Spesso ci si chiede perché il Festival di Sanremo si guadagni ogni anno uno spazio così grande nell’opinione pubblica e tra le persone comuni. Da ormai 71 anni, l’Italia quasi si ferma per osservare un evento che fonde musica e spettacolo, nonostante abbia viaggiato a fasi alterne per lungo tempo, prima di rifiorire definitivamente riaffermando la propria importanza. La risposta è molto semplice: perché Sanremo fa parte della storia del nostro Paese.
Già dalla prima edizione del 1951, quando stavamo uscendo faticosamente dal dopoguerra di ricostruzione, il Festival ha rappresentato una speranza di fuga dalla quotidianità, la possibilità di sognare attraverso una musica nuova che superasse il periodo del boogie-woogie americano e proponesse sonorità originali e coinvolgenti, attraverso i talenti emergenti del panorama italiano. Durante il boom economico degli anni ’60, ha accompagnato il veloce cambiamento nel costume e nella moda. Negli anni ’70, ha dapprima intercettato la contestazione e le rivendicazioni sociali, per poi segnare un periodo di grigiore corrispondente ai cosiddetti anni di piombo. Gli sgargianti ed effervescenti anni ’80 hanno caratterizzato la ripresa dell’evento, ma la crisi discografica e le frizioni tra etichette e organizzatori non hanno risparmiato la kermesse. Finché il quinquennio con Pippo Baudo al timone, negli anni ’90, non ha aperto una fase del tutto nuova, con una narrazione prevalentemente televisiva e la resa spettacolare posta sullo stesso piano della proposta musicale.
Negli anni Duemila, il Festival di Sanremo ha trascorso annate di grande successo e tracolli clamorosi, tanto che la Rai, da sempre in prima linea per la trasmissione dell’evento, dopo l’edizione 2008 (la meno vista di sempre in termini di ascolto) si chiese se fosse stato il caso di continuare e credere ancora nella forza della manifestazione. Ma scelte finalmente azzeccate dal punto di vista artistico e l’avanzamento dei nuovi media hanno successivamente rilanciato Sanremo, riportandolo al centro della stagione televisiva italiana e dell’interesse generale.
In attesa di aggiungere anche la 71^ edizione all’archivio della kermesse, dunque, riavvolgiamo il nastro e andiamo a riscoprire quali sono stati i momenti più significativi della storia del Festival di Sanremo.
1. 1951: L’inizio
Il 29 Gennaio 1951, il Salone delle feste del Casinò municipale di Sanremo ospitava la prima delle tre serate di un nuovo evento, il “Festival della Canzone Italiana”. Una denominazione chiara che riassumeva le intenzioni del maestro Giulio Razzi, direttore della Radio di Stato e dell’evento. Era infatti arrivato il momento di superare sonorità ormai sorpassate e dare spazio a giovani artisti emergenti, sia tra coloro che si dedicavano alla musica a tempo pieno, che tra quelli che avevano un doppio lavoro per cercare di sbarcare il lunario nelle difficoltà del dopoguerra, ma senza rinunciare a coltivare la propria passione.
L’arrivo del rock era ancora lontano, ovviamente, ma le canzoni selezionate misero in mostra un’indubbia freschezza. All’invito pubblicato sul Radiocorriere risposero le case editrici musicali inviando ben 240 brani, dai quali ne vennero scelti 20, che sarebbero stati eseguiti dall’orchestra del maestro Cinico Angelini e dal cantante mantovano Achille Togliani, dal duo delle gemelle torinesi Dina e Delfina Fasano e dalla bolognese Nilla Pizzi. Quest’ultima sarà incoronata regina del Festival, vincendo con l’indimenticabile Grazie dei fiori, e sarà protagonista anche delle edizioni successive, dando così avvio alla nuova stagione della canzone italiana.
