Un argomento intramontabile nel cinema è rappresentato dal razzismo, soprattutto per quanto riguarda i film nordamericani. Questo ovviamente è legato a quella che è la storia degli Stati Uniti: dall’epoca coloniale allo schiavismo, dall’abolizione della schiavitù al persistere dei pregiudizi razziali.
Se ancora oggi si realizzano film di questo tipo, è perché si tratta di un tema ancora presente negli USA. Non sono mancati nel passato recente episodi che lo dimostrassero, come ad esempio il caso di George Floyd o le varie scene di violenza nei confronti delle minoranze asiatiche a cui abbiamo assistito. Questo naturalmente ha influenzato la rappresentazione cinematografica, che mira oggi ad andare oltre i classici stereotipi dell’immigrato e simili. Tra gli esempi più recenti si contano: Everything Everywhere All at Once, Moonlight e BlacKkKlansman. Tuttavia, si tratta di un dibattito talmente radicato nel cinema “made in America” che anche andando indietro nel tempo si trovano innumerevoli esempi. In questo articolo ci concentreremo quindi sui 15 migliori film sul razzismo da vedere assolutamente.
1. Il buio oltre la siepe (1962)
Il titolo più importante che viene in mente è sicuramente Il buio oltre la siepe, uno dei più celebri adattamenti mai realizzato per il grande schermo. Il film diretto da Robert Mulligan è tratto da un omonimo romanzo di Harper Lee (il cui titolo originale è To Kill a Mockingbird) e vede protagonista un intenso Gregory Peck nei panni dell’eroico Atticus Finch.
L’uomo è un avvocato di sani principi morali, che diviene oggetto di odio da parte della comunità americana a causa della sua difesa di un ragazzo afroamericano. Il giovane in questione è Tom Robinson, accusato di aver violentato una sua coetanea. Nonostante la mancanza di prove a suo carico, la comunità di Maycomb si schiera contro di lui scatenando il linciaggio. Apparentemente sembrerebbero punire il crimine che immaginano che lui abbia commesso, ma in realtà l’intera vicenda fornisce ai cittadini un pretesto per sfogare il proprio odio razziale. Finch lo intuisce e per questo ne accetta la difesa.
I pregiudizi narrati ne Il buio oltre la siepe non riguardano soltanto il colore della pelle, ma investono anche i personaggi con malattie mentali. In effetti il finale invita a non aver paura dell’altro, di colui che non si conosce.
2. Green Book (2018)
Tra i titoli più recenti in materia di razzismo si annovera Green Book, uno dei lungometraggi di maggior successo del 2018. Sebbene non tutti concordino nell’affermare la sua onestà nel trattare questo tema, certo è così che è stato percepito dalla maggior parte degli spettatori. Il film è stato salutato come il nuovo A spasso con Daisy, con il quale condivide anche il successo agli Oscar.
Green Book è diretto da Peter Farrelly ed è interpretato da Viggo Mortensen e Mahershala Ali. L’intera vicenda si ispira alla vera storia di Don Shirley e Tony Lip alias Frank Vallelonga. Lo sfondo è l’America degli anni ’60, quando i pregiudizi razziali sono ancora vivi e persistenti. Anzi, la segregazione razziale è in quel momento ancora in vigore con tutte le conseguenze del caso. A soffrire è il personaggio di Mahershala Ali, che sente crescere la pressione legata alla sua condizione di uomo nero in una società prevalentemente bianca. Lo stesso Tony incarna perfettamente quei pregiudizi, motivo per cui il rapporto tra due uomini inizialmente non scorre buon sangue. Il caso di Don si presenta invece più complesso: il pianista si sente infatti emarginato sia dalla comunità bianca che da quella nera, in quanto reo di suonare musica non afroamericana.
