Quando il pubblico ha cominciato a conoscerla, all’inizio degli anni Novanta, era la ragazza del North Carolina che dietro il pianoforte, con il suo sguardo infuocato, una cascata di riccioli color rosso fuoco e una voce inconfondibile, dava forma a passioni, fragilità e demoni attraverso le proprie canzoni. Dall’exploit di Little Earthquakes, nel 1992, Tori Amos è stata consacrata ben presto come regina dell’alternative rock e portabandiera di una nuova generazione di cantautrici, insieme a colleghe come Björk e PJ Harvey. Un talento, quello di Myra Ellen Amos (lo pseudonimo Tori deriva da un suo vecchio soprannome, riferito al pino californiano Torrey), in grado di coniugare la sensibilità acuta e sofisticata di Joni Mitchell con una natura più ruvida e ferina, influenzata anche dal rock e dal punk (memorabile la sua cover datata 1992 di Smell Like Teen Spirit dei Nirvana).
E tuttavia, a dispetto dei paragoni ‘ingombranti’ (Joni Mitchell, Kate Bush) da parte della stampa, Tori Amos ha sviluppato uno stile personalissimo, cesellato attorno a una capacità espressiva pressoché unica: nella sua voce da mezzo soprano hanno trovato posto la dolcezza e la ferocia, la fragilità e la rabbia, un’ironia beffarda e una nuda sincerità (un esempio su tutti, la scarna rievocazione di uno stupro di Me and a Gun). Ultimo tassello, in ordine di tempo, di una carriera che le ha fatto registrare venti milioni di dischi venduti è Ocean to Ocean, un album registrato in Cornovaglia durante il lockdown e incentrato non a caso sul senso di perdita e sul desiderio di rinascita.
A supporto dell’album, la signora Amos si imbarcherà in un tour europeo che il 22 febbraio la porterà anche a Milano, al Teatro degli Arcimboldi. E per festeggiare il suo ritorno sulla scena, di seguito vi proponiamo un itinerario fra le canzoni più famose di Tori Amos.
1. Silent All These Years
Il brano che, nel 1992, attira per la prima volta l’attenzione del pubblico su Tori Amos è Silent All These Years, ballata al pianoforte in cui l’artista, all’epoca ventottenne, sembra mettersi a nudo in un toccante dialogo-confessione, paragonandosi a una sirena in jeans che finalmente, dopo un lungo silenzio, riesce a sentire la propria voce. In questa lucida autoanalisi, la giovane Tori riversa molti elementi-chiave della sua produzione: il conflitto con l’educazione e la coscienza, elaborato mediante un immaginario religioso («I got the Antichrist in the kitchen yellin’ at me again»); la consapevolezza di sé e della percezione da parte del mondo esterno («So you found a girl who thinks really deep thoughts»); e una doppietta di versi che, nella loro semplicità («I got twenty-five bucks and a cracker/Do you think it’s enough to get us there?»), sono fra i più romantici mai composti dalla Amos.
2. Crucify
Brano d’apertura dell’album Little Earthquakes, ma ripubblicato nell’estate del 1992 anche all’interno di un omonimo EP, Crucify è un pezzo di vibrante intensità, in cui Tori Amos si interroga sul senso di colpa che la società e l’educazione hanno indotto in lei e in intere generazioni di donne («Got enough guilt to start my own religion»), sul conseguente squilibrio nel rapporto con gli uomini e con il sesso («I’ve been looking for a savior in these dirty streets») e sulla necessità di smettere di crocefiggersi e di spezzare finalmente le proprie catene («I said my heart is sick of being in chains»).
3. Cornflake Girl
A due anni esatti di distanza da Little Earthquakes, nel gennaio 1994 Tori Amos presenta l’altro suo capolavoro, Under the Pink, album promosso dalla canzone Cornflake Girl. L’espressione del titolo, introdotta fin dal verso d’apertura, identifica una donna disposta a tradire un’amicizia; e sebbene il testo mantenga un certo alone enigmatico, il brano assume i contorni di una tagliente invettiva, con quel trascinante ritornello scandito dall’ossessiva ripetizione della frase «Rabbit, where’d you put the keys, girl?». Considerato il singolo più ‘radiofonico’ di Tori Amos, Cornflake Girl diventerà un grande successo in Gran Bretagna e porterà Under the Pink al primo posto in classifica.
