Il cinema per omaggiare il cinema. È di questo che parleremo oggi. Tra le infinite vie che offre la settima arte, c’è infatti la possibilità di riflettere su sé stessa. Innumerevoli registi si sono cimentati in lavori che raccontassero il proprio ego creativo o il cinema in generale, sia come immaginario che come storia dell’arte. Addirittura è sorto il filone del metacinema, di cui ne è un fulgido esempio 8 1/2 di Federico Fellini. Uno stile che è stato subito imitato e ripetuto da altri illustri colleghi. Tuttavia, il metacinema meriterebbe un discorso a parte, anche perché rappresenta un argomento più complesso da trattare. Lo è perfino la filmografia rappresentata da quei titoli che ritraggono il cinema come immaginario, e ne è un esempio il recente Babylon di Damien Chazelle. Tuttavia, quest’ultima schiera di film spesso confluisce in altri filoni o si combina con generi diversi.
In questa sede ci concentreremo piuttosto su quei lungometraggi che usano il cinema per raccontare il cinema, e in particolare da un punto di vista storico. I titoli che presenteremo hanno infatti in comune l’idea di raccontare una tappa fondamentale di storia del cinema, spesso e volentieri romanzandola. Di lavori così ce ne sono diversi e non tutti riusciti, ecco perché esporremo i soli immancabili 10 film sul cinema da vedere assolutamente.
1. Cantando sotto la pioggia (1952)
Autentico capolavoro e classico intramontabile è Cantando sotto la pioggia . Di questo film oggi esistono numerose versioni per il teatro, ma in realtà il lungometraggio diretto a quattro mani da Stanley Donen e Gene Kelly nasce per raccontare il cinema. Cantando sotto la pioggia narra infatti una tappa fondamentale nella storia della settima arte, ossia il passaggio dal muto al sonoro, e lo fa scegliendo il musical come genere predestinato. In più, contiene una delle sequenze più memorabili di sempre: Gene Kelly che danza e canta sotto la pioggia battente e si aggrappa ad un lampione. Quella sequenza, in verità, fu girata in pieno giorno!
Tra le influenze di Cantando sotto la pioggia, si segnala sicuramente la pellicola francese Étoile sans lumière con Edith Piaf. Anche lì era presente una giovane donna prestava la propria voce soave ad un’ex star del cinema muto. A sua volta Cantando sotto la pioggia con le sue strepitose sequenze ha influenzato innumerevoli altri film, non ultimo La La Land di Damien Chazelle. Per farla breve, una pietra miliare.
Hollywood, 1927. Don Lockwood e Lina Lamont sono due star del cinema muto che fanno sognare il grande pubblico grazie alla loro chimica sul grande schermo. Fuori dal set però i due non si sopportano: Lina è infatti convinta che Don sia innamorato di lei e non manca di assediarlo con i suoi capricci da diva. Il successo del nuovo cinema sonoro costringe i produttori della Monumental Pictures a trasformare l’ultimo lavoro della coppia in un film parlato. L’impresa si rivela però difficile a causa della terribile voce di Lina. E così che viene l’idea di doppiarla grazie ad una giovane emergente dalla voce ammaliante, Kathy Selden.
2. C’era una volta…a Hollywood (2019)
Di C’era una volta… a Hollywood abbiamo già parlato raccontandovi i migliori film con Brad Pitt. Il lungometraggio diretto da Quentin Tarantino è straordinario, complesso e sofisticato, oltre che uno dei migliori del regista. Si tratta di una tappa importante nel suo cinema: con Bastardi senza gloria e Django Unchained, C’era una volta… a Hollywood completa la cosiddetta trilogia del revisionismo storico. In effetti i tre hanno in comune uno sfondo storico che viene completamente distorto in favore di una sorta di divina giustizia narrativa. I fatti vengono manipolati e la trama prende infine una piega inaspettata.
Le reazioni che ha suscitato al suo debutto delle sale sono state più divise rispetto ai lavori più famosi del regista. Tuttavia, C’era una volta… a Hollywood può essere visto come una specie di parco a tema per cinefili: ogni scena è una giostra e la scenografia presenta diversi riferimenti ai grandi capolavori della settima arte. In C’era una volta… a Hollywood ritroviamo l’estetica sgargiante e colorita che aveva caratterizzato Cantando sotto la pioggia, ma non mancano spargimenti di sangue tipici dello stile tarantiniano. In comune col film di Donen e Kelly ha anche una trama di riscatto all’interno dell’ambiente dei set.
