Quella del mockumentary (o del falso documentario) è una tecnica cinematografica che consiste nel mettere in scena un film che è finzione a tutti gli effetti, ma che dia allo spettatore l’impressione di stare invece assistendo ad un documentario. Prevalgono quindi le riprese realizzate con la camera a mano, talvolta appositamente imperfette, o altre pratiche molto comuni nel cinema documentario. Si tratta di un espediente che si è esteso sempre di più negli anni, coprendo pratiche nuove o coinvolgendo nuove tecniche narrative applicate al cinema di finzione. Non c’è quindi una vera e propria forma standard e di fatto ogni film realizzato rappresenta un caso a sé stante.
Abbiamo quindi selezionato 20 mockumentary da vedere assolutamente, in quanto spiccanti per innovazione e per il pathos che si ricava da questo modo di raccontare.
1. Close Up (1990)
Scritto e diretto da Abbas Kiarostami e tratto da una storia vera, Close Up è sicuramente la punta di diamante del cinema iraniano. Si tratta infatti di un esercizio registico in cui i confini tra cinema di finzione e documentario diventano sempre più labili. Un giovane disoccupato si introduce in una famiglia benestante spacciandosi per il regista Mohsen Makhmalbaf (che esiste davvero) e dicendo di voler realizzare un film in cui i membri del nucleo saranno i protagonisti. Scoperto l’inganno, il giovane viene accusato di raggiro e finisce in tribunale.
Dopo un prologo che precede i titoli di testa, in cui viene annunciata quella che sarà la trama del film, il regista si comporta di fatto come se stesse documentando il processo che segue la vicenda di partenza. La finzione iniziale diventa quindi cinema-inchiesta in cui il Kiarostami mette in discussione, in fondo, sé stesso.
2. The War Game (1966)
Scritto e diretto dall’inglese Peter Watkins, autore che ha fatto del mockumentary un po’ il suo marchio di fabbrica, realizzando una filmografia che si è sempre mossa in questa direzione. In effetti, Watkins può essere per questo considerato un po’ il padre fondatore del genere. Non che prima di The War Game mancassero del tutto delle sperimentazioni in tal senso (l’esempio più riuscito fino ad allora è The Connection diretto da Shirley Clarke nel 1961), ma sicuramente l’impatto che questo mediometraggio di 48 minuti ha avuto sul cinema ha dato la spinta propulsiva di cui il genere aveva bisogno. Un successo che sembrerebbe testimoniato anche dall’Oscar per il miglior documentario del 1967. The War Game è in tal senso uno spartiacque.
Interamente girato in bianco e nero, il film descrive i preparativi di un ipotetico attacco nucleare in Gran Bretagna da parte dell’ex Unione Sovietica (e dopotutto è stato realizzato negli anni della guerra fredda). Pur non raccontando un evento reale in contemporanea o attualmente in corso, Watkins è molto lucido nel cogliere certi aspetti della politica internazionale e del pericolo nucleare.
3. District 9 (2009)
Un film che è sicuramente una bomba ed è realizzato dal regista Neill Blomkamp (Elysium). Co-sceneggiato con Terri Tatchell e prodotto da Peter Jackson, alla sua uscita si impone subito all’attenzione internazionale arrivando perfino ad ottenere quattro nomination agli Oscar, inclusa quella per il miglior film. District 9 esce nelle sale in contemporanea con The Hurt Locker, un film che, insieme a Redacted, si avvicina molto per lo stile registico adottato.
Basato su un precedente cortometraggio realizzato dallo stesso regista, District 9 è ambientato in Sudafrica all’inizio degli anni ’80 e racconta dell’atterraggio di un alieno indesiderato. Una situazione che spinge l’esercito a mobilitarsi e condanna gli alieni ad una situazione di apartheid. La macchina da presa si muove come se a riprendere fosse un reporter d’assalto e il materiale comprende anche approfondimenti giornalistici, interviste e riprese realizzate dalle telecamere di sorveglianza.
