono gli organizzatori e il presidente della FISA Balestre di aver difeso il proprio connazionale a scapito del giovane e più meritevole Senna, ma venne anche mal giudicata la cattiva gestione del direttore di corsa. Senna comprese quel giorno come la politica, in Formula 1, avesse un peso molto simile alla tecnica e alle qualità di un pilota, e che essere i più veloci poteva non essere sufficiente. Ma a Monaco, come la storia ha dimostrato, era nata una stella.
2. Sfida tra leoni (1992)
Il campionato del 1992 decretò il dominio tecnico e sportivo della Williams-Renault, in un binomio che avrebbe garantito la netta superiorità della scuderia di Grove per diverse stagioni. Alla potenza e alle prestazioni del motore V10 aspirato della casa di Enstone, si affiancava un telaio di concezione estrema e innovativa, con una resa aerodinamica straordinaria; a questo si aggiungevano soluzioni elettroniche d’avanguardia e, soprattutto, le cosiddette sospensioni attive. Tale sistema poteva controllare l’altezza da terra e l’inclinazione di beccheggio in avanti e indietro del telaio, per ottimizzare l’aerodinamica al variare degli scenari di guida: un aspetto al quale i piloti avrebbero dovuto adattarsi.
Nigel Mansell e Riccardo Patrese erano dunque considerati dei privilegiati all’interno del paddock, potendo disporre di un mezzo a cui soltanto McLaren e Ferrari potevano avvicinarsi. Ma tanto la scuderia britannica (ancora) motorizzata Honda quanto il Cavallino dovevano affrontare una crisi tecnica che non consentiva loro di lottare veramente. La differenza era tutta all’interno dell’abitacolo: la scuderia di Woking poteva ancora schierare Ayrton Senna, campione del mondo in carica ma improvvisamente ritrovatosi nel ruolo di inseguitore.
Nei primi cinque Gran Premi stagionali a vincere era sempre stato Nigel Mansell, finalmente avviato al titolo iridato che da sempre gli era sfuggito. Ma Montecarlo era il parco privilegiato di Senna, affermatosi a più riprese nella gara del Principato. Le qualifiche erano state ancora una volta favorevoli alla Williams, con un uno-due di Mansell e Patrese, seguiti dalla McLaren di Ayrton e dalla Ferrari di Jean Alesi (alla guida della F92A, passata alla storia come la macchina meno riuscita nella lunga tradizione di Maranello). All’avvio della gara, Mansell mantenne la prima posizione, mentre Senna riuscì a sopravanzare Patrese, lanciandosi all’inseguimento dell’avversario. Dietro si fece subito notare l’arrembante Michael Schumacher (Benetton-Ford), capace di superare Berger (sull’altra McLaren) e piazzarsi dietro Alesi. La corsa proseguì senza particolari emozioni fino al 13° giro, quando l’affondo del giovane tedesco su Alesi costò il danneggiamento della vettura del ferrarista.
Tra guasti alle vetture e varie collisioni contro le barriere (tra cui un incidente alle Piscine per la Ferrari di Ivan Capelli), la situazione si mantenne stabile fino alla 71^ tornata, quando Mansell rientrò a sorpresa ai box credendo di aver subito una foratura alla gomma posteriore sinistra (in realtà si era allentato un dado che aveva a sua volta danneggiato il cerchione). Senna passò così in testa, ma non aveva fatto i conti con la furia del Leone inglese, che si fiondò a caccia del brasiliano recuperandogli cinque secondi (tale era il distacco dopo il rientro in pista) in pochissime tornate. Negli ultimi quattro giri, Mansell tentò il sorpasso in ogni punto utile del tracciato: nella salita verso il Casinò, al Mirabeau, al Loews, nella chicane all’uscita del tunnel, fino alle Piscine. Ma la difesa di Senna, strenua e corretta, nonostante le gomme ampiamente usurate, impedì a Mansell di sopravanzarlo, chiudendo la gara in testa con appena due decimi di vantaggio sul traguardo (terzo Patrese, quarto Schumacher). Un finale straordinario, tra due fuoriclasse del volante, due icone della Formula 1.