2. 1958: Nel blu dipinto di blu
Il dominio della Regina Pizzi sembrava volgere al termine quando, nel 1958, a contenderle il primato arrivarono cantanti emergenti che comunque ricalcavano uno stile non molto distante: tra tutti, Aurelio Fierro e Claudio Villa. Ci si attendeva un’edizione interessante, nel segno della continuità e dell’esecuzione duplice di ogni brano: l’orchestra sarebbe stata diretta da Alberto Semprini e Cinico Angelini, e ogni canzone eseguita da più artisti. Ma a stravolgere le certezze di organizzatori e appassionati fu un cantautore pugliese emergente, che dopo tantissima gavetta aveva finalmente ottenuto la sua occasione al Festival: parliamo, ovviamente, di Domenico Modugno.
Nel blu dipinto di blu sbaragliò la concorrenza, conquistando il pubblico di Sanremo e tutti gli italiani. Modugno fu il primo autore nella storia della manifestazione a cantare un brano composto personalmente, scritto insieme a Franco Migliacci ed eseguito anche da Johnny Dorelli durante le tre serate. La canzone verrà conosciuta e amata in tutto il mondo come Volare, la parola che apre l’indimenticabile ritornello. Il brano aveva sonorità swing e richiami al classico, ma proponeva un arrangiamento innovativo per l’epoca. Ma fu soprattutto l’esibizione a ribaltare antiche concezioni: Modugno superò l’idea della rigidità sul palco e suggerì al pubblico una gestualità innovativa, aprendo le sue braccia verso l’infinito e abbracciando idealmente ogni ascoltatore. E anche l’esecuzione canora, libera da ogni vincolo formale, diede una sensazione di libertà come nessun altro aveva fatto prima.
Sanremo aveva appena spiccato il volo verso il futuro, e l’Italia che si affacciava sugli anni ’60 insieme ad esso.
3. 1967: La scomparsa di Tenco
Gli anni ’60 del Festival avevano proposto tanta buona musica e toccato nuove vette di popolarità, nonostante alcune fasi difficili nel rapporto tra organizzazione ed etichette discografiche.
L’edizione 1967, organizzata dallo storico patron Gianni Ravera e presentata da Mike Bongiorno e Renata Mauro, prevedeva trenta canzoni in gara e una serie di eliminazioni in vista della serata finale. Tra le prime canzone escluse vi fu anche Ciao amore ciao, scritta da Luigi Tenco e portata in gara dal cantautore piemontese insieme a Dalida. Tenco, artista dalla spiccata sensibilità e molto attento alle questioni sociali e politiche ben prima dell’epoca della contestazione, verrà trovato morto nella sua stanza dell’Hotel Savoy nella notte tra il 26 e il 27 gennaio. Accanto al suo corpo, un biglietto, a lui attribuito:
“Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli dedicato cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro), ma come atto di protesta contro una giuria che manda in finale Io, tu e le rose e una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao, Luigi.”
L’ipotesi del suicidio venne da subito accreditata, ma un gesto simile non poteva ricevere la giusta considerazione, nella sua tragicità, sui mezzi d’informazione dell’epoca, ancora molto vicini a posizioni clericali e conservatrici. Gli organizzatori cercarono di attutire l’accaduto e, dopo una notte di trattative, venne deciso che il Festival sarebbe arrivato a conclusione. Le indagini sulla morte di Tenco, approssimative e incerte, portarono a mettere in discussione per anni l’ipotesi del suicidio, tanto da aggiungere alla vicenda contorni impensabili. Almeno finché, nel 2006, non si pose un punto all’intera questione. Il grido di Tenco squarciò l’opinione pubblica, scatenando inevitabili riflessioni su una macchina dello spettacolo capace di fagocitare le persone e gli artisti. Le parole più opportune furono quelle di Lello Bersani, inviato della Rai: “Tenco, con il suo gesto, ha dato uno schiaffo a tutto il mondo. No, non perché è stato escluso, perché la sua canzone non ha vinto, è qualcosa di più profondo indubbiamente, ma non sta a noi giudicare. Questo gesto assurdo condanna tanta gente, condanna tanti di noi”.
4. 1980: Ciclone Benigni
Il periodo della contestazione, seguito dagli anni di piombo e dal tragico 1978, condizionarono il Festival di Sanremo, che perse di vigore anche a causa di scelte non sempre lungimiranti da parte dell’organizzazione. È come se l’evento non fosse più la vetrina per la musica italiana, ma solo per i personaggi che lo componevano da un’edizione all’altra e per le case discografiche, sempre pronte a utilizzare Sanremo per raggiungere i propri obiettivi di vendita.