Rick Dalton è un attore di B movies ormai dimenticato che sogna di tornare a calcare le scene. Solo e frustrato per questa discesa nella sua carriera, Rick ha come unico amico il suo fedele stuntman, Cliff Booth, che vive in una roulotte. La vicenda di Rick si intreccia con quella della sua nuova vicina di casa. Quest’ultima altri non è che Sharon Tate, attrice e moglie del regista Roman Polanski.
3. Effetto notte (1973)
Alla domanda “che cos’è il cinema?” sembrerebbe aver ampiamente risposto François Truffaut. Non solo il regista francese è stato uno dei massimi esponenti della Nouvelle Vague, ma ha realizzato un’opera che mostrasse i retroscena della lavorazione di un film. Effetto notte è ad oggi una pietra miliare al pari di Cantando sotto la pioggia e rappresenta una visione obbligatoria per tutti gli aspiranti registi. Ed è anche l’unico lungometraggio realizzato da Truffaut premiato con l’Oscar per il miglior film straniero.
La sua appartenenza al mondo dei set è rivendicata già dalle due figure a cui va il pensiero del regista. Effetto notte è infatti dedicato a Dorothy e Lillian Gish, sorelle e dive del cinema muto. Alla sua uscita venne inoltre presentato come “un film per la gente che ama il cinema” e altri slogan simili che ne evidenziavano la straordinarietà.
A Nizza si gira Je vous presente Pamela, il nuovo lavoro del regista Ferrand, interpretato dallo stesso Truffaut. La trama è abbastanza semplice: Pamela molla il suo fresco sposo per scappare con il suocero. Assistiamo quindi ai giorni di riprese e tutto procede con non pochi imprevisti. Oltre ai vari problemi sul set di audio e luci, assistiamo alle crisi dello staff creativo: il divo Alphonse, la nevrotica prima attrice Julie Baker e le amnesie di Sévérine.
4. Nuovo Cinema Paradiso (1988)
Un grandissimo lungometraggio italiano pieno d’amore per il cinema è Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore. Proprio come Effetto notte, anche quest’ultimo ha avuto un successo internazionale culminato con l’Oscar per il miglior film straniero. L’operazione è in questo caso ancora più ambiziosa: al momento della realizzazione di Nuovo Cinema Paradiso, Tornatore aveva alle spalle un solo lungometraggio, Il camorrista. Contrariamente quindi al percorso di Truffaut, che ha realizzato Effetto notte proprio quando aveva una fama già bella consolidata. Il successo del film di Tornatore non fu immediato, complice una produzione che andò per le lunghe. Il debutto nelle sale italiane fu disastroso, tuttavia Nuovo Cinema Paradiso venne ben accolto all’estero, finendo quindi per essere rivalutato anche in patria.
Il film è un genuino atto d’amore per il cinema che trasuda di umanità. Si racconta la settima arte, ma anche l’Italia e il Sud. In effetti Nuovo Cinema Paradiso mostra come la fabbrica delle immagini possa portare speranza nei posti più impensabili. E il rapporto che Salvatore instaura con il suo lavoro è soprattutto di riconoscenza, sebbene la gratificazione che ne ricava lo allontani dalle sue origini.
1988. Salvatore Di Vita è un affermato regista di fama internazionale che si trova ormai da anni lontano da Gincaldo, il suo paese natale. Quando riceve la notizia della morte di Alfredo, il proiezionista locale, riaffiorano in lui i vecchi ricordi. Cresciuto da una madre sola e poverissima, Salvatore detto “Totò” inizia per caso a frequentare il Cinema Paradiso, unica attrazione locale. Proprio lì vengono organizzate delle proiezioni in anteprima per don Adelfio, il parroco a cui fa da chierichetto, il quale fa rimuovere tutte le scene contenenti un bacio. È proprio frequentando la sala che Totò conosce Alfredo, che lo prende sotto la sua ala e diventa per lui una figura paterna.
5. The Artist (2011)
Nel 2011 in concorso al Festival di Cannes venne presentato un film molto atteso, The Artist. A realizzarlo era Michel Hazanavicius, un regista che non godeva di molta stima da parte della stampa, e vedeva protagonisti due attori poco conosciuti: Jean Dujardin e Bérénice Bejo. Quello che nessuno poteva ancora immaginare è che gli spettatori si preparavano a guardare un film fenomenale: muto, in bianco e nero, con una recitazione tendente all’istrionismo e un numero di tip tap. La reazione sbalordita fu immediata e la stampa lo presentò come un progetto che per anni era stato rifiutato da diversi produttori.
Salutato come una possibile Palma d’oro, The Artist vinse invece il Prix d’interprétation masculine. In seguito trionfò agli Oscar in ben cinque categorie: miglior film, migliore regia, miglior attore protagonista, migliori costumi e migliore colonna sonora. Un successo inaspettato e davvero sorprendente. Il suo merito più importante è stato quello di farci rivivere l’emozione di essere spettatori dell’epoca del cinema muto, un contesto che sembrava impossibile da replicare.
