Uno tra gli sport più popolari e più amati: il ciclismo è sempre stato un riferimento per intere nazioni già da inizio Novecento, rivestendo un significato sociale estremamente importante e scrivendo pagine di storia che si sono affiancate a quelle di molti Paesi, in particolare nel periodo tra le due guerre e della successiva ricostruzione europea.
Giro d’Italia, Tour de France, Vuelta di Spagna: sono i tre Grandi Giri, le corse che ogni ciclista vorrebbe vincere quando inizia a pedalare. Le Classiche Monumento, le cinque gare di un giorno che aprono e chiudono la stagione, sono invece gli allori più inseguiti. Ma ogni anno si svolgono decine di gare in tutto il mondo, che rendono il ciclismo una disciplina ormai internazionale, più che strettamente europea com’era fino a un paio di decenni fa.
I campioni che hanno reso celebre questo sport sono moltissimi, e immaginare una classifica assoluta sarebbe molto complicato. Inoltre, ogni corridore ha la sua specificità: scalatori, velocisti, passisti, finisseur, specialisti contro il tempo. Indubbiamente chi domina le vette più alte e affascinanti, quelle che hanno fatto la storia del ciclismo, ha da sempre occupato le prime pagine dei giornali e appassionato, più degli altri, le persone innamorate delle due ruote: i vincitori dei tre grandi giri, ma soprattutto Giro e Tour, sono quelli che hanno regalato delle emozioni indelebili.
Di seguito, vogliamo proporvi una rassegna dei ciclisti più forti di sempre, dei più vincenti della storia.
1. Gino Bartali
Il campione fiorentino fu probabilmente il primo ciclista moderno, insieme all’eterno rivale Fausto Coppi. Ginettaccio (come veniva soprannominato anche per via del proprio carattere) fu professionista tra il 1934 e il 1954, imponendosi già prima della Seconda Guerra Mondiale, vincendo il Giro nel 1936 e nel 1937, il Tour de France (1938), due volte la Milano-Sanremo (1939-1940) e tre volte il Giro di Lombardia (1938-1940). L’interruzione delle attività, giunta proprio nel suo periodo di massima forma, non gli impedì di continuare a vincere anche dopo il conflitto, riprendendosi il Giro nel 1946, il Tour nel 1948 e in altre due circostanze la Classicissima di primavera.
Soprattutto la vittoria al Tour del ’48 fu un momento fondamentale per Bartali, sia per la sua carriera che per la tenuta sociale del Paese, da poco divenuto una Repubblica e non ancora pienamente coeso. L’attentato a Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista, avvenuto il 14 luglio, provocò una fortissima tensione politica in tutta Italia: le imprese di Bartali sulle strade francesi, negli stessi giorni, servirono a riportare la calma, essendo seguite al pari di un evento di portata storica.
Ma la grandezza umana di Gino Bartali fu straordinaria anche durante la guerra, poiché si spese, a rischio della propria vita, per mettere in salvo molti ebrei che cercavano di sfuggire alla cattura nazifascista, in particolare trafugando documenti fondamentali per molti di loro. Per tale ragione, Bartali è oggi un Giusto tra le Nazioni.
2. Fausto Coppi
Semplicemente il Campionissimo: Fausto Coppi è stato probabilmente il ciclista più amato di sempre. Ogni sua vittoria era una pagina di grande sport, grazie al suo stile unico e a una capacità di resistenza straordinaria. Insieme a Bartali, il riferimento dello sport italiano del dopoguerra, quanto il Grande Torino tragicamente perito a Superga.
Una lunga carriera, iniziata nel 1939, che lo ha visto trionfare cinque volte al Giro d’Italia (1940, 1947, 1949, 1952, 1953), due al Tour de France (1949, 1952), in tre occasioni alla Milano-Sanremo, una alla Parigi-Roubaix (1950) e cinque volte al Lombardia. È stato campione del mondo in linea nel 1953 a Lugano e ha ottenuto successi anche sulla pista. Celebre la fotografia, realizzata da Carlo Martini, che ritrasse Coppi e Bartali al Tour del 1952 mentre scalavano il Col du Galibier, mentre si passano una bottiglietta per dissetarsi. Lo scatto fu in realtà concordato, ma non toglie affatto portata epica a un’immagine che racconta quanto fossero spesso un tutt’uno i due campioni e rivali italiani, soprattutto nel confronto con gli avversari francesi.