3. XIII Emendamento (2016)
Terzo film in classifica sul razzismo è XIII Emendamento, un documentario firmato da Ava DuVernay. La regista è nota soprattutto per la serie Netflix When They See Us. Proprio come quest’ultima, anche XIII Emendamento è stato distribuito direttamente sulla stessa piattaforma. Il film ha ricevuto il plauso della critica, oltre che la candidatura all’Oscar come miglior documentario e ha vinto il Primetime Emmy Award. La regista affonda le mani nella travagliata questione razziale negli USA con un punto di vista consapevole ma misurato.
Il titolo fa riferimento al XIII Emendamento contenuto nella Costituzione degli Stati Uniti d’America, che ha abolito la schiavitù, tranne come punizione di un crimine. In effetti l’oggetto del discorso è proprio il sistema giudiziario statunitense e come questo sia influenzato dal razzismo. La DuVernay porta avanti la tesi che la schiavitù si sia nell’America contemporanea tradotta nell’ingiusta incarcerazione, che riguarda sempre più spesso e volentieri le minoranze appartenenti altre etnie. A riprova di quanto affermato esibisce i dati che mostrano come il 25% della popolazione mondiale incarcerata si trovi proprio negli Stati Uniti. Nel documentario intervengono diverse personalità di spicco della comunità afroamericana e non solo, ma anche politici, attivisti e tanti altri.
4. Gran Torino (2008)
Anche Gran Torino, diretto ed interpretato da Clint Eastwood, può essere incluso in questa lista, soprattutto se pensiamo al razzismo verso le minoranze asiatiche, un tema oggi sempre più scottante. C’è da dire che il risultato non ha soddisfatto la comunità hmong, che ha criticato lo sceneggiatore Nick Shenck per il suo modo di rappresentare gli stereotipi anti-hmong. In effetti nel film troviamo perfino una rappresentazione omertosa della comunità asiatica, che tuttavia rimane vittima di violenza e discriminazione per gran parte del film.
Nella visione di Eastwood il razzismo dilagante negli USA verso gli hmong deriverebbe da fattori politici, non ultimo il coinvolgimento dell’esercito americano nella guerra di Corea. Proprio di quest’ultimo aspetto è presente un’eloquente metafora nel film, quando il burbero Walt Kowalski imbraccia il fucile per mettere in fuga un gruppo di teppistelli del quartiere che ce l’ha con una famiglia di hmong. Il suo gesto è dettato chiaramente da egoistica territorialità, ma viene scambiato per un atto eroico ed umanitario.
5. Un grappolo di sole (1961)
Andando più indietro negli anni troviamo Un grappolo di sole (A Raisin in the Sun), diretto da Daniel Petrie e basato su una pièce dell’afroamericana Lorraine Hansberry. Quest’ultima fonte risulta particolarmente importante, in quanto il suo lavoro è ispirato alla battaglia legale che la sua famiglia combatté contro le leggi sulla segregazione razziale durante la sua infanzia. Si tratta quindi di un lavoro molto forte e ben adattato da Petrie. Il film è interpretato dalla star degli anni ’60 Sidney Poitier e risultò tutt’altro che facile da produrre, essendo per l’epoca rischioso un lungometraggio con un cast interamente afroamericano.
Un grappolo di sole fotografa la vita quotidiana di una famiglia afroamericana all’epoca delle segregazioni razziali. Il film si concentra soprattutto su come essere un nero negli Stati Uniti degli anni ’60 influenzi i vari personaggi. George Murchison, ad esempio, arriva ad rinnegare la propria etnia per integrarsi nella comunità bianca, un atteggiamento malvisto dagli afroamericani. L’apice si raggiunge nel momento in cui gli Younger versano un acconto per l’acquisto della casa in quartiere di bianchi in cui intendono trasferirsi. A quel punto interviene Karl Lindner, che cerca di ricomprarla perché la loro presenza porterebbe scompiglio nella comunità bianca.
6. Crash – Contatto fisico (2004)
Era il 2005 quando l’Oscar per il miglior film lo vinse Crash – Contatto fisico, sbaragliando la concorrenza del favorito I segreti di Brokeback Mountain. Il lungometraggio diretto da Paul Haggins fu salutato come un ritratto dell’America contemporanea e il razzismo era un tema ben presente.
