Il campionato mondiale 2021 di Formula 1 fa tappa in Italia per il Gran Premio del Made in Italy e dell’Emilia-Romagna, seconda prova stagionale che si terrà sul circuito di Imola.
L’autodromo “Enzo e Dino Ferrari” ospita la massima competizione automobilistica per la ventinovesima volta nella sua storia: nel 1980 fu sede del Gran Premio d’Italia (strappato in quell’occasione a Monza) poi, ininterrottamente dal 1981 al 2006, ebbe la denominazione di GP di San Marino. Dopo diverse vicissitudini sul piano gestionale e una complicata sostenibilità dei costi, il circuito del Santerno perse la Formula 1 e di fatto tutte le competizioni minori, per poi riconquistarle dopo un profondo restyling sul layout della pista, sulle tribune e soprattutto sulla zona dei box.
Con l’esplosione della crisi internazionale e con la difficile gestione degli eventi sportivi a causa della pandemia, F1 e FIA sono state costrette a trovare autodromi europei che riuscissero a garantire più facilmente l’organizzazione di un weekend di gara. Così, il 1° novembre 2020 i motori della categoria regina sono tornati a rombare sul circuito del Santerno, con la netta vittoria di Lewis Hamilton. E lo faranno ancora una volta in questo fine settimana, per regalare uno spettacolo all’altezza della tradizione nel rinnovato duello tra il sette volte iridato britannico e il tenace Max Verstappen, dopo le scintille della gara d’apertura in Bahrain, con una Ferrari in ripresa pronta a dare battaglia a Mercedes, Red Bull Racing e McLaren.
Sebbene nel calendario di Formula 1 vi siano infatti circuiti che vantano molte più edizioni rispetto a quelle svoltesi a Imola (pensiamo a Silverstone, Monza e Montecarlo), il tracciato emiliano ha nel suo archivio alcuni dei Gran Premi più importanti della storia, sia per le imprese di campioni e vetture che hanno lasciato il segno, ma anche per i tragici eventi del 1994, che cambiarono la F1 per sempre.
Abbiamo scelto per voi, gentili lettori, cinque storiche gare sul circuito di Imola, che ci riportano a un passato per molti versi irripetibile e sono ormai scolpite negli annali dell’automobilismo.
1. La sfida tra Villeneuve e Pironi (1982)
Il Gran Premio di San Marino del 1982 era la quarta prova valida per il campionato, ma rappresentava il punto di non ritorno per la gestione politica della Formula 1, di fatto spaccata in due poli: l’italiana Ferrari contro i costruttori britannici (tra cui McLaren, Williams, Lotus, Tyrrell e Brabham), mentre al centro si posizionava la Renault. Preoccupati dall’evoluzione inarrestabile dei motori turbocompressi rispetto ai canonici motori aspirati (o atmosferici), i team britannici avevano escogitato delle palesi irregolarità nelle prime gare della stagione, correndo sottopeso (rispetto ai 580 kg minimi previsti per le vetture) nel GP del Brasile per migliorare i tempi sul giro e recuperando maldestramente a fine corsa, aggiungendo acqua nei serbatoi vuoti, traendo un vantaggio rispetto alle più veloci ma più pesanti macchine dotate del turbo (ovvero Ferrari e Renault). Per replicare, il Cavallino portò delle soluzioni aerodinamiche estreme nel successivo appuntamento negli Stati Uniti. Dopo furiose polemiche da ambo le parti, arrivarono delle decisioni che scontentarono tutti (la squalifica delle Brabham e delle Williams a Jacarepaguá e della Ferrari a Long Beach) e che non risolsero la questione. Arrivò la minaccia del team di Maranello di abbandonare la competizione, mentre le squadre della Formula One Constructors’ Association (guidata da Ecclestone) decisero di non presentarsi a Imola. Soltanto successivamente queste ultime avrebbero avviato un percorso che le avrebbe portate all’adozione di nuovi propulsori turbo, ma la guerra fredda in Formula 1 non sarebbe terminata prima del rinnovo d’intenti nel rispettare il Patto della Concordia firmato nel 1981, e che sarebbe stato rivisto successivamente.