4. God
Singolo di lancio di Under the Pink negli Stati Uniti, God è un altro cavallo di battaglia nella produzione della cantautrice americana, che qui torna ad affrontare il tema del rapporto con la fede e la religione (e il riferimento alla religione viene ripreso anche nel relativo video musicale). «I gotta find why you always go when the wind blows» è la frase sferzante che allude al “silenzio di Dio”, in un brano formidabile in cui Tori Amos, figlia di un pastore metodista, si richiama al rapporto con la trascendenza per dar voce alle proprie inquietudini.
5. Pretty Good Year
Secondo brano di Tori Amos, dopo Cornflake Girl, a penetrare nella Top 10 in Gran Bretagna, Pretty Good Year è un’altra commovente ballata al pianoforte in cui la cantautrice del North Carolina si confronta con la solitudine, la depressione e il senso di fallimento. Il destinatario dei versi, Greg, è infatti un ragazzo che «scrive lettere e brucia i suoi CD», e al quale la Amos rivolge tutta la propria empatia, insieme al tenero incoraggiamento racchiuso nel titolo.
6. Caught a Lite Sneeze
Nel gennaio 1996 viene dato alle stampe Boys for Pele, per molti aspetti l’album maggiormente sperimentale e ambizioso firmato da Tori Amos. La componente più ‘selvaggia’ e aggressiva del disco, evidente fin dal fucile imbracciato da Tori nella foto di copertina, si ritrova nella performance del singolo di lancio, Caught a Lite Sneeze, nel risentimento che trapela da ogni sillaba del testo e dall’amara disillusione su un amore ormai giunto alla fine («Didn’t know our love was so small»).
7. Hey Jupiter
La riflessione sulla sofferenza e l’impulso all’autodistruzione sono gli elementi al cuore di Hey Jupiter, una fra le ballate più struggenti contenute in Boys for Pele. «No one’s picking up the phone, guess it’s me and me» è la frase d’apertura in cui Tori Amos, che nei versi si definisce una “piccola masochista”, descrive il senso di abbandono e di vuoto («You left my heart soaking wet/ Boy, your boots can leave a mess») e la necessità di contare su una persona amica («Thought we both could use a friend to run to»). Se nell’album Hey Jupiter è presente in un semplice arrangiamento al pianoforte, nell’agosto 1996 il brano verrà ripubblicato in formato EP in una nuova versione (la cosiddetta Dakota version) con l’apporto di un maggior numero di strumenti.
8. Professional Widow
Se Hey Jupiter conosce una rinnovata fortuna nella succitata Dakota version, ancora più radicale è la trasformazione a cui viene sottoposta un’altra canzone di Boys for Pele, Professional Widow, destinata a rivelarsi il successo più inaspettato e anomalo nella carriera di Tori Amos. Nata come un brano sarcastico e feroce, con sfumature quasi grunge e una citazione da Edgar Allan Poe, Professional Widow è oggetto di un remix del dee-jay americano Armand van Helden: una versione dance in cui quasi tutto il testo viene sostituito dalla ripetizione di due soli versi. Lanciato come un pezzo da discoteca, nell’ottobre 1996 il cosiddetto Armand’s Star Trunk Funkin’ Mix raggiunge la vetta nella classifica in Italia, mentre nel gennaio 1997 conquisterà il primo posto anche in Gran Bretagna, diventando il singolo più venduto della Amos in Europa.
9. Spark
Con impressionante puntualità, nel 1998, è la volta di un nuovo album per Tori Amos, From the Choirgirl Hotel, anticipato da una delle canzoni più intime e dolorose del suo repertorio. In Spark, la Amos racconta infatti dell’aborto spontaneo che aveva appena subito e del successivo vortice di emozioni, alternando una spiazzante durezza («She’s convinced she could hold back a glacier/ But she couldn’t keep baby alive») a un’ironia blasfema («If the divine master plan is perfection/ Maybe next I’ll give Judas a try») e realizzando così uno dei suoi brani più intensi.
10. A Sorta Fairytale
Il nostro percorso, in ordine cronologico, si conclude con A Sorta Fairytale, singolo portante del suo magnifico album del 2002, Scarlet’s Walk, accompagnato da un poetico video in cui Tori Amos recita accanto all’attore Adrien Brody. In questa splendida ballata on the road, la Amos rievoca il ricordo di un amore dai contorni quasi fiabeschi, ma soprattutto la sua fine («And I rode along side ’till you lost me there in the open road»); la rabbia del passato, tuttavia, qui cede il posto a un malinconico rimpianto e a una consapevolezza più ‘adulta’, rintracciabile anche nel resto del disco.