Fausto Coppi morì per malaria il 2 gennaio del 1960, di ritorno da una trasferta in Africa, lasciando un vuoto incolmabile nel ciclismo del nostro Paese. Il Campionissimo divenne così mito, dopo essere già stato una leggenda durante la sua vita.
3. Louison Bobet
La sfida tra Italia e Francia contraddistinse il periodo precedente e successivo alla Seconda Guerra Mondiale. Tra i protagonisti transalpini spiccò certamente Louison Bobet: professionista dal 1946 fino al 1962, fu un corridore completo su qualunque terreno.
Venne battuto da Bartali al Tour de France ’48 (che chiuse in quarta posizione), ma furono gli anni Cinquanta il periodo nel quale raccolse i suoi grandi trionfi: tre Tour (dal 1953 al 1955), una Milano-Sanremo (1951), un Giro delle Fiandre (1955), una Parigi-Roubaix (1956) e un Lombardia (1951). Nel 1954, inoltre, vinse il campionato del mondo in linea a Solingen, in Germania.
4. Rik Van Looy
Il belga Hendrik Van Looy, detto Rik, fu il protagonista assoluto di tutte le classiche per oltre un decennio, tra gli anni Cinquanta e Sessanta. In carriera, Van Looy vinse 164 corse, e tra queste ben 8 delle gare Monumento: una Milano-Sanremo (1958), due Fiandre, la sua competizione di casa (1959 e 1962), tre Parigi-Roubaix (1961, 1962 e 1965), una Liegi-Bastogne-Liegi (1961) e un Lombardia (1959). A questi successi vanno aggiunti i due titoli iridati del 1960 e del 1961.
5. Jacques Anquetil
Professionista dal 1953 al 1969, Jacques Anquetil è stato uno dei ciclisti più talentuosi e forti di sempre. Un vincente per natura, un vero asso del pedale, in grado di competere su ogni terreno come nessun altro. La completezza era il suo grande punto di vantaggio rispetto agli avversari, oltre a una capacità strategica superiore a chiunque. Vinse nove volte il Grand Prix des Nations (una lunghissima gara a cronometro che non si disputa più da diversi anni) e ventisei tappe nei grandi giri, le sue gare preferite.
In carriera, infatti, Anquetil si affermò cinque volte alla Grande Boucle, alzando il trofeo a Parigi nel 1957 e ininterrottamente dal 1961 al 1964; trionfò al Giro d’Italia nel ’60 e nel ’64 e alla Vuelta di Spagna nel ’63. Fece inoltre sua la Liegi nel 1966. Gli mancò soltanto un’affermazione nel Mondiale, cogliendo un argento in Germania nel 1966.
6. Felice Gimondi
Un altro dei sette corridori in grado di vincere i tre grandi giri è stato Felice Gimondi. Il campione bergamasco fu professionista dal 1965 al 1979, anni nei quali vinse 139 corse e si impose come il riferimento del ciclismo italiano di quell’epoca e come il vero, grande avversario di Merckx.
Partecipò quattordici volte alla Corsa Rosa, ottenendo il successo finale nel 1967, 1969 e 1976; vinse il Tour nel 1965, al suo esordio sulle strade della gara francese; trionfò anche alla Vuelta nel 1968, nella sua unica partecipazione. Più difficile fu il suo rapporto con le Classiche Monumento, che vinse in quattro occasioni: la Milano-Sanremo nel 1974, la Roubaix nel 1966, e il Lombardia ancora nel ’66 e nel 1973, la stessa stagione nella quale ottenne l’atteso titolo mondiale, in una durissima edizione al Montjuic, a Barcellona, dove precedette sul podio il belga Freddy Maertens e lo spagnolo Luis Ocaña. Gimondi ci ha lasciato nel 2019.
7. Roger De Vlaeminck
Il terzo belga più vincente della storia, al pari di Van Looy e dietro soltanto Merckx: Roger De Vlaeminck ottenne 164 successi in carriera e, come i connazionali, riuscì a imporsi in tutte le Classiche Monumento. Finisseur implacabile e specialista in attacchi su percorsi nervosi e con brevi e ripide salite, De Vlaeminck fu professionista dal 1969 al 1984, e fu anche pistard e ciclocrossista.