Così, sul Santerno avrebbero corso soltanto quattordici vetture e le favorite d’obbligo erano ovviamente le Ferrari di Gilles Villeneuve e Didier Pironi. In qualifica, però, le Renault di René Arnoux e Alain Prost avevano avuto la meglio, conquistando la prima fila. In gara, partenza regolare con le due Rosse che sopravanzarono Prost, il quale per un guasto meccanico si ritirò al sesto giro. Così si formò un terzetto al comando, con Arnoux davanti Pironi e Villeneuve, protagonisti di un duello acceso alle spalle della Renault.
Alla ventisettesima tornata, il canadese superò Arnoux alla Rivazza (la curva in fondo al rettilineo seguente alla Variante Alta), ma il francese riprese la posizione quattro giri dopo, e di questo ne approfittò Pironi, che venne nuovamente passato da Villeneuve a breve giro di posta. Mentre proseguivano le scaramucce tra i compagni di squadra, Arnoux dovette alzare bandiera bianca al 45° giro, anche lui per la rottura del motore. A quel punto, dai box del Cavallino arrivò l’indicazione del tutto logica di mantenere le posizioni, poiché più nessuna delle vetture rimaste in pista avrebbe potuto contrastare la Ferrari. Se Villeneuve sembrava aver recepito il cartello esposto, lo stesso non si poté dire di Pironi, che iniziò a tirare passando il compagno; ma, al 49° giro, il canadese riprese la vetta alla curva della Tosa. Nonostante dai box fosse stato nuovamente esposto il cartello SLOW che avrebbe dovuto finalmente congelare le posizioni, al 52° Pironi attaccò nuovamente Villeneuve, dopo che Gilles aveva rallentato come da ordine di squadra. A quel punto, la lotta divenne senza esclusione di colpi, culminando negli ultimi due giri: Villeneuve riprese il comando alla Tosa ma Pironi, tra il Tamburello e la curva seguente, andò definitivamente in testa, vincendo la corsa. Il dopo gara fu emotivamente difficile per Villeneuve, che si sentì, a ragione, beffato e tradito dal compagno di squadra. Ufficiosamente ricevette il sostegno del team e di Enzo Ferrari in persona, che da sempre aveva un affetto speciale per il pilota, ma in fondo era sempre la squadra che veniva prima di tutto per il Drake, nonostante i grossi rischi provocati da Pironi.
Gilles Villeneuve, amaramente, dovette accettare il verdetto, e avrebbe certamente voluto rifarsi, già nel successivo Gran Premio del Belgio. Ma sul circuito di Zolder, durante le qualifiche di sabato 8 maggio, il canadese sarebbe rimasto vittima di un gravissimo incidente, che lo portò via troppo presto, consegnandolo alla leggenda della Formula 1. Un destino beffardo e avverso, che avrebbe colpito anche Pironi nel Gran Premio di Germania dell’agosto seguente, a sua volta coinvolto in un drammatico impatto nelle prove, tanto da dover abbandonare la carriera nella massima competizione. Tornato all’agonismo, anche Pironi morì tragicamente, durante una gara di motonautica offshore nel 1987.
2. I “leoni della CEA” (1989)
La stagione 1989 di Formula 1 portò con sé una grossa novità nel regolamento tecnico: i propulsori turbo furono banditi e tutte le squadre dovettero competere con motori aspirati, la cui cilindrata massima venne stabilita in 3500 cm³ con un numero di cilindri massimo pari a 12. La McLaren Honda MP4/5, naturale evoluzione concettuale della vettura che aveva dominato la stagione precedente con la vittoria in entrambe le classifiche (Ayrton Senna aveva conquistato il suo primo titolo iridato), montava un motore V10 aspirato che esaltava l’eccezionale aerodinamica della monoposto e consentiva un equilibrio maggiore tra i V8 e V12 adottati dalle altre squadre. Le Ferrari, ad esempio, equipaggiata con un più potente ma ingombrante dodici cilindri, non aveva lo stesso slancio in termini di scocca e di efficienza aerodinamica, ma la 640 progettata da John Barnard guardava già al futuro, essendo la prima ad introdurre il cambio semi-automatico, con l’innesto delle marce che avveniva tramite due levette dietro al volante e non più con la leva del cambio tradizionale.