Il modo in cui Haggins approccia questa tematica è molto forte e gli afroamericani diventano vittime di abusi o vengono uccisi, come accade realmente nella società americana. Il discorso del regista si estende però anche ad altre minoranze e soprattutto il film mostra come il razzismo sia dilagante, a tal punto che diventa quasi uno strumento di integrazione. Ne è una prova l’episodio in cui il negoziante persiano se la prende con un ispanico, convinto che questi voglia derubarlo. Le tensioni salgono e sorgono anche all’interno delle comunità discriminate, tra la madre che accusa il figlio poliziotto di non aver fatto abbastanza per il fratello tossicodipendente e la moglie di un regista che biasima il comportamento servile del marito di fronte ad un agente corrotto e razzista.
7. Lo specchio della vita (1959)
Un grande classico è sicuramente Lo specchio della vita di Douglas Sirk, remake di un film omonimo diretto nel 1934 da John M. Stahl. Qui si cerca di andare verso la solidarietà tra bianchi e neri, ma resiste ancora qualche pregiudizio. In realtà, è presente anche della violenza di matrice razzista. È un lungometraggio che mostra come il razzismo fosse allora socialmente accettato, a tal punto da pregiudicare i legami familiari. In più, è uno dei primi a dare dignità alla cultura black, non a caso è presente un coro gospel con Mahalia Jackson alla fine del film.
In tema di pregiudizi, un primo esempio si ha nella scena in cui Lora si mostra sorpresa nello scoprire che Sarah Jane, la figlia dell’afroamericana Annie, sia bianca. Proprio questa differenza di etnia è causa di dolore tra madre e figlia. Anzi, la stessa Sarah Jane verrà picchiata dal ragazzo che ama per la sola colpa di avere una mamma nera.
8. Mississippi Burning – Le radici dell’odio (1988)
Altro film molto importante è Mississippi Burning – Le radici dell’odio di Alan Parker, che, già diversi anni prima di BlacKkKlansman, aveva affrontato apertamente il tema del Ku Klux Klan. Si tratta di una storia ispirata a fatti realmente accaduti, sebbene nella finzione i nomi siano stati cambiati. Rimangono però ben chiare le figure originali che hanno ispirato i vari personaggi presenti nel film.
Pur essendo datato al 1988, la trama è ambientata negli anni ’60, decennio dal quale provengono gran parte dei film sul razzismo, segno che si trattava allora di un tema molto attuale. L’anno della narrazione è il 1964, quando tre attivisti dei diritti civili degli afroamericani scompaiono misteriosamente. Si tratta di omicidio e sono responsabili i membri del Ku Klux Klan e il loro leader Clayton Townley, che ogni sera incita i suoi adepti all’odio razziale.
9. Scappa – Get Out (2017)
Tra i più recenti, un film molto riuscito è Scappa – Get Out, che ha fatto conoscere agli spettatori di tutto il mondo il nome di Jordan Peele. Il regista statunitense, ormai acclamato dalla critica, è diventato in breve tempo simbolo di un nuovo cinema per masse completamente black. Scappa è a tutti gli effetti un horror, ma tratta di razzismo, per questo è una storia molto personale, seppur non certo autobiografica. Anzi, la sua genesi avviene sullo sfondo socio-politico di alcune sparatorie della polizia contro degli afroamericani, ancora prima dell’assassinio di George Floyd. In effetti, in origine il film prevedeva un finale diverso e più incentrato sul razzismo, che venne però in seguito abbandonato in favore di un più confortante happy end.