Come Cantando sotto la pioggia, The Artist racconta la fine del cinema muto e il conseguente passaggio al sonoro. Hollywood, folli anni ’20. George Valentin è una star dei film muti. Attore stra professionale e uomo affascinante, è l’idolo di tutte le donne, che fanno la fila per vederlo sul grande schermo, dove interpreta ruoli spesso e volentieri eroici. Qualcosa però sta cambiando nel mondo del cinema: il sonoro sta arrivando e il pubblico vuole altro. Sentendosi rifiutato e dimenticato, George Valentin piomba lentamente in una difficile crisi esistenziale, proprio mentre la giovane e vivace Peppy Miller si impone come astro nascente.
6. The Aviator (2004)
Abbiamo parlato di The Aviator a proposito dei film sull’aviazione. In realtà, il lungometraggio di Martin Scorsese è da questo punto di vista abbastanza ambivalente e risulta un esempio calzante anche in questo articolo. The Aviator è un biopic su Howard Hughes, una delle figure più importanti della Hollywood classica. Proprio attraverso la figura di Hughes assistiamo nel film al periodo d’oro del cinema delle majors. Accanto al protagonista interpretato da uno straordinario Leonardo DiCaprio, troviamo tutta una serie di personalità di spicco dell’ambiente cinematografico: Katharine Hepburn (Cate Blanchet), Jean Harlow (Gwen Stefani), Ava Gardner (Kate Beckinsale), Errol Flynn (Jude Law) e Louis B. Mayer (Stanley De Santis).
Howard Hughes è stato un miliardario vissuto negli anni ’20 e divenuto un potente produttore della Hollywood classica. Fu artefice di uno dei più grandi successi dell’epoca, Gli angeli dell’inferno (1930). In più, un film di Brian De Palma si basa su un originale prodotto dallo stesso Hughes nel 1932, Scarface – Lo sfregiato.
Nel 1927 Howard Hughes eredita il patrimonio di famiglia e si fa subito conoscere come uno dei più giovani miliardari d’America. Hughes sembra avere le idee chiare su come investire i suoi soldi, ovvero nelle sue due grandi passioni: gli aerei e il cinema. È proprio a partire da questa presa di coscienza, che Hughes inizia la sua attività imprenditoriale. Nel 1930 decide di passare alla regia con Gli angeli dell’inferno, un film di guerra che si impone subito come uno dei più riusciti del cinema muto. Il successo del magnate cresce e si presenta sempre in compagnia delle splendide dive del momento. Tra queste c’è anche l’esuberante Katherine Hepburn, con cui inizia una tormentata relazione.
7. Hugo Cabret (2011)
Se il 2011 è stato l’anno del cinema per il cinema non è solo grazie a The Artist. L’uscita del film francese ha infatti coinciso con un corrispettivo americano, Hugo Cabret. I due lungometraggi si sono scontrati nella fatidica notte degli Oscar 2012 ed è stata una competizione ad armi pari. Hugo Cabret è diretto da Martin Scorsese, che realizza un’opera molto lontana dai lavori per cui è notoriamente conosciuto. In effetti sembrerebbe più attribuibile a Spielberg che a Scorsese: il tono è zuccheroso, al centro ci sono i bambini ed è una storia sentimentale.
Il film è tratto dal romanzo di Brian Selznick La straordinaria invenzione di Hugo Cabret. Si tratta di un adattamento fedele non solo all’opera originale, ma a tutta la produzione letteraria di Selznick e allo spirito dell’epoca in cui è ambientato. Hugo Cabret presenta la sua trama cinematografica in modo quasi insolito, svelandola cioè soltanto alla fine. Eppure vengono citati un sacco di eventi importanti nella storia del cinema, a partire dalla prima proiezione dei fratelli Lumière nel 1896.
Parigi, anni ’30. Hugo Cabret è un piccolo orfano che vive nascosto nella locale stazione ferroviaria. Alle spalle ha una travagliata storia familiare, motivo per cui si ritrova solo e costretto a compiere piccoli furti per sopravvivere. Hugo incontra sia l’ostilità dell’ispettore ferroviario Gustav e del giocattolaio Georges. La sola cosa in suo possesso è un automa lasciatogli in eredità dallo zio Claude. Hugo fa la conoscenza di Isabelle, sua coetanea e nipote del burbero Georges, e i due diventano insieme protagonisti di piccole avventure. Fino al giorno in cui non scoprono che zio Georges altri non è che l’ex regista del cinema muto Georges Méliès.