Le undici affermazioni nelle più importanti gare in linea di un giorno furono equamente suddivise: tre Milano-Sanremo (1973, 1978, 1979), un Fiandre (1977), quattro roboanti Parigi-Roubaix (1972, 1974, 1975, 1977) e due Lombardia (1974, 1976).
8. Eddy Merckx
Il Cannibale, il dominatore, colui che non lasciava alcunché agli avversari: Eddie Merckx è il ciclista più vincente della storia, secondo molti anche il più forte, sebbene su questo secondo punto i pareri non siano del tutto unanimi. Probabilmente perché altri avevano un’eleganza maggiore e hanno firmato imprese che hanno maggiormente lasciato il segno (su tutti, ovviamente, Fausto Coppi), senza che si disperdessero, paradossalmente, nel numero assolutamente ineguagliabile di trionfi ottenuti dal belga.
445 corse vinte da professionista, di cui 277 su strada, 168 sui circuiti, alle quali sommando quelle in gare minori e nei dilettanti fa giungere il conteggio a 525 in circa 1.800 gare disputate tra il 1965 e il 1978. Nei Grandi Giri, undici affermazioni: cinque al Tour (1969, 1970, 1971, 1972, 1974), cinque al Giro (1968, 1970, 1972, 1973, 1974) e una alla Vuelta (1973). Nelle Classiche Monumento, addirittura diciannove: sette Milano-Sanremo, due Fiandre, tre Roubaix, cinque Liegi e due Lombardia. Infine, tre titoli Mondiali: Heerlen 1967, Mendrisio 1971, Montreal 1974. Fenomeno.
9. Bernard Hinault
Conclusa l’era Merckx, sarebbe iniziata quella di un altro campione, stavolta francese: Bernard Hinault. Corridore completo su tutti i terreni, il bretone (soprannominato Le Blaireau, ovvero Il Tasso) rinverdì i fasti di Bobet e Anquetil e si affermò come dominatore dei grandi giri tra fine anni Settanta e la prima metà degli anni Ottanta.
Professionista dal 1975 fino al 1986, Hinault vinse 216 corse in carriera e per dieci volte le più prestigiose gare a tappe: cinque Tour de France (1978, 1979, 1981, 1982, 1985), tre Giri d’Italia (1980, 1982, 1985) e due Vuelta (1978, 1983). A questi successi vanno aggiunti la Roubaix dell’81, le Liegi del ‘78 e dell’80 e i Lombardia del ’79 e dell’84. Vinse il titolo Mondiale nel 1980, a Sallanches, precedendo sul podio l’italiano Baronchelli e lo spagnolo Fernández Martín.
10. Francesco Moser
Il ciclista italiano con più successi: nella propria carriera da professionista tra il 1973 e il 1988, Francesco Moser ha vinto 273 corse tra strada e circuiti e si è imposto come uno tra i corridori più completi della propria epoca, oltre a piazzarsi come terzo assoluto in questa particolare classifica, dietro soltanto a Merckx e Van Looy.
Con i Grandi Giri ebbe un rapporto molto particolare: partecipò in una sola circostanza a Tour e Vuelta, ma prese parte in tredici occasioni alla Corsa Rosa, vincendola nel 1984 con una condotta di gara perentoria. Nello stesso anno, Moser ottenne un record molto significativo: quello sull’ora, percorrendo 51,151 km e migliorandosi due volte in pochi giorni a Città del Messico. Tale risultato fu possibile anche grazie a una tecnologia avanguardista per quel periodo, le cosiddette “ruote lenticolari”, ovvero ruote piene che non comprendevano raggi e consentivano di esprimere una maggiore velocità e migliori prestazioni aerodinamiche. Qualche anno dopo, l’Unione ciclistica internazionale avrebbe declassato il risultato di Moser e quelli di tutti coloro che avevano ottenuto il record sull’ora con le lenticolari, rispetto a chi aveva stabilito i primati con una bicicletta dalle ruote tradizionali.
Francesco Moser fu ovviamente tra i protagonisti più importanti delle gare in linea di un giorno: campione del mondo a San Cristóbal nel 1977, vinse la Milano-Sanremo nel 1984, tre Parigi-Roubaix di fila tra il ‘78 e l’80 e il Lombardia nel ’75 e nel ’78.
11. Miguel Indurain
Professionista dal 1984 al 1996, Miguel Indurain ha rappresentato il prototipo del passista-scalatore.