3. Un giorno da eroe (1996)
Il campionato 1996 rappresentò una svolta epocale. Le riforme promesse dalla FIA già nel 1994 a seguito dei tragici fatti di Imola erano state in parte realizzate nel ’95, ma l’impatto sulla sicurezza delle vetture (in particolare per la tutela del pilota) e dei circuiti fu molto più evidente l’anno seguente.
Le soluzioni adottate (su tutte l’allargamento dell’abitacolo delle monoposto e la protezione laterale attorno il pilota) ebbero effetti anche sull’aerodinamica delle vetture, portando a un parziale rimescolamento dei valori in campo. Il team predominante restava ancora la Williams-Renault, chiamata al riscatto dopo la doppia sconfitta subita contro la Benetton (anch’essa ormai motorizzata dai francesi) nel campionato precedente. La scuderia di Grove schierava l’esperto Damon Hill e l’arrembante Jacques Villeneuve, figlio del grande Gilles e promessa dell’automobilismo internazionale. Il vero colpo di mercato era stato però quello della Ferrari, con Jean Todt e il presidente Montezemolo che convinsero il bicampione del mondo Michael Schumacher a aderire al progetto di rilancio del Cavallino rampante, reduce da anni di inaccettabile digiuno di vittorie iridate.
Le prime gare avevano visto un prevedibile dominio della Williams, con i successi di Hill in Australia, Brasile, Argentina e Imola, e la vittoria di Villeneuve al Nürburgring. Schumacher aveva però raccolto tre podi: la F310 era bruttina da vedere e non era ancora totalmente affidabile, ma sembrava consistente sul passo gara e abbastanza veloce in qualifica.
Nel Gran Premio di Monaco, sesta prova del mondiale, arrivò infatti il colpo di scena, con il tedesco della Ferrari in pole davanti a Hill e alla Benetton di Alesi. Ma la gara sarebbe stata totalmente diversa, purtroppo per le speranze della Scuderia di Maranello. Poco prima della partenza un violento acquazzone allagò la pista, inducendo la direzione gara a stabilire un quarto d’ora di prove supplementari per permettere ai piloti di testare le vetture sul bagnato. Alla partenza, Schumacher scattò male, consentendo a Hill di sopravanzarlo; dopo poche curve, alla discesa del Portier il tedesco arrivò lungo, e terminò lì il suo gran premio. Mentre dietro accadeva di tutto, tra i consueti ritiri e collisioni contro le barriere, l’inglese della Williams sembrava involarsi verso il successo senza difficoltà. La pista, nel frattempo, andava ad asciugarsi, convincendo i piloti a cambiare gli pneumatici. Dietro Hill e Alesi, il francese Olivier Panis, alla guida della Ligier (motorizzata Mugen-Honda), stava intanto compiendo una mirabolante risalita. E non era ancora finita: al 40° giro il propulsore Williams abbandonò Hill; al 60°, la rottura di una sospensione fermò anche Alesi. Così, Panis andò al comando, controllando a distanza la McLaren-Mercedes di David Coulthard.
Ma l’autoscontro di Montecarlo avrebbe ancora dovuto raccontare il suo atto finale. A pochi giri dal termine, Eddie Irvine andò in testacoda al Portier, venendo successivamente colpito da Salo (Tyrrell) e Hakkinen (McLaren): tutti ritirati (i due finlandesi vennero comunque classificati). Rimasero appena quattro vetture in gara. Panis andò a vincere con tre giri d’anticipo tagliando il limite delle due ore di durata, precedendo Coulthard e le Sauber-Ford di Herbert e Frentzen. Sarebbe stata l’unica affermazione di Panis in carriera, ma assolutamente scintillante.
