A 50 anni esatti dalla morte di Jim Morrison, avvenuta il 3 Luglio 1971, la musica onirica e ipnotica dei Doors, nonché l’aura selvaggia e inquietante del loro frontman ancora gonfiano i cuori delle nuove generazioni di impeti ribelli e connotazioni maledette. C’è chi lo ha definito un ubriacone senza talento, chi invece lo ha idolatrato a oltranza; ciò che è sicuro è che la breve vita di James Douglas Morrison, morto a 27 anni, non è passata inosservata nel corso del ventesimo secolo ma, come lo spirito di un potente sciamano, il suo richiamo è ancora forte persino dall’aldilà, pifferaio di bimbi sperduti che, nelle generazioni successive, hanno visto in lui una speranza e un’espressione del loro disagio e dei loro sogni più inconfessabili. L’opera e la vita di Morrison furono infatti intrinsecamente connessi al mondo onirico e all’inconscio, regno in cui il Re Lucertola (come amava autodefinirsi) accedeva senza problemi, tramite stati coscienza alterati, indotti da uso e abuso di LSD. Si può dire che la personalità di Jim spesso non rispondesse più al proprio io cosciente ma prendesse ordini direttamente dal suo io più ancestrale e istintuale, quell’uomo vecchio di milioni di anni che, secondo lo psicologo Carl Gustav Jung, vivrebbe annidato nella psiche di ognuno di noi e che rappresenterebbe l’accumulo psichico di infinite vite vissute prima di noi e stratificatesi nell’inconscio collettivo.
Potreste pensare che ci piace vincere facile visto che cominciamo proprio con il famoso biopic di Stone, ovvero, ca va sans dire, il grado zero di utilizzo delle canzoni dei Doors in un film. Eviteremo però le scene con le canzoni più celebri e iconiche come Light my fire, Break on Through e la lisergica The End, ma ci soffermeremo invece su due scene e due canzoni meno note, se non altro la seconda.
La prima costituisce anche l’incipit del film, in cui il titolo The Doors letteralmente vola su una ripresa aerea del deserto californiano sulle note blues di Riders on the Storm (dall’album LA Woman del 1971), anticipate dal suono del temporale. La famiglia del piccolo Jim si ferma nei pressi di uniincidente stradale che ha coinvolto vari veicoli: sulla strada ci sono i corpi di alcuni nativi americani, i cui spiriti, secondo quanto raccontato in seguito da Jim, sarebbero trasmigrati nel suo corpo. Episodio fondante della vita di Morrison e scena dal tono onirico, dai colori terrigni, rossicci, quasi in contrasto con la piovosità e l’andamento blues di un brano come Riders, eppure funziona benissimo e lascia impresso il suo marchio visivo in chi ha potuto vedere l’opera al cinema.
L’altra scena su cui vorremmo soffermarci è quella in cui Jim e Pamela Courson (la sua compagna di vita, qui interpretata da Meg Ryan) girano di notte per Venice Beach accompagnati dalle note di Ghost Song, brano pubblicato 7 anni dopo la morte di Morrison, all’interno dell’album An american Prayer (1978), in cui i Doors resero omaggio all’amico scomparso mettendo in musica le registrazioni sonore delle sue poesie. Mentre Jim sveglia Pam nel cuore della notte la voce del cantante intima “Svegliati, scuoti i sogni dai tuoi capelli mia bella bambina, mia unica dolcezza. Scegli il giorno e scegli il segno del tuo giorno, il giorno è una divinità, la prima cosa che vedi” sul raffinato e morbido arrangiamento blues creato per l’occasione dagli ex-compagni Ray Manzarek, Robby Krieger e John Densmore. La poesia musicata si sposa benissimo con una ripresa in timewarp (accelerata) della luna che sorge, poi con le immagini di Jim e Pam che esplorano la notte, e anche se stessi, in un momento in cui il nostro sciamano dionisiaco non era ancora contaminato dal successo e dagli eccessi.
Proseguiamo con un bel salto nel tempo fino al nostro presente e a un film che sta riscuotendo notevole successo nelle sale post-lockdown e cioè l’origin-story di una delle villain più iconiche della Disney, l’irresistibile Crudelia De Mon resa famosa dal lungometraggio animato del 1961 La carica dei 101, incarnata già da Glenn Close nel remake Live-Action del 1996. La schizofrenica Crudelia di Emma Stone colpisce nel segno e siamo sicuri che rimarrà a lungo impressa nella memoria degli spettatori ma la scena che vogliamo proporvi riguarda invece l’entrata in scena di colei che diverrà la sua acerrima nemica, nonché la vera villain del film, ovvero la baronessa Von Hellman, interpretata da una glaciale e bravissima Emma Thompson. Il martellare della batteria dell’attacco di Five to one (dall’album Waiting for the sun del 1968) scivola su una carrellata frontale a inquadrare la baronessa che esce dalla sua auto fino ad arrivare ad un primo piano. L’entrata del potente basso corrisponde allo stacco sul dettaglio degli occhi (coperti dagli occhiali da sole) della baronessa che si girano di scatto verso la vetrina ‘erroneamente’ allestita da Estella/Cruella. Così come il ritmo della canzone sale incessantemente, allo stesso modo la baronessa irrompe nel negozio di alta moda e nella vita di Crudelia. Va detto però che l’utilizzo di questo potente brano dei Doors viene in realtà diluito all’interno di una colonna sonora che si rivela un’inesauribile e tonitruante playlist di Hit degli anni ’60 e ’70 oculatamente selezionate per sorreggere furbamente la favola dark-punk di Crudelia e dunque la carica eversiva del brano di Jim Morrison & compagni ne esce inevitabilmente disinnescata, sebbene utilizzata, a livello tecnico, in modo impeccabile.