Fenomenale nelle prove contro il tempo, nelle gare a tappe gestiva il vantaggio che riusciva ad accumulare a cronometro, difendendosi contro gli scalatori puri nelle lunghe e ripide salite e nelle tappe con grandi dislivelli. In realtà, negli anni Novanta era consuetudine degli organizzatori disegnare percorsi con lunghe crono (non meno di tre sul totale delle tappe) e Indurain, corridore carismatico e sempre esemplare, ne usufruiva in maniera evidente, sebbene questo non togliesse nulla né alle sue capacità né alle proprie, numerose vittorie.
In carriera, Miguelòn (come veniva soprannominato) vinse due Giri d’Italia (nel 1992 e nel 1993, a cui va aggiunto il terzo posto del ’94) e cinque Tour de France, consecutivamente dal 1991 al 1995. Non ebbe invece la stessa fortuna alla Vuelta, dove il miglior piazzamento fu il secondo posto del 1991. Delle 111 corse vinte da professionista fanno parte anche l’iride nella prova a cronometro ai Mondiali di Duitama del 1995 e la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Atlanta 1996 nella stessa specialità. Indurain si ritirò all’inizio della stagione seguente, dopo la separazione dalla squadra Banesto, suo riferimento per anni.
12. Marco Pantani
Scrivere di Marco Pantani non è mai semplice. Si rischia di essere traditi dall’emozione. Marco è stato il campione in grado di risvegliare negli appassionati italiani lo stesso ardore che suscitavano Bartali e Coppi nell’epoca del ciclismo eroico. Ma il talento di Pantani si è dovuto scontrare con un destino avverso, una spirale di menzogne, errori e cadute che hanno portato Marco via troppo presto, prima dalle corse e poi dalla vita, con la sua drammatica scomparsa il 14 febbraio 2004 a Rimini, vittima della depressione e di un’intossicazione acuta da psicofarmaci e cocaina. Su questo tragico evento il dibattito è ancora aperto, e la verità, dal punto di vista processuale, forse non è stata completamente svelata.
Professionista dal 1993, Pantani sbocciò immediatamente, e fu protagonista già nel 1994 nei grandi giri, le corse dove Marco riuscì ad esprimersi al meglio. Due tappe vinte al Giro (a Merano e sull’Aprica) e secondo posto finale dietro il russo Berzin; grandi prestazioni anche al Tour, al termine del quale giunse terzo, preceduto da Indurain e Ugrumov.
Un grave incidente gli compromise la prima metà di stagione 1995: rientrò in estate, imponendosi in una tappa del Tour de Suisse e soprattutto in due frazioni del Tour de France, che concluse al tredicesimo posto ma dimostrando di essere tornato in piena condizione. Ma l’atroce beffa giunse sul finire delle competizioni, quando alla Milano-Torino di ottobre un’auto irruppe in corsa investendo Pantani e altri corridori: Marco si fratturò tibia e perone, e soltanto una ferrea determinazione gli consentì di tornare in sella. Riuscì a tornare a gareggiare verso la fine del 1996, quando passò dalla Carrera Jeans alla Mercatone Uno, la squadra che lo avrebbe accompagnato fino a fine carriera.
Nel 1997 partecipò al Giro, ritirandosi alla nona tappa; ma le migliori soddisfazioni giunsero nuovamente al Tour, con la vittoria di due tappe (sul mitico Alpe d’Huez e a Morzine) e un nuovo terzo posto finale.
Quella del 1998 fu la stagione della consacrazione: doppietta Giro e Tour, un’impresa sempre più difficile nel ciclismo moderno. Marco vi riuscì, cogliendo quei trionfi a lungo inseguiti e mai raggiunti a causa di un’incredibile sfortuna. Due tappe alla Corsa Rosa (Piancavallo e Montecampione) e festa a Milano, dove precedette sul podio Tonkov e Guerini; altre due tappe alla Grande Boucle (Plateau de Beille e Les Deux Alpes) e passerella a Parigi davanti al coriaceo Ullrich e a Julich, lì dove venne premiato da Gimondi, ultimo italiano prima di Marco a vincere in terra francese.