4. Il Trulli volante (2004)
Per tutti gli appassionati di Formula 1 la vettura “perfetta” per disegno, efficacia e velocità assoluta è soltanto una: la F2004. Nella quinta stagione consecutiva di trionfi del Cavallino, i tecnici di Maranello riuscirono a superarsi, fornendo a Michal Schumacher e Rubens Barrichello un mezzo straordinario. Nelle diciotto gare stagionali, furono quindici le affermazioni della Ferrari, con sole tre eccezioni: una si verificò proprio nel Gran Premio di Montecarlo.
Quelle stagioni erano anche contraddistinte da una feroce lotta tra “gommisti”: i nipponici della Bridgestone e i francesi della Michelin. Se il binomio Ferrari-Bridgestone appariva insuperabile, nelle qualifiche monegasche a prevalere furono le scuderie con pneumatici “blu”: primo Jarno Trulli su Renault, seguito dalla BAR-Honda di Jenson Button e dall’altra Renault di Fernando Alonso. Solo quarto Schumacher, seguito dalla McLaren di Raikkonen e dalla Ferrari del compagno Barrichello.
In gara, Trulli scattò bene difendendo la prima posizione, seguito da Alonso, il quale sopravanzò Button. Dietro, il giapponese Sato compì un’impresa, portando la seconda BAR davanti alle Ferrari e alla McLaren. Ma il suo Gran Premio non durò molto: un guasto al motore lo appiedò al terzo giro, provocando una fumata bianca e conseguente spargimento di olio sulla pista, ma soprattutto un incidente tra Fisichella (Sauber) e Coulthard (McLaren). L’ingresso della Safety Car fu inevitabile. Alla ripartenza, le due Renault si involarono, mentre Schumacher cercava la rimonta verso il podio. Il gioco delle soste cambiò qualche posizione, ma il secondo colpo di scena avvenne al 40° giro, quando Alonso perse il controllo della vettura tentando di doppiare Ralf Schumacher (Williams-BMW) in fondo al tunnel, finendo contro le barriere. Nuova entrata in scena della Safety Car e distacchi azzerati, con Michael Schumacher che si ritrovò in testa dopo essere stato il più rapido nel secondo rifornimento. Prima della successiva ripartenza, nel tentativo di scaldare gli pneumatici, il tedesco frenò improvvisamente sempre nella fatidica uscita del tunnel, sorprendendo Juan Pablo Montoya, che lo tamponò violentemente. Ritiro per la Ferrari e nuovo rimescolamento delle posizioni, con Trulli che riprese il comando. La calma è la virtù dei forti e, a quel punto, al pilota italiano non rimase altro che dosare le prestazioni della vettura: riprendere margine quando possibile, amministrare nella fase finale. E così fu: Trulli trionfò al traguardo precedendo sul podio Button (che aveva tentato la rimonta chiudendo ad appena mezzo secondo di distacco) e Barrichello, il quale salvò il bilancio monegasco del Cavallino. Fu l’unica affermazione in carriera in Formula 1 per Jarno Trulli, fino ad oggi l’ultimo pilota italiano a vincere nel Principato.
5. Finalmente Ferrari (2017)
L’era della rivoluzione contraddistinta dall’introduzione dei motori turbo-ibridi ha avuto una protagonista assoluta, dominatrice delle ultime stagioni: la Mercedes. Dal 2014 in avanti, il peso politico, sportivo e tecnico della casa di Stoccarda (con sede a Brackley, in Gran Bretagna, per quanto concerne la scuderia di Formula 1) non ha conosciuto limiti, tanto da ottenere sette campionati piloti in fila (sei con Lewis Hamilton e uno con Nico Rosberg) e altrettanti titoli costruttori. Unici avversari sono stati la Ferrari, ormai a digiuno di affermazioni iridate dal 2008, e la Red Bull (motorizzata Renault fino al 2018 e successivamente dalla Honda), costretta a inseguire dopo le quattro stagioni straordinarie nell’ultimo periodo dei motori aspirati (concluso nel 2013).