4. Zelig (1983)
Uno dei più famosi mockumentary lo si deve a Woody Allen e c’è da dire che il regista newyorkese si è spesso cimentato con questa forma di racconto, talvolta adottando anche una chiave più personalizzata. Ambientato nell’America degli anni ’20, il film racconta l’ascesa di Leonard Zelig, un uomo che ha una particolare sindrome di dipendenza ambientale che lo porta a trasformarsi a seconda del luogo in cui si trova. Il regista vede infatti l’essere umano come sprovvisto di un vero sé, in una lettura fortemente influenzata da Il camaleonte di Anton Cechov.
La realizzazione di Zelig è accostabile a quella di un documentario biografico, sebbene il soggetto su cui è imperniata la narrazione sia chiaramente un personaggio immaginario. Scorrono quindi sullo schermo sia riprese che sembrano rubate al repertorio di Zelig che interviste appositamente realizzate.
5. Punishment Park (1971)
Ancora un film di Peter Watkins, che riprende anche lo stile precedentemente visto in The War Game. Qui però il girato simula un inseguimento a tre livelli: una troupe britannica e una tedesca seguono i soldati e la polizia della Guardia Nazionale, che a loro volta inseguono i membri di un gruppo di controcultura.
Anche con Punishment Park ci troviamo di fronte ad un incubo distopico e ad un film forte e provocatorio, che suscita dibattiti. L’ambientazione è infatti quella dell’America di Nixon e dei bombardamenti in Cambogia. Uno stato di emergenza che autorizza per legge le forze dell’ordine a fermare qualunque soggetto sia ritenuto un rischio per la sicurezza nazionale. A farne le spese sono un gruppo di obiettori del Partito Comunista, che vengono inseguiti attraverso il deserto stando per giorni senza acqua né cibo.
Girato in pieno stile cinéma-vérité e costituito prevalentemente da riprese effettuate con camera a mano che gli danno quell’aura da cine-giornale, Punishment Park è una storia di fantasia che però riflette su eventi storici e politici in quel momento attuali. Con questo nuovo lavoro Watkins si spinge ben oltre The War Game: Punishment Park prevedeva inizialmente una sceneggiatura, ma questa è stata poi abbandonata in favore di uno stile più improntato all’improvvisazione degli attori.
6. Vita da vampiro – What We Do in the Shadows (2014)
Un’altra tendenza piuttosto comune del cinema in generale è stata, per anni, quella di unire il cinema horror con il falso documentario (e più sotto troverete anche altri esempi). Uno degli esperimenti più interessanti è sicuramente Vita da vampiro – What We Do in the Shadows, realizzato dai neozelandesi Taika Waititi e Jemaine Clement, che vestono anche i ruoli dei due vampiri protagonisti.
Per il futuro regista di Thor: Ragnarok e Thor Love and Thunder, è una tappa importante nella sua filmografia perché è con questo film che inizia a far conoscere il suo stile debordante e sgangherato, oltre che la propria versatilità come attore.
In tutto e per tutto girato come un documentario, il film segue le vicende di quattro vampiri, personaggi ovviamente immaginari, e le loro escursioni nel mondo notturno alla ricerca di… sangue per i loro denti! Dopo essere stato in concorso al Torino Film Festival ed essersi portato a casa il premio per la migliore sceneggiatura, Vita da vampiro genera due serie spin-off: Wellington Paranormal e What We Do in the Shadows.
7. Zombie contro Zombie – One Cut of the Dead (2017)
Altro mockumentary horror. Diretto da Shin’ichiro Ueda e oggetto di un remake ancora inedito realizzato dal premio Oscar Michel Hazanavicius e intitolato Coupez! Il genere di appartenenza è in questo caso dichiarato fin dal titolo originale Kamera o tomeru na! traducibile come “Non stoppare la cinepresa!”. Ed è anche un chiaro esempio di metacinema, come è deducibile dalla trama.
Il film racconta infatti di una troupe cinematografica impegnata nelle riprese di un horror di zombie. Il set verrà però preso d’assalto da degli zombie veri! Il lungometraggio comincia come un documentario che segue la pianificazione delle riprese e poi si mescolano estratti del finto girato con quella che invece rappresenta proprio la trama del film. Il materiale che se ne ricava è eterogeneo.
