Se permettete parliamo di donne, titolava un film di scarso successo di Ettore Scola nel 1964. Lo abbiamo citato perché è proprio ù quello che faremo in questo articolo.
Sarebbe errato dire che il cinema non ha mai proposto una visione alternativa della donna che non fosse l’eroina romantica. La stessa Rossella O’Hara era protagonista assoluta di un film che la vedeva crescere. La vedevamo diventare più forte e, da ex ragazza viziata, capace delle azioni che meglio esprimono la sua emancipazione.
Negli anni si sono susseguiti i modelli, gli sguardi e le storie raccontate. La narrazione che se ne ricava ovviamente non può essere uniforme, se consideriamo che il modo in cui le donne vengono rappresentate al cinema dipende da determinati fattori: sfondo sociale, background culturale e via dicendo. Eppure la settima arte, in quanto strumento di espressione, ha conosciuto una folta schiera di titoli dedicati all’universo femminile. Ne abbiamo selezionati otto, i più importanti e significativi film sui diritti delle donne da vedere assolutamente.
1. Persepolis (2007)
Il più famoso, riuscito, ambizioso, originale e con più voce in capitolo è sicuramente Persepolis. Il film è diretto da Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud ed è ispirato all’omonimo graphic novel autobiografico scritto dalla stessa regista. Si tratta di un lavoro che risulta ancora oggi attuale e va a collegarsi ad un altro titolo che troverete al quinto posto di questa classifica: Il cerchio di Jafar Panahi. Entrambi i film raccontano infatti il ruolo della donna in Iran. Persepolis in particolare fotografa un momento molto drammatico per la storia della donna iraniana, quello in cui i fondamentalisti presero il potere rendendo obbligatorio l’uso del velo islamico. Lo sguardo è quello di una bambina di nove anni e questa genuina creatura è la regista in persona. Marjane osserva il mondo intorno a sé cambiare un po’ alla volta e la società iraniana diventare sempre meno laica.
Nonostante l’intero film sia realizzato in versione animata e in bianco e nero, non si può non notare come certe immagini siano di una crudezza assurda, davanti alla quale è difficile rimanere indifferenti. La reazione del governo iraniano, che giudicò la narrazione della registica come “irrealistica”, non tardò a farsi sentire dopo l’anteprima a Cannes di Persepolis.
2. Piccole donne (2019)
Essere una donna nella New York dell’800. È soprattutto questo che significa il film di Greta Gerwing Piccole donne, nuova e personalissima trasposizione dell’omonimo romanzo di Louisa May Alcott. Lo sguardo adottato dalla regista coincide con quello di Jo March, interpretata da una convincente Saoirse Ronan. Non a caso il lungometraggio inizia con Jo che cerca di farsi pubblicare una raccolta di racconti dall’editore Dashwood. L’incontro mette in luce la condizione femminile imperante in quegli anni. Il talento straordinario di Jo poco può fare contro il fatto di essere una donna e i lettori del suo tempo sono abituati a leggere determinati scritti.
La dimensione femminile regna nel film, e non solo perché è presente un cast corale in cui sono le donne a prevalere, sia in termini fisici che di presenza scenica. Gli uomini in effetti appaiono più deboli rispetto alle precedenti versioni di Piccole donne. Al di là di questo, c’è aria di tensione e lo si deduce soprattutto dalla competizione tra le sorelle, tra Jo e Amy in primis. Anzi, proprio il cinismo di Amy sembra dettato dalla fredda consapevolezza di cosa significhi essere una donna nel 1868.
3. Mustang (2015)
Era il 2015 quando l’opera prima di Deniz Gamze Ergüven, dopo una prima a Cannes, si impose all’attenzione della critica internazionale. Fup proprio quest’ultima che lo salutò come il nuovo Il giardino delle vergini suicide. Il successo di questo lungometraggio fu forte e immediato e sembrava destinato ad agguantare la statuetta dell’Oscar per il miglior film straniero, poi andata al capolavoro ungherese Il figlio di Saul.