Nella prima gara sul circuito di Jacarepaguá, infatti, a sorprendere tutti era stata proprio la Ferrari di Nigel Mansell, che batté il campione in carica Senna dinanzi al suo pubblico. Ma ritrovare la McLaren al comando era solo questione di tempo e, difatti, nelle prove e nelle qualifiche del seguente Gran Premio di San Marino a Imola, le vetture britanniche furono le più veloci, con Ayrton Senna in pole davanti al rivale e compagno Alain Prost. Al via della gara, il brasiliano mantenne la testa davanti al francese, alla Ferrari di Mansell e alla Williams-Renault di Riccardo Patrese.
Al quarto giro, la Ferrari di Berger perse l’alettone anteriore in prossimità della veloce e pericolosa curva del Tamburello, andando a sbattere violentemente contro le barriere. La vettura del pilota austriaco venne immediatamente avvolta dalle fiamme, poiché un radiatore perforò la scocca nella parte del serbatoio della benzina. Mentre tutto sembrava volgere al peggio, accadde l’incredibile: gli uomini del servizio antincendio del circuito di Imola, appartenenti alla CEA Squadra Corse, intervennero tempestivamente, spegnendo il fuoco in pochi secondi e favorendo i soccorsi medici a Berger, che se la cavò con una costola rotta e delle ustioni non gravi alle mani, tanto da poter tornare in gara appena un mese dopo per il GP del Messico.
La gara fu sospesa e venne stabilita una nuova partenza, con la disputa dei 55 giri restanti. Allo scatto, Prost stavolta sopravanzò Senna, che riprese però la vetta alla Tosa, nonostante avessero precedentemente deciso di non ostacolarsi nelle fasi iniziali della seconda corsa. Il campione brasiliano mantenne il controllo con agilità fino alla fine, portando la sua McLaren al traguardo con un netto vantaggio di 40 secondi sul francese. Terzo fu l’italiano Alessandro Nannini, che con la sua Benetton-Ford Cosworth approfittò dei ritiri di Mansell e Patrese per guasti meccanici. A fine gara furono aspre le polemiche tra Prost e Senna, e sarebbero state solamente le prime di una stagione che avrebbe trovato il suo culmine nello storico Gran Premio del Giappone, con lo scontro alla chicane del triangolo di Suzuka e la conseguente, ingiusta squalifica di Ayrton, che di fatto consegnò il mondiale al rivale.
3. Il weekend più drammatico della Formula 1 (1994)
La stagione 1993 di Formula 1 aveva decretato il secondo trionfo consecutivo della Williams-Renault, scuderia britannica che aveva trovato un equilibrio perfetto tra potenza, aerodinamica e gestione elettronica della vettura. Per fermare la prevalenza dell’assistenza tecnologica rispetto alla guida dei piloti, per la stagione 1994 la FIA introdusse alcune novità estremamente rilevanti ma probabilmente troppo drastiche: su tutte, la messa al bando degli aiuti elettronici ai piloti, vietando in particolare le cosiddette sospensioni attive, il controllo della trazione, il cambio automatico, i freni assistiti, il differenziale elettronico e la telemetria bidirezionale. In più, per aumentare le variabili in gara, vennero reintrodotti i rifornimenti durante la corsa, con la riduzione delle dimensioni dei serbatoi e la fornitura di un dispositivo di rabbocco unico per tutte le squadre. Ma i risultati furono disastrosi sin dalla prima gara in Brasile, sul circuito di Interlagos. Le vetture rimasero comunque estremamente veloci (spinte da potentissimi V8, V10 e V12 aspirati) e dotate di effetto suolo e grande carico aerodinamico, ma erano divenute pericolosamente instabili e difficili da guidare: ogni singolo errore avrebbe potuto causare gravi conseguenze per i piloti, e inoltre non tutti i circuiti del calendario rispondevano a criteri di sicurezza assoluti.