Oramai riconosciuto come il più forte, la stagione del 1999 avrebbe dovuto essere altrettanto importante. Il Pirata (per via della bandana che lo contraddistingueva spesso in corsa, in un periodo nel quale non era ancora obbligatorio indossare il casco di protezione) iniziò già a vincere in primavera e giunse al Giro con i favori del pronostico, confermandoli pienamente: quattro vittorie di tappa (Gran Sasso d’Italia, Oropa, Alpe di Pampeago, Madonna di Campiglio) e un arrivo a Milano ormai scritto con la maglia rosa sulla schiena. Prima della partenza della penultima tappa, invece, la doccia gelata: l’ombra del doping, con alcuni valori fuori dai parametri consentiti ai corridori. Una tesi mai confermata, gli stessi esami probabilmente non erano validi, ma questo fu sufficiente per estromettere Pantani dal Giro e interrompere improvvisamente la sua carriera. Marco entrò in un tunnel di sospetti e dubbi, dal quale non sarebbe più uscito, e solo poche persone attorno a lui lo aiutarono davvero. Nonostante gli incidenti e le cadute, Pantani si era sempre rialzato: ma stavolta non sarebbe andata così.
Marco tornò a correre nel 2000: non andò bene al Giro, ma al Tour tornò a regalare lampi di classe, vincendo sul mitico Mont Ventoux (battendo nel finale Lance Armstrong, il texano che sarà successivamente squalificato dalle corse e vedrà cancellate tutte le sue vittorie) e a Courchevel, per poi ritirarsi nel corso dell’ultima settimana. Saranno le ultime delle quarantasei affermazioni di Pantani da professionista. Nonostante numerosi tentativi di ritorno al suo livello, Marco si avvierà lentamente verso il ritiro nel 2003, prima della sua scomparsa, lasciando un vuoto incolmabile nel ciclismo italiano.
13. Alberto Contador
Uno tra i più forti ciclisti contemporanei. Lo spagnolo Alberto Contador, soprannominato El Pistolero, è stato un passista-scalatore che prediligeva scatti brucianti nei tratti più regolari delle grandi salite, sulle quali riusciva a esprimere grande velocità, per poi difendersi sulle vette più ripide e fare la differenza nelle corse contro il tempo, in particolare all’interno dei Grandi Giri.
Anche Contador fa parte dell’élite esclusiva dei corridori in grado di vincere tutte le principali corse a tappe: ha trionfato al Giro d’Italia nel 2008 e nel 2015, al Tour nel 2007 e nel 2009, e alla Vuelta nel 2008, 2012 e 2014. In realtà, i successi sarebbero due in più poiché il Tour 2010 e il Giro 2011 gli vennero revocati in seguito a una squalifica retroattiva di due anni per doping, in una vicenda dai contorni mai del tutto chiariti e che non mostrarono l’effettiva colpevolezza di Contador, se non una leggerezza del ciclista e soprattutto del suo entourage.
Oltretutto, questo non scalfisce minimamente la storia di Contador come fuoriclasse assoluto, che può annoverare in carriera decine di successi in tantissime corse che lo hanno affermato come corridore tra i più completi del circuito, nonostante diverse cadute che gli hanno causato non pochi problemi fisici lungo gli anni di attività. Dopo il ritiro, ha fondato insieme a Ivan Basso il team Eolo-Kometa, oggi formazione ProTeam con l’ambizione di poter entrare nel World Tour.
14. Vincenzo Nibali
Esattamente come Contador, vi è un altro ciclista, tuttora in attività nel forte Astana Qazaqstan Team, che ha vinto tutti i Grandi Giri ed è, senza dubbio, il corridore italiano più importante dell’ultimo ventennio: Vincenzo Nibali.
Messinese di nascita e toscano d’adozione per formazione ciclistica, lo Squalo dello Stretto (come viene soprannominato) è un passista-scalatore competitivo su ogni terreno. Predilige le salite lunghe e regolari, per poi difendersi bene nelle prove a cronometro. La sua specialità è però la discesa: è il più forte del circuito in questo fondamentale, risultando spesso imprendibile quando attacca non appena la strada scende (in particolare nei primi anni di carriera).