Mustang è un’opera particolarmente importante perché mostra gli effetti di un potere repressivo e molto influenzato dal dogma religioso e dalla tradizione. La cosa ancora più interessante è il fatto che ad esserne vittime sono delle ragazze giovanissime e questo potere viene esercitato come un controllo a distanza e si manifesta nella figura della nonna. Il gruppo formato da cinque sorelle viene punito per la sola colpa di aver trascorso una giornata al mare all’insegna della spensieratezza e a contatto con i coetanei maschili. Si tratta di un comportamento che desta scandalo nel piccolo e gretto villaggio turco in cui vivono e con delle conseguenze molto pesanti. Eppure lo sguardo delle ragazze è leggiadro e incapace di comprendere fino in fondo il potere repressivo che le incatena.
4. La bicicletta verde (2012)
Altro film molto importante sui diritti della donna viene dall’Arabia Saudita ed è un caso cinematografico. A realizzarlo è Haifaa Al-Mansour, in seguito divenuta ancora più popolare con Mary Shelley – Un amore immortale. In patria la regista è vista come una figura ambigua: ha ottenuto sia lodi che critiche. Queste ultime proprio a causa dei suoi lavori, sempre molto impegnati ad abbattere alcuni tabù tipici del mondo saudita. Ne è un esempio anche il successivo La candidata ideale, sebbene sia proprio La bicicletta verde il più riuscito. Uno di questi tabù è sicuramente l’uso dell’abaya, tradizionale indumento indossato dalle donne in Arabia Saudita e altri paesi musulmani con funzione simile all’hijab. A causa della sua lotta dalla parte delle donne, la regista ha ricevuto diverse lettere minatorie che la accusavano di non essere rispettosa delle tradizioni e della religione del suo paese.
In lingua originale il film porta il nome della sua protagonista, Wadjda, ma c’è da dire che il titolo italiano è ancora più emblematico. La bicicletta verde a cui si fa riferimento è infatti il simbolo dell’emancipazione di Wadjda. Come in Persepolis, anche in questo caso ci viene mostrata una bambina alle prese con una società repressiva. Le donne non sono solidali tra loro, ma si fanno la guerra per ricevere le attenzioni maschili. Una particolare attenzione la merita l’unico modo in cui Wadjda potrebbe guadagnarsi i 1000 riyal che le servirebbero per acquistare la bicicletta: una gara di conoscenza del Corano.
5. Il cerchio (2000)
Un film molto forte sui diritti delle donne lo si vede a Jafar Panahi, acclamato regista iraniano più volte incarcerato per i suoi lavori spesso sgraditi alla Repubblica Islamica. Il suo è un cinema fortemente politico e solo da lui poteva arrivare un lungometraggio come Il cerchio, che affronta il difficile tema della condizione della donna nella sua terra natale. Se pensiamo ai recenti sviluppi storici e sociali che sta attraversando l’Iran, visto oggi, Il cerchio manda un messaggio ancora più forte.
Il film ha un cast corale e non c’è una vera e propria trama, ma una serie di microstorie che riguardano personaggi diversi. Anziché intrecciarsi tra loro, si susseguono un po’ alla volta compiendo tutto un giro che porta al punto di partenza, come in un cerchio per l’appunto. I drammi a cui vanno incontro le protagoniste cominciano da dei presupposti apparentemente banali, ma si rivelano poi capaci di innescare importanti conseguenze: una donna che dà alla luce una femmina contrariamente a quanto si aspettava la famiglia del marito, una ex detenuta vedova che non trova nessuno disposta a farla abortire clandestinamente, una madre costretta ad abbandonare la propria figlia…
6. Anche io (2022)
Ci spostiamo ora al mondo occidentale, dove pure non mancano importanti storie dedicate ai diritti delle donne. Uno dei primi titoli che viene in mente è recentissimo e “made in America”. Anche io è diretto dalla tedesca Maria Schrader, la stessa regista della mini-serie Netflix Unorthodox, che pure parlava di emancipazione e di oppressione del potere femminile.
