«Strano, ho già visto quel volto/ L’ho visto intorno alla mia porta/ Come un falco che avventa la preda/ Come la notte che aspetta il giorno»: la prima strofa di I’ve Seen That Face Before (Libertango) è un’immersione nel regno dell’inquietudine, l’incipit in medias res di un racconto noir accompagnato dal suono di una fisarmonica. La melodia, inconfondibile, è quella di Libertango, la composizione più celebre del musicista argentino Astor Piazzolla, mentre la voce che ci proietta in questo oscuro incanto appartiene a Grace Jones. È il maggio 1981 quando I’ve Seen That Face Before (Libertango), rivisitazione del classico di Piazzolla, approda nei negozi di dischi, in coincidenza con l’album Nightclubbing: una scommessa che, da lì a breve, avrebbe segnato l’apice nella carriera dell’ex modella giamaicana, all’epoca trentatreenne e fin dal 1975 attiva in campo musicale, con risultati altalenanti ma ormai avviata a conquistarsi un posto di rilievo fra le icone della cultura popolare degli anni Ottanta.
Grace Jones, dalla disco music agli anni Ottanta
Arrivata all’attenzione del pubblico europeo (in particolare in Francia e in Italia) nel 1977 con la sua originalissima incisione de La Vie en rose, con il declino della disco music Grace Jones rischia di veder svanire quasi subito la notorietà raccolta tra i frequentatori di night-club o di essere considerata solo una delle tante epigoni di Donna Summer e Gloria Gaynor. Provvidenziale e tempestiva, dunque, la svolta del 1980 con Warm Leatherette, album in cui la Jones assimila le influenze della new wave e del reggae registrando quasi esclusivamente cover, da Tom Petty ai Roxy Music; fra i pezzi più riusciti del disco spiccano la title track, The Hunter Gets Captured by the Game di Smokey Robinson e una suggestiva versione di Private Life dei Pretenders, contrassegnata da un cantato freddo e robotico. Nel frattempo, a cristallizzare l’immagine androgina e vagamente minacciosa della Jones saranno gli scatti del suo partner, il fotografo Jean-Paul Goude.
Ed è sempre Goude, a un anno di distanza da Warm Leatherette, a immortalare Grace Jones sull’indimenticabile copertina di Nightclubbing: il mezzobusto in una giacca maschile di Armani, la sigaretta sospesa sulle labbra e la forma quasi conica del cranio, con quel taglio di capelli a esaltarne l’innaturale rigore geometrico. Ma soprattutto c’è lo sguardo tagliente della Jones, puntato dritto verso l’osservatore: la sua espressività gelida e imperiosa si conferma parte integrante del ‘personaggio’ Grace Jones, diva sui generis che rovescia totalmente i paradigmi di femminilità delle altre popstar di inizio decennio. Misteriosa, altera e con una scintilla di ferocia che le balugina negli occhi (non a caso i video musicali del periodo, diretti da Jean-Paul Goude, sono costituiti essenzialmente da suoi primi piani), l’indomabile Grace saprà irretire un numero sempre crescente di fan e da lì a breve anche gli spettatori delle sale cinematografiche, che la vedranno al fianco di Arnold Schwarzenegger in Conan il distruttore e di Roger Moore in 007 – Bersaglio mobile.
Nightclubbing: sans regret, sans mélo
Nightclubbing, il cui brano eponimo è la cover di un pezzo scritto nel 1977 da David Bowie e Iggy Pop, riprende l’amalgama di art pop, reggae e new wave già sperimentato nell’album precedente, ma concedendo più spazio alle canzoni originali della Jones (la trascinante Pull Up to the Bumper, Art Groupie, Feel Up) e spaziando nel campo della ballad con la malinconica I’ve Done It Again di Marianne Faithfull in chiusura. Il lancio dell’album viene affidato alla ritmata Demolition Man, composta da Sting, ma l’assalto alle classifiche è un buco nell’acqua; tre mesi più tardi, il cambio di rotta con I’ve Seen That Face Before (Libertango) sarà ben più fortunato, tanto da rendere Nightclubbing un best-seller in paesi come Francia e Germania e da ampliare la fama di Grace Jones pure negli Stati Uniti. A cementare Libertango nell’immaginario collettivo provvederà inoltre Roman Polanski nel 1988, quando la inserirà nella colonna sonora di Frantic.
Del resto, quale brano più adatto ad evocare l’atmosfera di sensualità e di pericolo del thriller con Harrison Ford? I versi scritti dalla Jones e da Barry Reynolds conferiscono infatti al tango di Astor Piazzolla una precisa dimensione narrativa, che colloca il racconto nelle strade notturne di Parigi («Rainy nights on Hausmann Boulevard/ Parisian music drifting from the bars»), ne sottolinea la componente noir («Staring eyes chill me to the bone») e dal romanticismo delle fisarmoniche non tarda a scivolare in territori ben più sinistri, con Grace Jones che apostrofa l’ascoltatore per domandargli, in francese, «Che cosa cerchi, vuoi incontrare la morte?». Perfetta sintesi di erotismo, angoscia e senso di solitudine (ma «Sans regret, sans mélo»), Libertango si dimostrerà uno dei successi più atipici del proprio tempo, nonché la definitiva conferma del talento di un’interprete che si sarebbe sottratta alle mode per cominciare a dettarle lei stessa.