Dal punto di vista sportivo, Alain Prost aveva chiuso la carriera in Formula 1 con il quarto iride del 1993 e lasciato la sua Williams-Renault, incredibilmente, proprio al suo acerrimo rivale Ayrton Senna, che aveva salutato Ron Dennis e la McLaren in cerca di una vettura che potesse consentirgli di tornare a lottare per la vittoria del campionato. Sul podio dell’ultima gara del campionato precedente, però, Senna e Prost avevano mostrato di aver superato almeno in parte le incomprensioni e i dispetti del passato. Il nuovo compagno di squadra del brasiliano sarebbe stato il britannico Damon Hill, mentre a contendere il mondiale si candidava il tedesco Michael Schumacher, giovane campione in netta crescita così come la vettura che guidava, l’arrembante Benetton motorizzata Ford. In ripresa anche la Ferrari, che con Gerhard Berger e Jean Alesi si proponeva come outsider.
Ma l’avvio di stagione di Senna fu estremamente complicato, nettamente più di quanto egli si attendesse. La Williams era indubbiamente veloce e il brasiliano conquistò due pole sia nella già menzionata gara inaugurale che nella seconda di Aida, in Giappone, ma la classifica recitava un mesto zero, frutto del ritiro a Interlagos e di uno scontro con la McLaren di Häkkinen alla prima curva nel GP del Pacifico. A trionfare in entrambi gli appuntamenti fu proprio Schumacher, subito in fuga nel mondiale. La terza gara era prevista sul circuito di Imola, come sempre teatro del GP di San Marino. Le premesse erano chiare: Senna doveva tornare a vincere, per non dover abbandonare troppo presto le ambizioni in campionato. Ma quel weekend di gara, tra il 29 aprile e il 1° maggio, avrebbe cambiato tutto.
Nelle prove libere del venerdì, la Jordan del giovane brasiliano Rubens Barrichello uscì di pista alla Variante Bassa, a causa della rottura di una sospensione che lo scagliò verso la curva a una velocità troppo elevata. Nonostante un botto terrificante e il rischio sfiorato di finire sul pubblico (la vettura venne fermata dalle protezioni a bordo pista), il pilota ne uscì con pochissime conseguenze, sebbene non avrebbe preso parte alla gara.
Nelle qualifiche del sabato, accadde però l’irreparabile. All’uscita della curva del Tamburello, la Simtek dell’austriaco Roland Ratzenberger subì l’improvvisa rottura dell’ala anteriore. Il crollo della deportanza e l’elevata velocità resero impossibile il controllo della vettura, e il pilota andò a sbattere ai 300 km/h alla successiva curva Villeneuve. Il violentissimo impatto fu devastante per Ratzenberger, subito soccorso ma per il quale vi fu pochissimo che i sanitari in pista e successivamente dell’ospedale potessero fare per salvarlo. Nonostante vi fossero gli estremi per porre sotto sequestro il circuito e avviare le dovute indagini, vennero trovati degli appigli burocratici che consentirono il prosieguo del weekend di gara, nel più cinico refrain de “lo spettacolo deve andare avanti”.
Il clima di inevitabile tensione e la paura che attanagliava il paddock erano evidenti già nel warm-up della domenica mattina: la Formula 1 aveva nuovamente dovuto affrontare la tragedia, come non accadeva da diverso tempo (dalla scomparsa di Elio De Angelis sul circuito del Paul Ricard, in Francia, nel 1986). Ayrton Senna tradiva una evidente sofferenza, poiché più di tutti sentiva il peso di un sistema sportivo e politico che non riusciva ad anteporre la sicurezza alla sfida in pista a qualsiasi prezzo. Prima del giro di ricognizione, seduto in vettura (scattava dalla pole anche in quella circostanza, per la 65° volta in carriera), non indossava il casco come di consueto per cercare la concentrazione, ma lo aveva appoggiato dinanzi a sé, guardando più volte in tutt’altra direzione rispetto al fondo del rettilineo principale. I pensieri erano rivolti altrove, soprattutto a Roland, che avrebbe voluto omaggiare a fine corsa: Ayrton aveva portato con sé sull’abitacolo una bandiera austriaca, per sventolarla dopo il traguardo.