Professionista dal 2005, Nibali è stato competitivo già dagli esordi anche nei confronti di corridori più affermati, e sarebbe stato in grado di vincere il Giro 2010, non avesse dovuto lavorare per il compagno di squadra Ivan Basso (allora in Liquigas), che poi effettivamente trionfò precedendo sul podio l’iberico Arroyo e proprio il siciliano. Ma Vincenzo non dovette aspettare a lungo, poiché si impose alla Vuelta della stessa stagione. Da lì, la crescita fu costante e inarrestabile: sfiorò la Corsa Rosa anche nel 2011, chiudendo terzo dietro a Contador e al compianto Michele Scarponi (in seguito alla squalifica dello spagnolo, però, il marchigiano divenne vincitore e Nibali fu decretato secondo); arrivò terzo al Tour del 2012, dietro la coppia del Team Sky composta da Wiggins e Froome; trionfò finalmente al Giro nel 2013, vincendo inoltre tre frazioni (Bardonecchia, la cronoscalata di Polsa, Tre Cime di Lavaredo).
Quella del 2022 è stata l’ultima stagione da professionista di Vincenzo Nibali, che si è ritirato lasciando un enorme vuoto nel panorama ciclistico italiano, attualmente poco foriero di risultati soprattutto nelle corse più importanti
Dopo aver vinto anche i campionati italiani in linea nel 2014, si presentò al Tour con il tricolore sulla maglia. Protagonista già nella prima settimana, prese la maglia gialla alla seconda tappa con il successo a Sheffield (il Tour partiva dalla Gran Bretagna) e la difese anche dopo una straordinaria prova nella tappa sul pavé con arrivo ad Arenberg Porte du Hainaut (ovvero le strade della Parigi-Roubaix). Molti dei suoi avversari, invece, vennero clamorosamente respinti dalle insidie del percorso. Dopo aver temporaneamente lasciato la leadership nella nona tappa in seguito a una fuga dal gruppo, con la vittoria alla Plance des Belle Filles (decima frazione) Nibali riprese il comando e aumentò costantemente il proprio vantaggio in classifica, ottenendo altre due tappe (Chamrousse e Hautacam) e giungendo in trionfo sugli Champs-Élysées, a sedici anni di distanza dalla vittoria di Pantani.
Campione italiano anche nel 2015, Nibali giunse quarto al Tour e concluse anzitempo la sua rincorsa alla Vuelta, ma si impose al Giro di Lombardia. Nel 2016 vinse il suo secondo Giro d’Italia, sfiorando successivamente il successo alla gara in linea alle Olimpiadi di Rio de Janeiro, cadendo a una decina di chilometri dal traguardo mentre era in testa. Il 2017 fu avaro di vittorie, ottenendo un terzo posto al Giro d’Italia dietro Dumoulin e Quintana. Il 2018 sembrava invece poter essere la stagione del riscatto: dopo aver raccolto una straordinaria vittoria alla Milano-Sanremo con un’azione da fuoriclasse nel momento decisivo della gara, si presenta al Tour con i migliori auspici. La rincorsa al podio, però, si interromperà bruscamente nella tappa dell’Alpe d’Huez, la tredicesima: in una concitata situazione malamente gestita dagli organizzatori, il numeroso pubblico restringe la sede stradale, e Vincenzo viene tirato a terra dal collare di una macchina fotografica, riportando al termine della frazione la frattura di una vertebra.
Nibali stavolta fatica a ritrovare la condizione, ma si presenta determinato a fare il massimo anche al Giro 2019: così sarà, perché combatte come un leone concludendo al secondo posto dietro il colombiano Carapaz e davanti allo sloveno Roglic. Al Tour giunge invece lontano in classifica, ma vince la tappa di Val Thorens. Dopo un 2020 complicato per la crisi internazionale e tanti piazzamenti, nel 2021 Nibali prende parte a Giro, Tour e Olimpiadi, ma la sua più bella vittoria sarà la classifica finale del Giro di Sicilia, la corsa di casa tornata di recente nel calendario internazionale. Dal 2022, a 37 anni compiuti, Vincenzo attende ancora grandi soddisfazioni.
15. Christopher Froome
Il settimo corridore della più volte citata élite dei trionfatori dei grandi giri è Christopher Froome, detto Chris. Nato in Kenia da una coppia britannica, dopo essersi spostato in Sudafrica a quindici anni, Froome avviò la sua carriera nel ciclismo, diventando professionista nel 2007.