Il 1980 sarebbe stata l’edizione della rinascita. Doveva esserlo. Tornato Gianni Ravera alla direzione, venne scelto il disc jockey Claudio Cecchetto per le prime due serate e, per la finale, anche l’emergente attore comico Roberti Benigni e l’affascinante Olimpia Carrisi. Mentre la disco music spopolava e le novità degli anni Ottanta avrebbero presto cambiato il panorama artistico anche in Italia, venne selezionato un cast artistico con diversi giovani e qualche immancabile certezza come Bobby Solo e Peppino Di Capri. A vincere fu Toto Cutugno con Solo noi, prima affermazione per un cantautore subito molto amato dal pubblico. A dare una ventata d’aria nuova allo spettacolo e alla narrazione televisiva fu invece Roberto Benigni, autentico mattatore della finale di sabato 9 Febbraio. Tra sketch, battute, siparietti imprevedibili, un bacio appassionato alla Carrisi e un talento comico naturale, l’artista toscano fu il protagonista indiscusso di un Festival che aveva nuovamente appassionato l’opinione pubblica. Non mancarono le polemiche, in particolare per una frase che Benigni “dedicò” a Papa Wojtyla. Ma il ciclone Roberto aveva appena spazzato via la malinconia degli anni ’70.
5. 1983: Vita spericolata
Aver nuovamente riportato l’attenzione sul Festival mostrava anche le incongruenze dell’organizzazione. Nel 1982, dubbi sul sistema di voto e sulle giurie diede adito a contestazioni e feroci polemiche, con la vittoria di Riccardo Fogli e della sua Storie di tutti i giorni addirittura prevista da molti. Così, nel 1983 Ravera corse ai ripari, cambiando il regolamento e rendendo più trasparente il meccanismo di elezione del vincitore. Il podio finale fu quasi impronosticabile: vinse Tiziana Rivale con Sarà quel che sarà, seconda Donatella Milani con Volevo dirti, terza Dori Ghezzi con Margherita non lo sa. Le tre artiste precedettero i Matia Bazar e Toto Cutugno, in gara rispettivamente con Vacanze romane e L’italiano. Due brani che divennero ancora più popolari, come del resto il venticinquesimo classifica di quell’edizione del Festival: Vasco Rossi.
Il cantautore modenese, con già alcuni album all’attivo, aveva debuttato a Sanremo l’anno precedente (insieme a un altro che avrebbe fatto la storia della musica italiana, Zucchero Fornaciari) con Vado al massimo, non riuscendo a lasciare il segno. Ci riprovò nell’83, non ottenendo ancora una volta buoni risultati in termini di piazzamento, ma Vita spericolata fu un brano a cui l’artista lavorò a lungo e che metteva in luce tutto il talento di Vasco, tanto da scalare velocemente le graduatorie di vendita e raggiungere il sesto posto assoluto. Come per altri prima e dopo di lui, si instaurò una tradizione particolare: non conta la posizione finale a Sanremo, ma conta esserci. Ultimi o primi, si può comunque arrivare al pubblico.
6. 1988: Perdere l’amore
Gli anni Ottanta furono certamente caratterizzati da buona musica, tanti artisti emergenti e una dose di rinnovamento indubbio, ma sull’altare dello spettacolo e delle vendite da ottenere per le case discografiche vennero scarificati due aspetti fondamentali: l’esibizione dal vivo e l’orchestra. Vennero introdotti il playback e le basi musicali, per avere la certezza di non sbagliare un colpo. Di fatto, l’evento musicale non fu tale, rimanendo invece prettamente televisivo. Per fortuna, questa brutta tradizione durò soltanto fino al 1985: dall’anno seguente si tornò a cantare in presa diretta, per l’orchestra si sarebbe dovuto ancora attendere.