Alla partenza, subito accadde qualcosa di incredibile: la Benetton di Lehto rimase ferma sulla piazzola, venendo centrata dalla Lotus di Lamy. L’impatto provocò la dispersione di diversi detriti, tra cui pneumatici, causando il ferimento di alcuni spettatori della tribuna principale. Dopo l’immediata pulizia del tracciato, la gara riprese. All’inizio del settimo giro, Senna conduceva davanti a Schumacher. Qualche istante dopo, approcciando la curva del Tamburello, il brasiliano ebbe uno scarto verso destra, a causa della rottura del piantone dello sterzo. La macchina divenne ingovernabile e l’impatto contro le barriere fu inevitabile, avvenendo a oltre 200 km/h. Una sospensione, con ancora attaccata la gomma, colpì Senna, e un braccetto della stessa si infilò come una lama nel casco del pilota attraverso la visiera, ferendolo di fatto mortalmente. Nonostante i soccorsi e il trasporto all’ospedale di Bologna, il brasiliano fu dichiarato morto nel tardo pomeriggio.
La gara, per la cronaca, dopo la ripartenza venne vinta da Schumacher che precedette la Ferrari di Larini e la McLaren di Häkkinen, ma il tutto avvenne assurdamente in un clima ormai surreale, con un ulteriore incidente ai box (causato da una gomma persa dalla Minardi di Alboreto) che chiuse ancora nel segno del terrore un fine settimana drammatico.
La scomparsa di Senna e Ratzenberger pose questioni ormai non rinviabili sulle politiche da intraprendere per aumentare la sicurezza nelle gare di Formula 1: occorreva intervenire sulle vetture, sulle piste, sull’organizzazione in generale. Progressivamente tutto questo si verificò, e i risultati sarebbero stati evidenti dalla stagione 1996 in avanti, con il circuito del Santerno già profondamente trasformato nel 1995. Ma quel 1° maggio 1994 avrebbe cambiato l’automobilismo radicalmente, portandosi via il più grande di tutti e un pilota meno conosciuto, entrambi spinti da una grandissima passione. In particolare Ayrton, simbolo di un Paese e di uno sport, venne consegnato alla leggenda, destinata a vivere per sempre.
4. La Ferrari torna alla vittoria al Santerno (1999)
All’inizio della stagione 1999, la rinnovata Formula 1 proseguiva nella sua strada verso la modernizzazione. Ad accrescere nuovamente l’interesse attorno la classe regina dell’automobilismo era poi l’ormai ritrovata competitività della Ferrari, la Scuderia più amata e con maggiore tradizione e palmarès all’interno del paddock. Il team guidato da Jean Todt, Ross Brawn e Rory Byrne aveva rifondato totalmente strutture e individualità al vertice, sotto la presidenza di Luca Cordero di Montezemolo, e per completare il processo di crescita aveva ingaggiato il pilota più forte, quel Michael Schumacher due volte campione del mondo con la Benetton nel 1994 e nel 1995. Dopo un 1996 con tre vittorie, sia nel 1997 che nel 1998 la Ferrari era arrivata a contendere la vittoria del campionato fino in fondo, venendo battuta prima dalla Williams-Renault e poi dalla McLaren-Mercedes.
Dopo la vittoria della Ferrari di Irvine nel GP di Australia (con Schumacher che, a causa di un contrattempo nelle fasi iniziali, non andò oltre un ottavo posto) e della McLaren di Häkkinen nel GP del Brasile, si arrivò come di consueto a Imola per la prima gara europea. Nelle qualifiche, la prima fila venne conquistata ancora una volta dalle Frecce d’Argento del finlandese e del britannico Coulthard, con le Rosse di Maranello subito dietro. Alla partenza della gara, Häkkinen mantenne la prima posizione, dettando un passo irresistibile per gli avversari. Ma l’imprevisto era in agguato: al diciassettesimo passaggio, infatti, Häkkinen andò largo all’ultima curva, sbandando sul cordolo e andando a sbattere contro le barriere: un errore grave che gli costò il ritiro e spianò la strada al compagno di squadra e a Schumacher. A questo punto, la corsa divenne tattica: il tedesco della Ferrari andò a rifornire e a cambiare le gomme al 31° giro, quattro tornate in anticipo rispetto a Coulthard, e questo gli consentì di imporre dei tempi sul giro con pneumatici freschi, che lo portarono in vetta alla gara quando l’avversario si fermò come previsto per il suo pit stop. Schumacher si involò così verso la vittoria e in vetta al campionato, precedendo al traguardo Coulthard, Barrichello, Hill, Fisichella e Alesi, mentre Irvine fu costretto ad alzare bandiera bianca al 46° giro per un guasto al motore. Per Schumacher fu la prima vittoria con la Ferrari sul circuito del Santerno, mentre la Ferrari tornò al successo a Imola dopo 16 anni dall’ultima vittoria, quella di Patrick Tambay nel 1983.