8. Mariti e mogli (1992)
Ancora un film di Woody Allen. Ebbe un po’ la sfortuna di uscire in concomitanza con gli eventi personali del regista (la separazione da Mia Farrow e la relazione con Soon-Yi), ma si tratta di uno dei suoi lavori più interessanti. In Mariti e mogli troviamo infatti evidenti echi del cinema di Ingmar Bergman, un autore che ha sempre affascinato Allen, e in particolare di Scene da un matrimonio.
Il film racconta di Jack e Sally, una coppia in crisi e sull’orlo del divorzio, che fa i conti con il loro progressivo allontanamento. Per salvare il matrimonio, i due chiedono aiuto a Gabe e Judy, una coppia di amici. Mariti e mogli è un misto di dramma e commedia ed è girato con uno stile che prevede un ampio uso della camera a mano. L’operatore segue i personaggi come se documentasse i loro drammi personali. In alcuni momenti i protagonisti si rivolgono direttamente all’operatore come se simulassero un’intervista intima.
9. First on the Moon (2005)
Un’opera dove il confine tra finzione e documentario è molto più incerto, con un risultato è abbastanza sofisticato. Autore di First on the Moon (Pervye na Lune) è Aleksej Fedortchenko, al suo debutto come regista. Fedortchenko è inoltre il primo regista russo a cimentarsi col mockumentary.
First on the Moon racconta come, nel 1930, i sovietici riuscirono a mettere a punto il primo volo dell’uomo sulla Luna, il tutto in gran segreto. Il film presenta inoltre alcuni momenti scioccanti, come la sequenza in cui un maialino viene inserito all’interno di un missile. Il lungometraggio è realizzato con materiale d’archivio e il racconto ha la forma di un’indagine realizzata da una troupe cinematografica e punta al sensazionalismo della rivelazione.
10. Il cameraman e l’assassino (1992)
Al decimo posto della nostra lista troviamo un film belga diretto da un trio di autori formato da Rémy Belvaux, André Bonzel e Benoît Poelvoorde. Quest’ultimo è anche l’attore protagonista. Il risultato di questa operazione è magnifico e il feeling tra i tre dà luogo ad una serie di sequenze accattivanti e vivaci.
La peculiarità de Il cameraman e l’assassino sta proprio nella sua trama: una troupe televisiva decide di realizzare un documentario su un serial killer, Ben Patard. Tra il cameraman e il soggetto ripreso si instaura quindi un rapporto di complicità e Patard sembra a suo agio nello spiegare il suo modus operandi e la sua giornata tipica. Il film mette in discussione la presunta neutralità della macchina da presa. Da spettatori impassibili, i membri della troupe diventeranno infatti sempre più coinvolti nelle azioni di Patard.
11. Borat
Sicuramente uno dei mockumentary di maggior successo. Il pregio di Borat è quello di avere un personaggio esilarante e un attore con un approccio caldo che accorcia la distanza dallo spettatore. Due elementi che ci fanno dimenticare che stiamo assistendo, appunto, ad un falso documentario.
Secondo lungometraggio di Larry Charles, Borat ha un sottotitolo eloquente che recita “Studio culturale sull’America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan”. Il protagonista è infatti Borat Sagdiyev (interpretato da Sacha Baron Cohen), un giornalista kazako in missione negli Stati Uniti. Il suo obiettivo è studiare gli usi e i costumi della cultura americana, mentre i suoi collaboratori lo seguono con la camera nelle sue stravaganti avventure. L’intero film si svolge quindi come se fosse un reportage.
Da un lato giocato sui luoghi comuni est-europei, dall’altro una satira sullo stile di vita americano, Borat non fa sconti a nessuno e presenta diversi momenti all’insegna del politicamente scorretto.