Il 1986 e il 1987, con i trionfi del giovane Eros Ramazzotti con Adesso tu e del trio Ruggeri, Tozzi e Morandi con Si può dare di più, si tornò a uno spettacolo di grande qualità, anche grazie a numerosi ospiti internazionali che confermavano l’apertura di Sanremo all’estero, in un periodo in cui i gruppi dominavano la scena musicale. Nel 1988, l’organizzazione diretta da Marco Ravera (figlio del patron Gianni, scomparso qualche tempo prima) approntò, ancora una volta, un cast artistico di prim’ordine, in quattro serate condotte da più personalità, dopo la rottura tra Baudo e la Rai. A vincere, con percentuali di gradimento straordinarie, fu Massimo Ranieri con un brano che ha fatto la storia, Perdere l’amore, scritto da Giampiero Artigiani e Marcello Marocchi. Un autentico capolavoro, interpretato da maestro da Ranieri, che tornava al Festival dopo diciannove anni dall’ultima partecipazione e a distanza di dodici dalla realizzazione dell’ultimo album di musica leggera.
7. 1992-1996: il regno di Pippo Baudo
Dopo un paio di edizioni sottotono, nel 1992 al timone del Festival tornò Pippo Baudo, che ripristinò le eliminazioni, confermò insieme alla Rai le quattro serate e, andando in controtendenza rispetto agli anni ’80, pose lo spettacolo televisivo come principale obiettivo da raggiungere, a dispetto degli interessi commerciali delle etichette. Inevitabilmente, col rischio di non arrivare in finale, molte grandi firme iniziarono ad allontanarsi dalla gara, ma il cambiamento cui il mercato discografico stava andando incontro cambiò le logiche annesse al Festival, sempre più vetrina e sempre meno trampolino. Non certo per i giovani cantanti, però; e, in quanto a scopritore di talenti, Baudo non è mai stato secondo a nessuno.
Tra il 1992 e il 1996, il Pippo nazionale assunse l’eredità ideale di Gianni Ravera, divenendo anche direttore artistico del Festival (e delle tre reti Rai) nel 1995. Sotto la sua direzione, Sanremo venne delineato sotto ogni punto di vista, in modo che potesse magari cambiare da un’edizione all’altra ma non venisse più stravolto nella sua struttura, anche per mantenere credibilità e continuità, a prescindere da chi l’avrebbe condotto. Vennero introdotte le cinque serate, il Dopofestival, la sigla “Perché Sanremo è Sanremo” e le “vallette”, quest’ultimo indubbio punto debole di una narrazione superficiale nel non dare alle donne il giusto spazio nel mondo dello spettacolo, fortunatamente ormai superata.
Con vincitori straordinari (Luca Barbarossa, Enrico Ruggeri, Aleandro Baldi, Giorgia e Ron con Tosca) e artisti in ascesa (Laura Pausini, Andrea Bocelli, Gianluca Grignani, Carmen Consoli, Daniele Silvestri, Elio e le storie tese e la stessa Todrani) il quinquennio baudiano è ancora adesso ricordato come un periodo insuperabile.
8. 2008-2009: tra crisi e rilancio
Il decennio seguente al lustro Baudo degli anni ’90 portò a una certa alternanza alla conduzione del festival: da Mike Bongiorno (1997, con la clamorosa vittoria del duo dei Jalisse con Fiumi di parole) a Raimondo Vianello (1998), poi Fabio Fazio (1999-2000), Raffaella Carrà (2001), un altro biennio Baudo, caratterizzato da ascolti eccezionali soprattutto nel 2002, Simona Ventura (2004, in un’edizione complicata dai pessimi rapporti tra il direttore artistico Tony Renis e le case discografiche), Paolo Bonolis (2005) e Giorgio Panariello (2006, reduce da stagioni di successo al sabato sera di Rai 1 ma che firmò un Festival deludente). Così, per il 2007, a guidare la macchina Sanremo fu ancora una volta Baudo, affiancato da Michelle Hunziker. Un’edizione discreta con la bellissima Ti regalerò una rosa di Simone Cristicchi eletta canzone vincitrice.