Il riferimento al razzismo dilagante nell’America contemporanea è presente fin dalla scena di apertura, in cui l’afroamericano André Hayworth viene rapito da un uomo misterioso. Il 34% dei dispersi in USA sono infatti neri e le loro sparizioni hanno sempre meno attenzione mediatica rispetto ai crimini compiuti nei confronti dei bianchi. In effetti l’intera trama si sviluppa su ispirazione di questi eventi e diviene al tempo stesso metafora della schiavitù. Il discorso raggiunge il suo apice nel momento in cui Chris, unico nero ad una festa di bianchi, riceve un sacco di inquietanti complimenti per la sua etnia.
10. Il colore viola (1985)
Anche il maestro Steven Spielberg ha realizzato un grande film sul tema del razzismo, peraltro uno dei suoi lavori più famosi, complice una storia davvero toccante. Il colore viola ha lanciato Whoopi Goldberg, subito divenuta una delle interpreti più richieste a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, e Oprah Winfrey, star della TV americana. Nel cast troviamo inoltre Margaret Avery e Danny Glover. Una delle caratteristiche principali de Il colore viola risiede nel suo modo di trattare la tematica razziale, qui strettamente legata ad abusi e violenza domestica. La sua importanza aumenta se pensiamo che il soggetto è tratto da un romanzo di Alice Walker, nota scrittrice statunitense ma anche attivista per i diritti delle donne afroamericane e lesbiche.
Nonostante la trasposizione di Spielberg sia più personalizzata, nel film si avverte tantissimo l’influenza della Walker e la sua origine letteraria. Al centro della scena ci sono soprattutto le donne ed è il loro lo sguardo che il regista getta sulle discriminazioni imperanti negli USA di inizio ‘900. Il colore viola racconta cosa significasse essere una donna afroamericana a quei tempi, ma lascia anche ampio spazio alla solidarietà.
11. Malcolm X (1992)
Un altro grande regista che pure si è cimentato in questo filone è Spike Lee. In realtà, Lee perfino più di una volta, essendo egli stesso simbolo di un cinema fieramente indipendente e black. Uno dei lavori più riusciti di questa filmografia è Malcolm X, che è quello che tra tutti vale la pena di includere in questa classifica. Il biopic ha una durata impegnativa di circa 202 minuti e trova la sua forza soprattutto nell’ottima interpretazione di Denzel Washington, giustamente premiato a Berlino con l’Orso d’argento per il miglior attore.
Malcolm X è molto più di un film, si tratta di una vera e propria operazione di attivismo avvenuta usando la settima arte. Non per niente Lee all’uscita di Malcolm X invitò i giovani afroamericani a marinare la scuola per correre a vedere quella che era in fondo una lezione di storia dichiarando: “Vi insegnerò una parte di storia americana che finora è stata tenuta nascosta”. Anche la campagna promozionale venne gestita come se fosse un’azione politica invitando gli spettatori a “svegliarsi”, a guardare cioè quello che accadeva realmente negli Stati Uniti. Come film, quindi, Malcolm X aspirava proprio a diventare un simbolo. Negli USA ottenne critiche talvolta divisive, proprio a causa del suo contenuto, eppure tutti sembrarono concordare sul fatto che fosse un’ottima biografia.
12. Selma – La strada per la libertà (2014)
Dopo XIII Emendamento ecco un altro film diretto da Ava DuVernay, meno importante per intenti e risultati, ma sicuramente più famoso. Selma – La strada per la libertà è un lungometraggio di finzione e vanta un cast prevalentemente afroamericano di tutto rispetto. Ne fanno infatti parte David Oyelowo, Tim Robbins, Tom Wilkinson, Common, Ruben Santiago-Hudson, Carmen Ejogo, Oprah Winfrey, Cuba Gooding Jr, Giovanni Ribisi, Alessandro Nivola, André Holland, Keith Stanfield e Tessa Thompson. Il film ha inoltre vinto l’Oscar per la migliore canzone.