12. The Visit (2015)
Più particolare è il caso di The Visit, diretto da M. Night Syamalan prima dei due film su Kevin Wendell Crumb (Split e Glass). Il film infatti è costruito come se fosse girato in prima persona dai due stessi protagonisti. Quello che succede quando loro non sono presenti in scena viene ripreso perché la camera viene lasciata accesa. Tenendo conto che poi parliamo di un horror, l’effetto è molto forte: lo spettatore si trova in una posizione di testimone impassibile degli eventi narrati e talvolta conosce i pericoli prima che li incontrino i protagonisti. Il materiale video è poi arricchito dalle videochiamate su Skype, che di fatto sono l’unico ponte comunicativo con il mondo esterno.
La trama racconta di due ragazzini di quindici e tredici anni, Becca e Tyler Jamison. I due fratelli vengono invitati in Pennsylvania dai nonni materni, che non hanno mai conosciuto e che da anni non hanno più rapporti con la loro madre. La casa è in un posto isolato, ma i due giovani si sentono subito ben accolti dalla coppia di anziani. Tuttavia, gli equilibri in quella casa cambiano e Becca e Tyler si rendono presto conto di essere in pericolo. Il film è uno degli esempi più alti del cinema mockumentary.
13. Prendi i soldi e scappa (1969)
Un altro Allen. Secondo lungometraggio del regista dopo Che fai, rubi? (1966), che però è un rimontaggio di un film giapponese con dialoghi riadattati che ne cambiano completamente il senso. Quindi, Prendi i soldi e scappa può considerarsi il suo primo lavoro convenzionale come regista.
La trama racconta la storia di Virgil Stackner, giovane inetto, e della sua ascesa criminale. La narrazione avviene ovviamente in chiave comica e di fatto il soggetto era stato pensato per la regia di Jerry Lewis, che però rifiutò. Lo stile documentaristico è qui forse meno marcato rispetto ai film precedentemente visti, ma Prendi i soldi e scappa è in tutto e per tutto un mockumentary. Il lavoro è realizzato utilizzando materiali di repertorio e stralci di interviste.
14. Vanya sulla 42esima strada (1994)
Altro film dallo stile fortemente sperimentale. A dirigerlo è uno dei maestri della Nouvelle Vague, Louis Malle. Si tratta dell’ultimo lavoro del regista e la sceneggiatura è opera del drammaturgo David Mamet. La trama segue il lavoro di un gruppo di attori impegnati nell’allestimento di un nuovo spettacolo teatrale. La compagnia si prepara infatti a portare in scena lo Zio Vanya di Cechov. Lo sfondo è quello di un teatro che si trova proprio sulla 42esima strada e che presto verrà demolito.
Li seguiamo quindi nella lettura del copione e nelle prove fino a spostarci all’esterno del teatro, dove i membri (tra cui figurano anche Wallace Shawn e Julianne Moore) della compagnia riprendono la loro vita ordinaria. Si tratta ovviamente di finzione girata con stile documentaristico e con tanto di scrittura scenica, ma quello che ne viene fuori è così credibile che potrebbe benissimo essere vero.
15. Idioti (1998)
Diretto dal danese Lars von Trier dopo il successo de Le onde del destino, Idioti è il secondo film aderente al manifesto Dogma 95 (il primo è Festen – Festa in famiglia di Thomas Vinterberg). Idioti ha uno stile minimalista che riduce il montaggio, si avvale perlopiù di luce naturali e non prevede la dicotomia campo-controcampo. L’effetto è sicuramente quello di un documentario, tuttavia la finzione c’è perché prevede una trama e degli attori che recitano una parte.
Idioti racconta l’incontro tra Karin e un gruppo di giovani che si fingono ritardati mentali. In realtà, si tratta di una generazione che rifiuta le responsabilità rifugiandosi nell’anarchia più totale e che vive come se fosse una comunità a sé. La spontaneità dell’azione scenica è tale che sul set si arrivò a ben 130 ore di girato, dalle quali si ricavò poi un film di 112 minuti.
16. REC (2007)
Un altro horror mockumentary, che peraltro ha dato avvio tre sequel e un remake. In questo caso, il fatto che il film preveda una serie di riprese girate in tempo reale da una camera è ricavabile già dal titolo. Presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia nel 2007, REC ha riscosso un buon successo di critica e ha avuto anche un sacco di riconoscimenti.