Eppure, vi era la sensazione che qualcosa non funzionasse più, che Sanremo non attirasse l’attenzione né sul piano musicale né sul piano televisivo. Ascolti buoni ma non roboanti. Nel 2008, Baudo chiamò con sé Piero Chiambretti, eclettico autore e conduttore (già protagonista con Mike nel ’97). La formula prevedeva 20 brani in gara nella sezione Campioni e 14 nella sezione Giovani, con meccanismi lineari e un’impostazione delle serate priva di guizzi. Con scalette lunghe e poco dinamiche, e lo stile ormai compassato dello stesso Baudo, il risultato fu scialbo, con indici d’ascolto in discesa verticale dalla prima alla quarta serata e una timida ripresa per la finale (non oltre il 44% di share). Sembrava, più che altro, che Sanremo fosse rimasto incastrato su canoni ormai superati, anche perché il panorama televisivo stava rapidamente cambiando. Questo provocò tensione tra Baudo e la stampa e frizioni nei vertici Rai, che arrivarono a valutare se Sanremo fosse ancora centrale nei progetti dell’azienda di Stato. Per la cronaca, l’edizione fu vinta da Lola Ponce e Giò Di Tonno con Colpo di fulmine, brano scritto da Gianna Nannini.
Nel 2009, così, il direttore di rete Del Noce affidò un difficile incarico a Paolo Bonolis, onorato di condurre Sanremo per la seconda volta ma apertamente insofferente al canovaccio del Festival e persino alla location, il Teatro Ariston, ritenuto obsoleto nella concezione di “narrazione” voluta dal presentatore romano. Trovato un compromesso con l’azienda, Bonolis chiamò l’amico Luca Laurenti per essere affiancato sul palco e diede un’impronta diversa al Festival, ben prima della settimana in cui si sarebbe svolto (17-21 Febbraio). Confermate le due categorie (Artisti e Proposte), cambiarono alcuni dettagli del regolamento e si diede maggior peso al televoto, soprattutto in finale. Inoltre, Bonolis valorizzò l’avvicinamento all’evento coinvolgendo Radio Rai e creando una trasmissione che, già un mese prima il Festival, raccontasse il dietro le quinte. Sanremo tornò ad essere il fiore all’occhiello dell’intera azienda, per il quale tutti gli interessi avrebbero dovuto convergere, in un’unione d’intenti evidente. Così fu: serate frizzanti, tanti ospiti, giusto spazio alla musica e la verve di Bonolis ad amalgamare tutti gli ingredienti. L’interesse generale fu nuovamente molto alto e i fatti diedero ragione alle scelte effettuate dalla Rai: Sanremo aveva così superato la sua seconda più grave crisi dagli anni ’70. Il livello delle canzoni, però, non fu all’altezza dello spettacolo: vinse il giovane Marco Carta con La forza mia, ma le vere novità di rilievo furono nella sezione Proposte. Trionfò la rivelazione Arisa con Sincerità, ma in gara vi erano anche Malika Ayane con Come foglie e Simona Molinari con Egocentrica.
9. 2015: Grande Amore e il Sanremo contemporaneo
I primi anni del nuovo decennio avevano vissuto due doppie conduzioni, quelle di Gianni Morandi e di Fabio Fazio (che raggiunse le quattro in carriera nel 2014). Ma l’ingresso di Sanremo nella piena contemporaneità sarebbe giunto nelle edizioni successive. Nel 2015, al volto di punta della Rai, Carlo Conti, venne finalmente affidata la conduzione e la direzione artistica. Il presentatore toscano scelse due cantanti, Emma e Arisa (entrambe già campionesse del Festival), e l’attrice e modella spagnola Rocio Muñoz Morales per farsi affiancare sul palco dell’Ariston. Venti canzoni nella sezione Campioni, otto nelle Nuove Proposte. Scelte lineari, come del resto tutto lo spettacolo confezionato da Conti: preciso, puntuale, impeccabile. Lontani ormai i tempi di esperimenti estremamente pericolosi o nel quale venisse sacrificato qualche aspetto (una volta la scenografia, un’altra l’orchestra) per far posto a inutili orpelli. Sanremo funziona meravigliosamente e inizia a interagire con i nuovi media e la realtà della musica digitale a portata di tutti, aprendosi alle novità e cercando di portare dentro l’organizzazione del Festival solo quelle davvero funzionali.
