Uno dei titoli presenti nelle nostre sale in questi giorni è The Fabelmans, l’ultima fatica del maestro Steven Spielberg. L’instancabile regista premio Oscar per Schindler’s List arriva con un film molto toccante a solo un anno di distanza da West Side Story, eccellente nuova trasposizione dell’omonimo musical di Broadway. Se l’anno scorso proprio quest’ultimo lavoro fece incetta di candidature agli Oscar (vincendo infine la statuetta per la migliore attrice non protagonista ad Ariana DeBose), quella sorte potrebbe ripetersi con The Fabelmans.
In questa sede, il lungometraggio di Spielberg ci interessa soprattutto per un motivo: il suo contenuto. The Fabelmans è infatti un film intessuto dei ricordi del regista e racconta quella che è stata la sua infanzia. In questa trama di formazione l’incontro con la settima arte occupa naturalmente un posto centrale e, per tutta una prima parte, fa venire in mente Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore. Nei lavori di Spielberg compare spesso l’elemento biografico che lega il regista alla sua opera, ma The Fabelmans è a tutti gli effetti un film autobiografico. Si tratta di un genere con il quale qualsiasi grande cineasta fa spesso i conti. È un passo importante perché parlare di sé attraverso la propria arte è un’operazione tutt’altro che facile. Proprio per soffermarci meglio su questo genere, abbiamo selezionato i nostri dieci migliori film autobiografici.
La lista che segue è stata stilata basandosi sui lavori universalmente riconosciuti come più importanti e privilegiando quei film autobiografici titoli in cui l’elemento personale risulti il più possibile evidente. C’è tanta Italia in questa classifica e soprattutto c’è anche The Fabelmans!
1. 8 1/2 (1963)
Il lavoro più importante in questo ambito è sicuramente 8 1/2, una delle tante punte di diamante di Federico Fellini, un regista che tornerà spesso in questa classifica. Fellini è infatti uno dei cineasti che più spesso e volentieri ha inserito elementi autobiografici nelle sue opere. Alla sua uscita 8 1/2 viene salutato subito come un capolavoro e il successo culmina con l’Oscar per il miglior film straniero. L’importanza di 8 1/2 risiede soprattutto nell’aver di fatto inventato un nuovo filone cinematografico, quello del meta-cinema, subito preso a modello da altri cineasti. Qui non c’è una ricostruzione biografica in senso stretto della vita del regista, ma stralci della sua infanzia in qualche modo comunque emergono.
Con 8 1/2 Fellini mette in scena la sua crisi creativa, che diventa sempre più profonda e investe la sfera coniugale e personale. Accanto alla moglie trascurata, le sue numerose amanti e perfino il ricordo della madre. L’onestà del regista è tale da non aver alcun timore nel presentarsi con i lati più oscuri del suo carattere.
2. Nuovo Cinema Paradiso (1988)
Questo è il film forse più vicino a The Fabelmans. Del resto, non è un segreto che gli americani lo abbiano molto amato. In effetti, quando uscì nelle sale italiane Nuovo Cinema Paradiso passò quasi inosservato, nonostante Giuseppe Tornatore avesse già diretto un film abbastanza importante come Il camorrista. Il successo di Nuovo Cinema Paradiso fu inizialmente più estero. Soltanto l’Oscar come miglior film straniero portò ad una sua riconsiderazione in patria e oggi possiamo affermare che la nostra fu una clamorosa svista.
Protagonista di Nuovo Cinema Paradiso è Salvatore Di Vita, un affermato regista di fama internazionale e alter ego dello stesso Tornatore. Una telefonata con l’annuncio della morte di una persona a lui cara lo spinge a ricordare la sua infanzia con una madre sola e molto povera, l’incontro col cinema e col suo mentore, il primo amore e il primo cuore infranto.
3. Amarcord (1973)
Se c’è un film simbolo di questo filone cinematografico è sicuramente Amarcord di Federico Fellini. Non a caso quando si parla di titoli come The Fabelmans e affini si è soliti a definirli come “l’Amarcord di Spielberg” o di qualsiasi regista si parli. Film come questi riscuotono sempre grande successo e sembrano piacere soprattutto al pubblico statunitense. Non per niente anche Amarcord alla sua uscita fu vincitore dell’Oscar come miglior lungometraggio straniero, uno dei tanti vinti da Fellini.