Dopo i primi successi, il passaggio al Team Sky sarà determinante per il suo percorso. Froome inizia a mettere in mostra le sue straordinarie qualità di scalatore e cronoman: nelle salite lunghe le sue accelerazioni sono semplicemente irresistibili, riuscendo a staccare gli avversari restando piantato sulla sella ma con un altissimo numero di pedalate sui tratti più ripidi; pur essendo sgraziato in bicicletta, il suo stile risulta eccezionalmente efficace. Nelle corse contro il tempo, unisce velocità e forza come pochi altri. Così, Froome si rivela il prototipo del dominatore nelle gare a tappe. Nel 2011 arriva secondo alla Vuelta dietro allo spagnolo Cobo e davanti al compagno Bradley Wiggins, campione olimpico e mondiale su pista, nel frattempo concentratosi anche sulla strada in virtù di percorsi adatti alle sue caratteristiche, soprattutto il Tour de France (che per qualche tempo abbandonò le grandi salite). Nel 2012 Froome deve, controvoglia, fungere da gregario per Wiggins sulle strade transalpine, finendo secondo dietro il connazionale e davanti a Nibali, ma diverrà presto capitano. Nel 2013 vince Giro di Romandia e Criterium del Delfinato, corse di avvicinamento alla Grande Boucle, e domina il Tour, conquistando tre tappe e chiudendo a Parigi con un vantaggio abissale sugli inseguitori.
L’accusa che spesso è stata fatta a Froome era quella di non dedicarsi ad altre corse durante l’anno che non fossero il Tour e le brevi gare a tappe di fine primavera e inizio estate, tutte finalizzate all’imperdibile appuntamento di luglio. Il britannico, però, nelle sue stagioni migliori non diede molto peso a tali speculazioni, partecipando raramente alle Classiche Monumento e ad altre gare che non fossero in terra francese, anche per accontentare gli sponsor. Al Tour fallirà clamorosamente nel 2014 dopo il disastro sul pavé della quinta tappa, ma si rifarà ampiamente vincendo nel 2015, nel 2016 e nel 2017, stagione nella quale otterrà anche il trionfo alla Vuelta di Spagna.
Così, nel 2018, Froome punterà finalmente anche al Giro d’Italia: dopo una prima parte di corsa abbastanza travagliata, nella diciannovesima tappa, la Venaria Reale-Bardonecchia, il britannico sarà protagonista di un’azione da fuoriclasse, partendo in fuga a 80 km dal traguardo e precedendo gli avversari con distacchi consistenti al traguardo, approfittando inoltre della crisi della maglia rosa Simon Yates per conquistare la vetta della classifica, che conserverà fino all’arrivo finale di Roma. Al Tour dovrà però cedere le armi al compagno di squadra Geraint Thomas, giungendo terzo a Parigi dietro anche all’olandese Dumoulin.
Un grave incidente al Giro del Delfinato del 2019 estrometterà Froome dalle corse per un lungo periodo: l’unica gioia sarà quella dell’assegnazione della Vuelta 2011 dopo la squalifica per doping dello spagnolo Cobo, ma dovrà attendere l’autunno 2020 per tornare a correre, dimostrando però una condizione abbastanza precaria e abbandonando il Team Ineos (ovvero il nuovo Team Sky). Anche il 2021 sarà difficile, nonostante il passaggio al Team Israel – Premier Tech, che lo avrà tra le proprie fila anche nelle due stagioni successive e con il quale ha ancora attualmente un contratto. Ci auguriamo di ritrovare nuovamente qualche brillante azione da campione, quale Chris Froome ha sempre dimostrato di essere.
16. Costante Girardengo
Costantino Girardengo, detto Costante, è stato uno dei pionieri del ciclismo italiano, probabilmente il primo vero Campionissimo ancora prima di Fausto Coppi. Fu professionista in un arco di tempo lunghissimo, dal 1912 (fermandosi durante gli anni della Grande Guerra) al 1936. In questo periodo, scrisse il proprio nome nella leggenda. Corridore completo e molto veloce, fu in grado di vincere più volte le corse più prestigiose alle quali prese parte, in particolare nei roboanti primi anni Venti del Novecento, il suo periodo migliore.
Trionfò, infatti, per due volte al Giro d’Italia (1919, 1923), per sei volte alla Milano-Sanremo (1918, 1921, 1923, 1925, 1926, 1928) e per tre volte al Giro di Lombardia (1919, 1921, 1922). Ottenne, inoltre, tantissimi successi al Giro del Piemonte, al Giro dell’Emilia e vinse per nove volte consecutive il campionato italiano su strada, un record tutt’ora mai battuto.