Il cult-movie dello scomparso Joel Schumacher aggiornò il mito del vampiro ai tempi della generazione anni ’80 insieme con un’altra pellicola che uscì proprio nello stesso anno, quel Buio si avvicina di cui abbiamo già parlato in un articolo dedicato a Katherine Bigelow. Nel film di Schumacher la famiglia Emerson viene a vivere a Santa Carla, ridente paesino della costa californiana che si rivelerà covo di famelici vampiri capitanati da un carismatico Kiefer Sutherland. Una volta sorpassato l’invitante cartello che dà il benvenuto a Santa Carla ci accorgiamo subito che sul retro qualcuno ha scritto con lo spray “Capitale mondiale dell’omicidio”. Su questa inquietante informazione partono le prime note di People are strange (dall’album Strange days del 1967), nella cover realizzata dagli Echo & the Bunnymen. La canzone dei Doors, manifesto generazionale di spaesamento e disorientamento giovanile, viene efficacemente usata dal regista per introdurre i due giovani fratelli Michael (Jason Patric) e Sam (Corey Haim) in un ambiente totalmente estraneo (nonché potenzialmente mortale) rispetto a quello della città cui erano abituati. People are strange si rivela il commento sonoro perfetto ad una passeggiata visiva dal sapore quasi documentaristico tra le strade di Santa Carla, che si sofferma sui primi piani della strana fauna che abita il paesino: punk, dark e freaks vari che sembrano spassarsela allegramente, se non fosse che le strade sono costellate di foto di adolescenti scomparsi, evidentemente vittime dei vampiri che infestano la piccola cittadina marittima. Sotto la superficie spensierata e vagamente anticonvenzionale di Santa Carla scorrono in realtà veri e propri fiumi di sangue.
Nella scena più iconica del bellissimo film di Bertolucci, Eva Green (al suo primo ruolo) si mostra come la Venere di Milo, a seno scoperto e con dei guanti neri che le tagliano simbolicamente la braccia. Non tutti ricordano però che su quella scena scorrevano le suadenti note di The Spy (tratta dall’album Morrison Hotel del 1970) che, in quel contesto, assumevano un significato tutto particolare. Il protagonista, l’americano Matthew, interpretato da Michael Pitt, ha avuto per la prima volta accesso alla camera da letto di Isabelle, ragazza ribelle e anticonformista che, insieme col fratello Théo, col quale ha un rapporto incestuoso, ha sverginato il giovane Matthew, non solo sessualmente ma anche intellettualmente, introducendolo in un mondo di istinti liberati, convenzioni sociali abbattute e passioni cinefile, in perfetta sintonia con lo spirito dei movimenti del ‘68 pronti a esplodere di lì a poco. La scoperta della camera privata di Isabelle sarà però sconcertante e rivelatoria per Matthew perché, a dispetto delle apparenze da rivoluzionaria, l’ambiente si rivelerà una classica cameretta da adolescente di famiglia alto-borghese, quale è in realtà Isabelle. Il brano The Spy che accompagna tutta la scena, dallo svelamento della cameretta al disvelamento di Isabelle come Venere di Milo che, non avendo braccia, non può opporsi all’intromissione, sia metaforica, sia fisica, di Matthew nella sua intimità, diventa particolarmente significativo. Eccone i primi versi: “Io sono una spia nella casa dell’amore. Io conosco il sogno di cui vai sognando. Io conosco la parola che spasimi per udire. Io conosco la più profonda e segreta delle tue paure.”
“Persino la giungla lo voleva morto e in fin dei conti era proprio dalla giungla che lui prendeva ordini.” Con queste parole il capitano Willard (Martin Sheen) descriveva il folle colonnello Kurtz, dai metodi insani, interpretato da Marlon Brando nel capolavoro di Francis Ford Coppola Apocalypse Now. In questa acuta frase non è difficile sentir riecheggiare ciò che abbiamo già detto riguardo la personalità di Jim Morrison e cioè che egli prendeva ormai ordini dal suo io più istintuale, dagli strati più profondi del suo inconscio o, se vogliamo, da quel cuore di tenebra che è anche il nodo tematico del film di Coppola nonché del romanzo omonimo di Conrad a cui è ispirato. Un cuore palpitante di energie dionisiache pronte a liberarsi senza controllo.
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