Amarcord racconta l’infanzia del giovane Titta Biondi e della sua famiglia. Lo sguardo è quello di un adolescente ai primi turbamenti sessuali, ben repressi dalla comunità catto-fascista del tempo, e uno dei momenti che meglio esprime questo sguardo è sicuramente la scena in cui il protagonista viene soffocato dagli enormi seni della tabaccaia. L’approccio però è quello del racconto corale: il regista si rivolge infatti a tutta la comunità della sua Rimini e così anche personaggi secondari diventano di primo piano. Il più memorabile di questi è sicuramente la Gradisca, una ragazza che si vanta di aver sedotto un principe e sempre alla ricerca di un marito.
4. Il ribelle dell’Anatolia (1963)
Al quarto posto troviamo un film molto valido ed emblematico del genere trattato, anche se oggi forse un po’ dimenticato. Il ribelle dell’Anatolia ha la durata impegnativa di tre ore ed è diretto da Elia Kazan, regista di opere straordinarie come Un tram che si chiama desiderio e La valle dell’Eden.
Probabilmente non tutti sapranno che Kazan era in verità di origine greco-turca. Il suo nome anagrafico era infatti Elias Kazancıoğlu e la nascita avvenne a Costantinopoli, attuale Istanbul, agli inizi del ‘900. La sua famiglia era greca, ma allora quel territorio era parte dell’Impero ottomano. Questa storia viene narrata proprio ne Il ribelle dell’Anatolia attraverso le vicende del giovane Stavros. Nel 1896 le minoranze greche e armene vengono oppresse, ma la gente del posto sembra molto fiera della propria appartenenza all’Impero ottomano e saldamente legata alle tradizioni. Stavros invece sogna un futuro diverso ed è intenzionato a fuggire negli Stati Uniti (il titolo originale è infatti America America), una terra a tutti invisa, a partire dalla sua stessa famiglia.
Il film ricevette quattro candidature agli Oscar e vinse il premio per la migliore scenografia.
5. Roma (1972)
Ancora Fellini in questa classifica e stavolta lo troviamo col film che, cronologicamente e tematicamente, precede il summenzionato Amarcord. Roma è infatti girato soltanto un anno prima del lungometraggio vincitore dell’Oscar. È un film di figure piuttosto di personaggi e qui fa la sua prima comparsata Alvaro Vitali.
Da un punto di vista di classificazione, Roma rappresenta un prodotto non facile da identificare: è una commedia, ma anche un film autobiografico, la trama ha una struttura a episodi e il girato può facilmente rimandare ad un documentario. Il risultato è praticamente un diario personale del regista, in cui i ricordi emergono in modo del tutto naturale. La capitale fa da sfondo ad una nuova fase della vita di Fellini: da riminese si trasferì infatti a Roma soltanto nel 1939 e ai suo occhi apparve da subito come una città briosa e piena di contraddizioni.
6. All That Jazz – Lo spettacolo comincia (1979)
Un altro grande titolo autobiografico è All That Jazz – Lo spettacolo comincia. È diretto da Bob Fosse, regista altrettanto importante, ma ancora più noto come ballerino e coreografo. La danza è un elemento ricorrente nei suoi film, che sono praticamente tutti musical o quasi. La sua filmografia conta di pochi titoli, ma tutti di forte impatto. In più, come regista è molto influenzato dallo stile di Fellini, dichiarato già nel suo lungometraggio d’esordio, Sweet Charity – Una ragazza che voleva essere amata.
All That Jazz, premiato con la Palma d’Oro a Cannes e con quattro Oscar (montaggio, scenografia, costumi e colonna sonora), è a tutti gli effetti il suo personale 8 1/2. Protagonista del film è John Gideon, un artista tanto poliedrico quanto dotato di un ego smisurato: è attore, ballerino e coreografo ed è uno che ne capisce tantissimo di danza. I suo spettacoli sono sempre ambiziosi e fuori dagli schemi e la nudità è di casa. Tanto sul versante professionale è meticoloso, quanto nella vita personale è un disastro: padre poco presente e marito sempre infedele. Il film parla la lingua della sua danza, ma anche dei suoi sentimenti, delle sue contraddizioni, dei suoi sogni, delle sue ispirazioni e dei suoi sensi di colpa.
7. Persepolis (2007)
Al settimo posto di questa classifica troviamo il lavoro di una donna dietro la macchina da presa. La regista in questione è Marjane Satrapi, iraniana ma naturalizzata francese, che firma questo lungometraggio animato col suo più fedele collaboratore, Vincent Paronnaud. Tuttavia, è lei l’oggetto dichiarato del racconto, tanto più che la protagonista porta esattamente il suo nome.