La sola differenza è che Unorthodox partiva dalla comunità ebraica di Williamsburg, Anche io invece ci porta nell’ambiente di lavoro e racconta una storia che conosciamo molto bene. Si parla infatti delle accuse di molestie mosse al produttore della Miramax Harvey Weinstein, recentemente condannato. A muovere le accuse sono state diverse attrici di Hollywood, e parliamo di nomi arcinoti come quelli di Rose McGowan, Ashley Judd e Gwyneth Paltrow, tutte apertamente nominate nel film. Il caso ha avuto un notevole impatto nell’industria hollywoodiana e ha cambiato le linee guida da adottare negli ambienti lavorativi.
Anche io è tratto dal libro inchiesta di Jodi Kantor e Megan Twohey, interpretate rispettivamente da Zoe Kazan e Carey Mulligan, e ne è di fatto una cinica e fredda trasposizione. La regista opta per uno stile secco e asciutto che restituisce tutto il tono dell’inchiesta, perché è soprattutto di questo che si tratta e deve essere chiaro dalla prima all’ultima inquadratura.
7. Una giusta causa (2018)
Dall’America viene anche Una giusta causa, che è invece un biopic dedicato ad una figura di donna molto influente e importante. Il nome di quest’ultima è Ruth Bader Ginsburg e ad interpretarla è Felicity Jones, in una performance da mancata nomination all’Oscar. La Ginsburg è stata una giurista e magistrata di fama negli Stati Uniti e per la sua intera vita si è battuta per i diritti delle donne. Il suo impegno politico è noto e venne nominata dal presidente Bill Clinton.
Pur essendo un biopic abbastanza semplice e convenzionale, si inserisce bene in questo discorso. Non solo perché la figura di Ruth Bader Ginsburg è strettamente legata alla battaglia per i diritti femminili, ma anche perché la sua stessa biografia si sviluppa passo per passo insieme ai mutamenti sociali e storici che hanno portato ad una maggiore attenzione alla tematica trattata. In effetti, la narrazione prende avvio negli anni ’50, quando Ruth è una delle sole otto donne ammesse all’Università di Havard. Il successo universitario è ben poca cosa, se paragonato all’ambiente ostile che l’aspetta una volta conseguita il titolo. Vediamo quindi Ruth faticare per essere ammessa in uno studio legale e seguire il suo primo caso, che già contiene una discriminazione di genere.
8. We Want Sex (2010)
Una pellicola più leggera e spassosa ma comunque impegnata è We Want Sex del britannico Nigel Cole. Il regista era già stato autore di un’altra commedia in grado di rivendicare i diritti femminili, Calendar Girls. In quest’ultimo film Helen Mirren e le sue anziane e arzille amiche posavano per un calendario a scopo di beneficienza e riscoprivano il proprio potere femminile. In We Want Sex è invece protagonista Sally Hawkins, che si batte per vedere riconosciuta la parità dei diritti tra uomini e donne. Del cast fanno parte anche Bob Hoskins, Miranda Richardson, Rosamund Pike, Daniel Mays, Andrea Riseborough e Geraldine James.
Pur partendo dal punto di vista di un gruppo di personaggi frutto dell’immaginazione del regista, We Want Sex racconta i fatti realmente accaduti a Dagenham nel 1968. In quel quartiere di Londra sorgeva la fabbrica della Ford, in cui le operaie addette alle macchine da cucire svolgevano le loro mansioni in condizioni precarie. Stanche di questa situazione, decisero di protestare chiedendo un aumento della paga. Nel film a guidare queste manifestazioni è Rita O’Grady, che trova facilmente compagne pronte a sostenerla, ma il gruppo va incontro anche a diverse resistenze.