La corsa di Schumacher al mondiale finirà però a Silverstone, a causa di un brutto incidente nelle prime fasi del GP di Gran Bretagna che gli provocherà una frattura a una gamba. Il tedesco tornerà in vettura nel penultimo appuntamento in Malesia, dove lascerà la vittoria al compagno Irvine al termine di una gara strepitosa. Il pilota britannico verrà poi sconfitto da Häkkinen nella lotta al titolo nell’ultima corsa a Suzuka, piazzandosi solo terzo dietro il finlandese e il ritrovato Schumacher. La Ferrari, però, trionferà nel campionato costruttori, anch’esso riconquistato a distanza di sedici stagioni.
5. L’ultima doppietta Ferrari a Imola (2002)
Dopo un digiuno di vittorie in Formula 1 durato troppo a lungo e gli anni ’90 chiusi in crescendo, la Ferrari ebbe modo di conquistare due titoli piloti con Michael Schumacher nel 2000 e nel 2001 e tre titoli costruttori consecutivi, piegando la concorrenza della McLaren. Un ciclo di successi era ormai stato avviato, e a Maranello non avevano certo voglia di prendersi una pausa. Anzi: la vettura che avrebbe affrontato il campionato del 2002 univa velocità a costanza di rendimento, risultando concreta e imprendibile soprattutto in gara.
Nei primi appuntamenti, il Cavallino si era già imposto in Australia e in Brasile, mentre in Malesia la Williams-BMW aveva ottenuto una doppietta con Ralf Schumacher (fratello minore di Michael) e Juan Pablo Montoya, con la Ferrari terza. Più che la McLaren-Mercedes, infatti, gli avversari principali di Schumacher e Barrichello erano proprio i due alfieri della Scuderia di Grove, che potevano vantarsi di una ritrovata competitività soprattutto grazie ai propulsori tedeschi, per quanto non sempre affidabili. Ma la F2002 aveva risorse non ancora espresse totalmente.
La prima gara europea della stagione di Formula 1 era ancora una volta il GP di San Marino, sempre sul circuito di Imola. Per mettere le cose in chiaro, dalle prove la Ferrari iniziò a mostrare un passo evidentemente superiore, ma fu in qualifica che la prevalenza fu addirittura netta, con Schumacher in pole davanti a Barrichello (distanziato di appena 64 centesimi di secondo) con un vantaggio, rispettivamente, di oltre tre decimi e di cinque decimi su Ralf e su Montoya. A oltre un secondo, invece, le McLaren di Raikkonen e Coulthard. Alla domenica, andò in scena lo spettacolo più classico di quell’era vincente griffata Ferrari. Alla partenza, Michael Schumacher mantenne la prima posizione, accumulando progressivamente un vantaggio che divenne presto incolmabile per tutti. Barrichello, invece, che era stato superato dalla Williams di Ralf, fu costretto a adattare la strategia e, ottimizzando il giro seguente al rientro ai box dell’avversario con pista libera e serbatoio leggero, riprese la piazza d’onore alle spalle del compagno di squadra, completando il trionfo Ferrari con una doppietta storica, che mancava a Imola proprio da quel controverso 1982. Schumacher si involava così verso la conquista del suo quinto titolo mondiale, il terzo con il Cavallino, che sarebbe arrivato in largo anticipo già all’undicesima gara, sul circuito francese di Magny-Cours. Un altro record straordinario di un’era che tutti i tifosi della Scuderia non potranno mai dimenticare.