17. Learco Guerra
Professionista dal 1928 ai primi anni Quaranta, Learco Guerra fu uno straordinario passista, competitivo anche nelle volate di gruppo, grazie al fisico possente e a una proverbiale velocità. Soprannominato la Locomotiva Umana dal direttore della Gazzetta dello Sport degli anni Venti e Trenta, Emilio Colombo, Guerra vinse il Giro d’Italia nel 1934, la Milano-Sanremo nel 1933 e il Giro di Lombardia l’anno seguente. Si piazzò, inoltre, due volte secondo al Tour de France in entrambe le sue partecipazioni (1930, 1933). Vinse, inoltre, il campionato del mondo a cronometro nell’edizione di Copenaghen nel 1931. Ottenne, complessivamente, oltre ottanta successi nell’arco della carriera, conclusa nei primi anni Quaranta.
18. Alfredo Binda
L’Imbattibile, ma anche Il Signore delle Montagne, per le sue grandi qualità di scalatore: Alfredo Binda vantava più di un soprannome e, del resto, la leggenda accompagnava il suo nome. Un altro dei grandi campioni a cavallo tra le due guerre: professionista dal 1922 al 1936, vinse per cinque volte il Giro d’Italia (1925, 1927, 1928, 1929, 1933), per due volte la Milano-Sanremo (1929, 1931) e per quattro volte il Giro di Lombardia (1925, 1926, 1927, 1931). Fu, inoltre, per quattro volte campione italiano su strada ma, soprattutto, per tre volte campione del mondo: trionfò in Germania nel 1927, in Belgio nel 1930 e a Roma nel 1932.
Il suo rapporto con la Nazionale non finì affatto lì: nel secondo dopoguerra, divenne il nuovo commissario tecnico, guidando Bartali e Coppi, e non solo, a numerosi trionfi sia al Tour de France (all’epoca riservato alle selezioni per Paese) che in numerose rassegne iridate.
19. Fiorenzo Magni
Nella rivalità tra Gino Bartali e Fausto Coppi si inserì, nel dopoguerra, un altro grande campione: Fiorenzo Magni. Professionista dal 1941 al 1956, il corridore toscano (che gareggiava sia su strada che in pista) si impose per tre volte al Giro d’Italia (1948, 1951, 1955), vincendo sei tappe e vestendo per ventiquattro giorni la Maglia Rosa. Sfiorò più volte l’affermazione alla Milano-Sanremo, alla Parigi-Roubaix e al Giro di Lombardia, senza riuscire mai a vincere; il suo terreno di conquista nelle Classiche Monumento fu però il Giro delle Fiandre, in cui trionfò per tre edizioni consecutive dal 1949 al 1951. Così, il Terzo Uomo divenne il Leone delle Fiandre, entrando nella storia.
20. Paolo Bettini
Soprannominato Il Grillo, Paolo Bettini è stato tra i più grandi corridori da classiche di sempre. Cacciatore di tappe nei tre Grandi Giri (ha vinto frazioni sia al Giro, al Tour e alla Vuelta), erano le corse di un giorno quelle dove il campione toscano eccelleva. Il suo palmarès conta la Milano-Sanremo del 2003, due Liegi-Bastogne-Liegi (2000, 2002) e due Giri di Lombardia (2005, 2006): cinque Classiche Monumento in totale, che lo decretano come uno dei grandi. Inoltre, in carriera può vantare tre affermazioni nella Coppa del Mondo a punti, consecutivamente dal 2002 al 2004: una competizione che comprendeva le principali corse in linea del calendario internazionale, che confermava la capacità di Bettini di eccellere su più terreni.
Ma i successi più leggendari sono quelli ottenuti con la maglia nella Nazionale. Bettini trionfò infatti nella prova in linea alle Olimpiadi di Atene 2004 e in due edizioni del Campionato del Mondo: a Salisburgo nel 2006 e a Stoccarda nel 2007. Un periodo d’oro, culminato negli anni della maturità atletica, che consacrò Bettini nella storia del ciclismo italiano. Dopo il ritiro, il toscano divenne Commissario Tecnico degli Azzurri dal 2010 al 2013, senza però ottenere le stesse soddisfazioni che aveva avuto in carriera.