Dopo un primo anno di transizione, la Ferrari diede una svolta nel 2015 con l’ingaggio di Sebastian Vettel, il tedesco che aveva battuto proprio Alonso e il Cavallino alla guida della scuderia di Milton Keynes. Affiancandolo all’esperto Kimi Raikkonen (già campione con la Rossa nel 2007), la Scuderia riuscì a compiere un deciso passo in avanti, di pari passo con un ottimo sviluppo tecnico. Tre successi alla prima stagione, tanti piazzamenti nella seconda. All’alba della terza stagione a Maranello, Vettel sembrava pronto per raccogliere i frutti di tanto lavoro.
Il 2017 partì benissimo: Vettel vinse in Australia e in Bahrain, mentre la replica di Hamilton (in cerca di rivalsa dopo la bruciante sconfitta contro Rosberg nel 2016) e della Mercedes arrivò puntuale in Cina e in Spagna, con Valtteri Bottas che, a bordo dell’altra Freccia d’Argento, trionfò in Russia. Il Gran Premio di Monaco, sesto appuntamento stagionale, sembrava così anticipare una lotta equilibrata, ma il Cavallino era chiamato a dare risposte dopo due secondi posti consecutivi. Ma le statistiche non aiutavano: il successo nel Principato mancava ormai dal 2001.
Eppure, già dalle prove libere del venerdì, le prestazioni della Ferrari lasciavano presagire buoni auspici. In casa Mercedes, invece, appariva scarsa l’aderenza delle gomme Pirelli sulla vettura, ed entrambi i piloti non sentivano il consueto feeling. In qualifica, infatti, la forbice finì per allargarsi: in pole, a sorpresa, un preciso Raikkonen, che anticipò Vettel, Bottas e le Red Bull di Verstappen e Ricciardo.
Al via della gara della domenica, il finlandese della Ferrari scattò bene, difendendo la posizione dal compagno Vettel, mentre Bottas riuscì a resistere alle due arrembanti Red Bull. Hamilton, dopo le disastrose qualifiche (chiuse con il quattordicesimo tempo) cercò di risalire, ma la maggiore efficacia prestazionale delle vetture di quella stagione (sia quando si attaccava che quando si difendeva) e le loro misure maggiori resero ancora più difficili i tentativi di sorpasso, soprattutto su un tracciato tortuoso come quello di Montecarlo. Per tutti, non rimase altro che ottimizzare le strategie e, nel caso di Vettel, effettuare l’overcut, ovvero ritardare la prima (e unica) sosta rispetto a Raikkonen e sfruttare quei giri a pista libera per mettere a segno tempi record, annullando il distacco (comunque esiguo) dal finlandese. Così fu: al rientro dopo il cambio gomme, Seb si ritrovò primo, imponendo un ritmo che Kimi non aveva avuto nelle prime 36 tornate (delle 78 complessive). Allo stesso modo, Ricciardo replicò su Bottas e Verstappen, provocando le ire dell’olandese ma legittimando una parte finale di stint sensazionale, con l’australiano che riuscì a recuperare il gap tecnico rispetto alla Mercedes con una guida aggressiva ma precisa, e prevalendo nettamente sul compagno di squadra. Dopo la paura per un incidente occorso a Wehrlein in un contatto con Button e una seconda parte di gara movimentata, le Ferrari riuscirono a controllare vincendo agevolmente, portando a termine un’incredibile doppietta.
Il campionato 2017 sarebbe andato ancora una volta a Hamilton e alla Mercedes, con Vettel e la Ferrari che si dovettero accontentare del secondo piazzamento in classifica anche a causa di una certa mancanza di sviluppi nella seconda parte di stagione e una serie di sfortunati episodi. Ma quella domenica a Montecarlo il vessillo del Cavallino tornò a sventolare come da tempo non accadeva.