La trama riguarda un evento storico importante per la comunità nera degli Stati Uniti, la marcia da Selma a Montgomery che nel 1965 divenne simbolo della rivolta degli afroamericani che chiedevano il diritto di voto. È un film molto politico, come tutto il cinema della DuVernay, e si apre sotto l’insegna della lotta pacifica di Martin Luther King. Oltre ad essere il racconto di una rivoluzione, Selma mostra anche le pratiche segregazioniste in atto quegli anni e i loro effetti sulla gente nera.
13. Lontano dal paradiso (2002)
Uno splendido lungometraggio sul razzismo è Lontano dal paradiso, in cui il racconto è filtrato però dal punto di vista di una donna bianca. In realtà, il film di Todd Haynes narra soprattutto l’incontro tra due solitudini, entrambe oppresse: l’una perché donna e l’altra in quanto uomo afroamericano. È una perfetta fotografia dell’America degli anni ’50 e dell’ipocrisia della classe medio-borghese, che si mostra solidale soltanto nel momento in cui i valori conservatori vengono rispettati. Lontano dal paradiso tocca diverse tematiche, inclusa l’omosessualità, e ha un cast straordinario in cui svetta Julianne Moore, premiata a Venezia per questa performance.
L’aspetto più interessante è che pur essendo un mix di dramma e romance con un tono leggero e i colori accesi di una commedia, Lontano dal paradiso riesce ad affrontare seriamente il tema della segregazione razziale. Oltretutto partendo da una protagonista bianca non era così semplice portarlo in primo piano. A destare scalpore nella comunità di Hartfort in Connecticut è soprattutto l’amicizia tra Cathy Moriarty, casalinga infelice, e il suo giardiniere afroamericano. La diffidenza viene da entrambe le parti coinvolte e si vede come nel mezzo i due protagonisti si trovino in una situazione molto tesa.
14. Conrack (1974)
Un film un po’ dimenticato sul razzismo è Conrack con Jon Voight e diretto da Martin Ritt, regista di altri due titoli notevoli con protagonista Paul Newman: La lunga estate calda e Hud il selvaggio. A partire dagli anni ’70, Ritt si dedicò ad alcuni lavori dedicati alle storie di afroamericani, come ad esempio Per salire più in basso e Sounder. È in questo stesso periodo che realizza anche Conrack, che è un adattamento del romanzo autobiografico di Pat Conroy The War Is Wide.
Pur presentando un punto di vista di uomo bianco che esplora la comunità nera, Conrack mette comunque in scena l’incontro tra due culture, in un decennio sempre più cruciale per la società americana. Conroy finisce ad insegnare in una scuola per neri in Carolina del Sud e sprona i suoi studenti a rivendicare i propri diritti a cominciare dallo studio. Il suo è un approccio anticonformista, che attira però le antipatie della direttrice della scuola.
15. Barriera invisibile (1947)
Chiaramente il concetto di razzismo non riguarda soltanto il colore della pelle, ma anche altre minoranze a lungo oggetto di discriminazioni. Una di queste è sicuramente rappresentata dagli ebrei. Spesso quando si pensa a un film sull’odio verso gli ebrei vengono in mente tutti titoli dedicati alla Shoah. Eppure andando indietro nel tempo troviamo questa pellicola di Elia Kazan premiata con l’Oscar, Barriera invisibile. Si tratta di un film abbastanza importante: nell’immediato dopoguerra seppe dimostrare come l’antisemitismo fosse ancora ben presente nella società americana e avesse preso delle forme più velate e nascoste. È importante anche per comprendere la tematica razziale perché illustra cosa sia veramente il razzismo, guardando oltre le sue manifestazioni più note.
In Barriera invisibile è protagonista uno straordinario Gregory Peck, che interpreta un giornalista di nome Philip Schuyler Green. Quando gli viene assegnato un articolo sull’antisemitismo, Green ha un’idea: fingersi ebreo rivelando a tutti una falsa informazione su di sé fino a quel momento taciuta. Le reazioni che suscita quella rivelazione sono le più disparate, ma questo permetterà a Green di scavare a fondo nella sua esperienza di uomo “ebreo”.