Persepolis presenta un’altra trama di formazione e segue la biografia della regista, tuttavia la Satrapi vuole che il film venga visto come qualcosa di universale. Il lungometraggio è dedicato a tutti gli iraniani e inizia poco prima della Rivoluzione khomeinista, che nel 1979 portò alla caduta dello scià di Persia e alla nascita della Repubblica Islamica. All’epoca della Rivoluzione, Marjane ha solo nove anni e lo sguardo è quello di una bambina che vede il suo paese trasformarsi e gli adulti ben consapevoli degli squilibri politici in atto. Proprio questi ultimi cercheranno di proteggerla a qualsiasi costo, ma la giovane ha uno sguardo curioso e questo modo di vedersi della regista si traduce anche nella stessa scelta di animare la pellicola.
8. Roma (2018)
Un altro capolavoro che con uno dei film di Fellini sopra citati condivide lo stesso titolo. Tuttavia, la Roma di Alfonso Cuarón non è l’omonima capitale d’Italia, bensì un quartiere residenziale di Città del Messico. Il lungometraggio fu presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, dove vinse il Leone d’oro per il miglior film. L’accoglienza fu calorosa e Roma raccolse riconoscimenti ovunque, ottenendo infine l’Oscar per il miglior film straniero.
Roma è girato in bianco e nero per meglio evidenziare la cornice di un tempo passato e farci percepire l’intera narrazione come un ricordo d’infanzia. Protagonista è la giovane Cleo, una ragazza che lavora come domestica tra le mura di un’agiata famiglia. Cleo è timida e ingenua e questo la porterà a confrontarsi con alcuni eventi a cui non è preparata. La sua unica spalla è Sofia, la donna presso la quale presta servizio, anch’ella come Cleo sola e insoddisfatta. In questo quadro in cui le donne sono lasciate ai propri problemi mentre gli uomini sono assenti o incapaci di assumersi le responsabilità, interviene la Storia e i piccoli drammi individuali diventano eventi collettivi.
9. Dolor y Gloria (2019)
Dopo Roma troviamo un altro film uscito proprio in questi ultimi anni che con il lungometraggio di Cuarón condivide anche la stessa lingua, ma non siamo più in Messico. Ci spostiamo infatti sulla penisola iberica e dietro la macchina da presa c’è uno dei più importanti registi della scena internazionale, Pedro Almodóvar. Come Roma, anche Dolor y Gloria ha ricevuto la sua candidatura all’Oscar come miglior film straniero, senza tuttavia vincere l’agognata statuetta. In precedenza Antonio Banderas si era però aggiudicato il Prix d’interprétation masculine a Cannes.
Protagonista di Dolor y Gloria è Salvador Mallo, un affermato regista apertamente omosessuale (e qui non serve precisare che si tratti di un alter ego dello stesso Almodóvar). Complici delle precarie condizioni di salute, Mallo sta vivendo una profonda crisi creativa e di identità. Mentre il suo presente va avanti a fatica, assistiamo a scene della sua infanzia, cresciuto da una madre poverissima e sempre sola. La biografia si fonde con l’arte e distinguerle diventa sempre più difficile. Con Dolor y Gloria Almodóvar firma il suo 8 1/2.
10. The Fabelmans (2022)
In ultima posizione troviamo proprio il film che ha ispirato la scrittura di questo articolo e che in precedenza abbiamo spesso menzionato. Pur venendo dopo almeno nove titoli oggettivamente più importanti, The Fabelmans merita comunque un posto in questa classifica, a costo di scavalcare altri film che pure avremmo potuto mettere. Niente da fare: il decimo posto è per The Fabelmans.
Il film di Spielberg è bellissimo ed è fortemente ispirato da alcuni titoli che abbiamo visto sopra. Non solo è un resoconto onesto dell’infanzia del regista di Cincinnati, ma in The Fabelmans Spielberg racconta anche la costruzione del proprio sguardo: gli eventi biografici incidono sul giovane Sammy e ne plasmano il modo di vedere il mondo, ma lo sguardo è per lui anche esercizio e sogno professionale. Il quadretto è quello di una famiglia allegra ma imperfetta e da questa imperfezione emerge il dolore e quindi l’arte.