8. Mank (2020)
Anche David Fincher ha realizzato un ottimo film sul cinema, sebbene il suo Mank risulti un caso più controverso e assai difficile da inquadrare. Il lungometraggio è infatti ispirato ad una vecchia tesi della giornalista Pauline Kael, risalente al 1971 e negli anni ampiamente screditata. Nel suo scritto la Kael sosteneva che Orson Welles non fosse il vero sceneggiatore di Quarto potere e che avesse di fatto oscurato il nome di Herman J. Mankiewicz. Nonostante la tesi dell’autrice si sia in seguito dimostrata falsa, si tratta di una leggenda per molto tempo gettonata. Lo scopo di Fincher non è però quello di ripescare la questione della paternità di Quinto potere, ma piuttosto interrogarsi sul perché mai un autore dovrebbe accettare un lavoro di cui non si prenderebbe alcun merito.
Al di là delle premesse sopra citate, Mank getta comunque uno sguardo interessante al cinema americano degli anni ’40. Mostra il gioco di potere che c’è dietro il lavoro creativo e come anche alcune personalità di spicco possano esserne vittime. È dunque un film sull’arte al servizio dell’industria. La sua distribuzione non è stata semplice perché Mank è arrivato in concomitanza con il lockdown dovuto alla pandemia COVID-19, motivo per cui è passato direttamente su Netflix.
Nel 1940 Orson Welles firma con la RKO un contratto che non ha precedenti e che prevede la totale libertà creativa di quello che sarà il suo primo lungometraggio da regista. Nello stesso momento Herman J. Mankiewicz, costretto a letto da un incidente e in piena crisi creativa, riceve una telefonata con la sua prossima offerta di lavoro. Mank è da tempo caduto nell’alcolismo e non gode più della fiducia dei tycoon di Hollywood, tutti motivi per cui fatica a riprendere a scrivere. Tuttavia, grazie ad alcuni incontri e ai suoi demoni interiori, Mank riuscirà infine ad improvvisare la trama di Quarto potere.
9. Charlot (1992)
Altro biopic e altro film sul cinema notevole è Charlot, interpretato da un ottimo e giovanissimo Robert Downey Jr. A dirigerlo è Richard Attenborough, regista premio Oscar per Gandhi, quindi molto specializzato nelle biografie delle grandi personalità del passato. Come deducibile dal titolo, si tratta di un film che racconta il mito di Charlie Chaplin. In Charlot compaiono inoltre altri personaggi notevoli: Mack Sennett (Dan Aykroyd), Hanna Chaplin (Geraldine Chaplin), John Edgar Hoover (Kevin Dunn), Douglas Fairbanks (Kevin Kline), Paulette Goddard (Diane Lane) e Mabel Lombard (Marisa Tomei).
Dopo un’infanzia tormentata a causa della malattia mentale della madre, Charlie Chaplin si imbarca per gli Stati Uniti. Da promettente attore di teatro, Chaplin è convinto che il suo futuro sia lontano da Londra. Nella nuova terra incontra il regista Mack Sennett, che lo coinvolge nei suoi primi lavori. La collaborazione funziona e il successo arriva in breve tempo grazie ad una comicità slapstick. Per Chaplin è l’inizio di una lunga e folgorante carriera che viaggia sullo stesso binario della settima arte.
10. Ed Wood (1994)
Altro titolo considerevole è Ed Wood di Tim Burton, che rappresenta uno dei modi più originali di raccontare il cinema e la sua storia. Come Charlot, anche questo è un biopic. Al centro della scena c’è però una figura meno conosciuta e non certo nota per aver dato luce alla settima arte. Ed Wood è stato infatti definito da gran parte della critica “il peggior regista di tutti i tempi”. I suoi film non raggiunsero mai la tanto agognata fama ed erano realizzati in tempi molto stretti e con al centro una trama spesso approssimativa. Eppure la sua non è soltanto una storia di fallimenti, ma anche di grande amore per il cinema. È proprio questo aspetto che sembra appassionare Burton e forse persino lui si rivede.
Nel 1952 Edward D. Wood Jr. è un giovane artista squattrinato e impegnato a dirigere una stravagante compagnia teatrale. Ed ha però un sogno: debuttare al cinema come regista. L’occasione gli si presenta grazie ad un annuncio su Variety Magazine, in cui apprende che il produttore George Weiss realizzerà un biopic su Christine Jorgensen, una delle prime persone sottoposte ad un’operazione per il cambio di sesso. Ed decide quindi di presentarsi come regista, venendo però rifiutato a causa della sua inesperienza. A cambiargli la vita sarà invece l’incontro con Bela Lugosi, anziano attore ungherese e popolare interprete di Dracula.