La trama prende il via da un reportage realizzato dalla giornalista Ángela Vidal e dal suo cameraman di fiducia, Pablo. Mentre lavorano ad una nuova puntata del loro programma, Mentre dormi, che li porta all’interno di una caserma dei vigili del fuoco, i due si trovano a riprendere le conseguenze estreme di un nuovo virus.
17. Joaquin Phoenix – Io sono qui! (2010)
Più tristemente conosciuto per le vicende giudiziarie che hanno riguardato il regista Casey Affleck a causa delle molestie su questo set. La sua realizzazione ha qualcosa di leggendario: dall’annuncio di Joaquin Phoenix del suo ritiro dalle scene alla sua apparizione al David Letterman Show mentre era nel personaggio del film.
Il titolo in effetti potrebbe forse far pensare ad un vero e proprio documentario, ma le cose stanno diversamente. Joaquin Phoenix – Io sono qui! segue infatti il futuro premio Oscar (per Joker) nel suo passaggio dal cinema all’hip hop. Non si tratta di una scelta personale dell’attore, ma di un copione appositamente scritto per il film. Phoenix prende così sul serio il suo ruolo che comincia a comportarsi come se fosse tutto vero. Il cinema entra nella vita e la vita si adegua al cinema.
18. Le cadute (1980)
Primo lungometraggio di Peter Greenaway, Le cadute contiene il numero 92, che diventerà ancora più centrale molti anni dopo con la trilogia de Le valigie di Tulse Luper. Non solo 92 è il numero atomico dell’uranio, ma sono anche le parti in cui è diviso il film (dalla durata complessiva di tre ore), 92 sono le interviste e altrettante le persone coinvolte.
Il titolo originale poi è alquanto ambiguo: The Falls può significare sia “le cadute” che “le cascate”, ma qui si riferisce al fatto che i personaggi che appaiono hanno la parola “fall” nel cognome (es. Fallabus, Fallanax, ecc…). Il film è incentrato su un misterioso incidente che vede coinvolto un gruppo di persone. Vengono quindi ascoltate diverse versioni e il racconto, di fatto, si sviluppa come un’indagine che si avvale di un materiale ampio e variegato.
19. The Sacrament (2014)
Questo è più un semi-mockumentary, visto che soltanto una parte delle sequenze è effettivamente girata nella forma del falso documentario. Il risultato finale è però un prodotto equilibrato ma con una percezione di realtà più vicina al modello del mockumentary.
Diretto da Ti West, The Sacrament è ispirato ad un fatto di cronaca successo in Guyana nel 1978, il massacro di Jonestown. La trama racconta di una nuova organizzazione giornalistica che indaga sulla scomparsa di una giovane, rifugiatasi in una comunità religiosa per guarire dalla sua tossicodipendenza. Giunti sul posto, i giornalisti si accorgono che i rapporti che legano gli adepti alla setta hanno qualcosa di oscuro. Chiaramente l’espediente dell’organizzazione giornalistica, qui chiamata VICE, è il pretesto per il girato in stile mockumentary.
20. Paranormal Activity (2007)
Primo lungometraggio di Oren Peli, Paranormal Activity è un vero e proprio caso. Al di là dell’esistenza di diversi sequel e prequel, persino del primo capitolo esistono in realtà diverse versioni. In più, il film è stato oggetto di polemiche legate al rating e, pur essendo un successo, si è attirato le critiche del maestro del brivido per eccellenza: Dario Argento lo ha infatti stroncato definendolo una mera operazione commerciale.
Quello che è certo, però, è che Paranormal Activity aderisce perfettamente al genere mockumentary. La trama ruota attorno ad una coppia che comincia a notare alcuni fenomeni paranormali nel silenzio notturno della loro abitazione. Prodotto con un budget di circa 15mila dollari, il film è costruito su tutta una serie di riprese domestiche che rivendicano la sua appartenenza al cinema a basso costo. Alla sua uscita, gli incassi superarono le spese, complici un paio di proiezioni festivaliere, e il film arrivò nelle sale americane nel 2009.