A trionfare nella prima delle tre edizioni contiane (parecchio baudiane, ma certamente più fresche) fu il trio de Il Volo, composto dai tenori Piero Barone e Ignazio Boschetto e dal baritono Gianluca Ginoble. Una fusione tra musica pop e tradizione dell’opera per un gruppo in ascesa internazionale che si proponeva per la prima volta anche al pubblico italiano con un brano, Grande Amore, del tutto privo di innovazione ma valorizzato dalla loro performance. Precedettero in classifica un ritrovato Nek (Fatti avanti amore), Malika Ayane (Adesso e qui), Annalisa (Una finestra tra le stelle) e Chiara (Straordinario).
10. 2020: “Dov’è Bugo?”: il caso Morgan
Dopo gli ottimi 2016 e 2017 di Conti (il suo terzo Festival condotto in coppia con Maria De Filippi, in un ideale incontro tra Rai e Mediaset) e il biennio raffinato firmato da Claudio Baglioni (2018-2019), la Rai scelse di affidare l’evento a un altro volto molto amato dal pubblico, il ritrovato Amadeus, che aveva ottenuto una “seconda giovinezza” mettendo a segno un successo dietro l’altro. Per l’occasione, il conduttore ravennate volle accanto a sé l’amico Rosario Fiorello, con il quale aveva condiviso gli esordi nel mondo dello spettacolo negli studi milanesi di Radio Deejay tra fine anni ’80 e inizio anni ’90 ma non aveva più avuto modo di collaborare artisticamente. Fiorello, showman e autore di successi straordinari in radio e tv con la Rai, si era sempre tenuto a debita distanza dal Festival, accettando ruoli da ospite ma mai da protagonista assoluto, fino a quando non ha accettato l’irrinunciabile proposta di Amadeus, anche direttore artistico della rassegna 2020.
L’edizione scorsa è stata un trionfo in termini di gradimento e di ascolti, con uno spettacolo di ottimo livello e scelte calibrate sul piano musicale, e un’interazione ormai totale con i social network e le loro potenzialità, che ne hanno decretato il successo anche tra il pubblico più giovane. Vincitore della gara è stato il cantautore Diodato, che ha fatto incetta di riconoscimenti e premi con la sua Fai rumore. Ma il fatto più curioso, divertente e per certi versi unico del primo Festival di Amadeus è stato senza dubbio il “caso Morgan”.
Quarta serata. Sono previste le esibizioni di tutte gli artisti, che canteranno per la seconda volta in gara il proprio brano. È ormai l’1:40 (ecco, se un difetto si è potuto far notare ad Amadeus è proprio l’eccessiva lunghezza delle serate) quando sul palco fanno il loro ingresso Bugo e Morgan, per eseguire Sincero. Il direttore d’orchestra avvia la musica, e Morgan inizia a cantare. Ma il testo non è quello previsto, anzi: contiene una serie di improperi rivolti al fin lì ignaro Bugo, reo – a detta dell’artista milanese – di non aver onorato al meglio Canzone per te, capolavoro di Sergio Endrigo che entrambi avevano interpretato malissimo nella serata precedente, quella dell’omaggio alla canzone italiana. Ma in realtà, si scoprirà dopo, gli stracci tra i due volavano da un pezzo, già prima dell’inizio del Festival e su ogni questione concernente la loro partecipazione. In pratica, si è assistito per la prima volta ad una squalifica in diretta, che verrà certificata a fine spettacolo per mancata esecuzione del brano, avendo Bugo lasciato il palco mentre Morgan fingeva di cercarlo. Come i migliori cattivi dei supereroi dei fumetti, insomma, l’ex leader dei Bluvertigo ha fatto parlare di sé a ora molto tarda, favorito da una situazione di calma apparente, riuscendo a movimentare una serata fin lì liscia come l’olio.
I due artisti, loro malgrado, diventarono subito dei meme da social e attorno a loro è stato montato un dibattito senza precedenti. Sanremo è anche questo: tutto viene amplificato. Ma difficilmente si toccheranno nuovamente vette così paradossali come quelle verificatesi in quell’occasione.