Il 25 maggio 2020 George Floyd, afroamericano di 40 anni, veniva ucciso a Minneapolis dalla polizia americana. È stato un fatto drammatico, eclatante, che ha posto all’attenzione come non accadeva da tempo la questione delle condizioni in cui vivono i neri negli Stati Uniti d’America. L’Era Obama ci aveva forse illuso, ma i segnali di un clima ostile verso gli afroamericani, la sensazione che la giustizia usi due pesi e due misure quando si tratta di questa parte della popolazione erano arrivati da tempo. Il cinema americano degli ultimi anni sta affrontando in maniera decisa la questione. Molti film americani di denuncia sono ambientati ai giorni nostri, altri tornano indietro nel tempo per dirci che non è cambiato nulla. Attraverso una serie di film proviamo a raccontarvi che cos’è l’America oggi in fatto di discriminazione e razzismo. Ci siamo concentrati sui film degli ultimi cinque anni, alcuni molto conosciuti, altri meno. E tra loro c’è anche una serie da non perdere. Per ricordarci l’importanza di Black Lives Matter.
1. XIII Emendamento
Il documentario XIII Emendamento (2016, Netflix), di Ava DuVernay, ci racconta come il sistema americano continui a perpetrare la schiavitù dopo averla abolita da secoli. La clausola del XIII Emendamento della Costituzione americana vieta di tenere delle persone in schiavitù, tranne che come punizione per un crimine. E questa punizione per i crimini è stata usata come chiave dall’establishment per continuare a tenere in schiavitù il mondo degli afroamericani. La schiavitù, in molti stati era un sistema economico. Quando quattro milioni di schiavi furono liberati cominciarono ad essere arrestati per piccoli delitti al fine di mantenerli in schiavitù di mantenere una manodopera. Iniziò così il processo di criminalizzazione dei neri. Gli afroamericani hanno sempre dovuto lottare per essere considerati esseri umani in piena regola. Una lotta frustrata da una politica che, da Nixon a Reagan fino a Clinton, ha sostituito il concetto di crimine a quello di razza. Le continue politiche di lotta alla droga, come quelle sull’ordine pubblico, non hanno fatto altro che riempire le carceri e di continuare e definire i neri come criminali, a tal punto che loro stessi si sentono tali, e sono diventati una comunità continuamente sotto sorveglianza. C’è una presunzione di pericolosità che li segue ovunque vadano. Ava DuVernay ha anche girato la miniserie When They See Us (2019, Netflix), sul caso della jogger di Central Park che nel 1989 fu aggredita: cinque giovani, di cui quattro neri e uno ispanico, furono condannati e poi scagionati in seguito alla confessione del vero colpevole.
2. The Birth Of A Nation – Il risveglio di un popolo
The Birth Of A Nation – Il risveglio di un popolo (2016, a noleggio), scritto, diretto e interpretato da Nate Parker (su Sky On Demand e NOW è disponibile il suo nuovo film, American Skin), è la storia di uno schiavo nel sud degli Stati Uniti nell’Ottocento che comincia a leggere la Bibbia, diventa un predicatore, viene trattato come un amico dal padrone. E fa la sua fortuna, andando a predicare per gli altri padroni: usa le parole di Dio per tenere a bada gli altri schiavi. Le cose però precipitano. E allora comincia a interpretate le stesse parole come un invito alla rivolta. The Birth Of A Nation si muove su binari consolidati per un certo cinema americano, come 12 anni schiavo, e sa esattamente come toccare i tasti giusti per commuovere e indignare. A differenza di quel film, però, ha un altro approccio, un senso di reazione, di lotta, e di non accettazione dello status quo. Ma è attualissimo anche per il discorso su come la religione possa essere letta ogni volta in modo diverso a seconda di quello che si vuole ottenere.
3. Detroit
Detroit (2017, Netflix), di Kathryn Bigelow, ci porta in mezzo alle rivolte razziali nella capitale del Michigan nel 1967: lo sparo di una pistola giocattolo attira la polizia nel Motel Algier; cercano un colpevole, e non se ne vanno fino a che non l’hanno trovato. E tre ragazzi di colore vengono uccisi a bruciapelo. Siamo negli anni Sessanta, a Detroit, dove nasceva il soul della Motown, e gli afroamericani stavano diventando le nuove star. Ma per la maggioranza degli americani erano ancora i “negri” e, come sempre, potenziali criminali. Ecco tornare ancora quella presunzione di colpevolezza che è lontana da ogni diritto civile. Un film durissimo da vedere, in cui la violenza non dà un attimo di tregua.
4. Scappa – Get Out
Ma la questione degli afroamericani è stata trattata anche attraverso il cinema horror. Scappa – Get Out (2017, Netflix e Infinity) di Jordan Peele (di cui consigliamo anche il successivo Noi – Us, che racconta il razzismo sotto un’altra interessante chiave) è un Indovina chi viene a cena horror e acido. Il punto di partenza è una coppia di fidanzati: partono per andare dai genitori di lei, a cui presenterà il nuovo fidanzato, che è nero. Le reazioni dei genitori sono sorprendenti, eccessivamente positive. Dietro, ovviamente, si nasconde un mistero. Ma Scappa – Get Out è importante per come racconta l’ipocrisia della classe media WASP in America, e il tentativo di omologazione che vorrebbero fare ai danni degli afroamericani. Buono come horror, geniale a livello di significato e di metafora.
5. Il coraggio della verità
Il caso di Philando Castile, afroamericano di 32 anni ucciso da un poliziotto dopo che era stato fermato perché uno stop della macchina non funzionava, è stato lo spunto per Il coraggio della verità (2018, Sky On Demand e NOW) di George Tillman Jr., adattamento cinematografico del romanzo The Hate U Give – Il coraggio della verità, del 2017, scritto da Angie Thomas. La storia di Castile si unisce a uno status del rapper Tupac Shakur, THUG LIFE, cioè The Hate U Give Little Infants Fucks Everybody. È l’odio che diamo ai bambini a fotterci: un odio che i bambini respirano fin da piccoli, e che finiscono per restituire una volta adulti. Khalil, il ragazzo al centro della storia, dice queste parole a Starr, sua amica fin dall’infanzia mentre, di ritorno da una festa, stanno ascoltando Tupac in macchina. Poco dopo i due vengono fermati dalla polizia. E, per un equivoco, Khalil viene freddato. La verità, in America, è questa: se un poliziotto ferma un nero e teme che sia armato, gli spara. Se succede la stessa cosa con un bianco, gli grida “mani in alto”. Una brutta storia, raccontata con gli occhi di un adolescente, e con un taglio young adult.
6. Se la strada potesse parlare
Se la strada potesse parlare (If Beale Street Could Talk, 2018, Sky On Demand e NOW), di Barry Jenkins, premio Oscar per Moonlight (un altro film da vedere), è ambientato negli anni Sessanta, ad Harlem, Manhattan, ma potremmo essere anche ai giorni nostri. È una storia d’amore tra due giovani afroamericani, Tish e Fonny: lui è in carcere, in attesa di giudizio, per un crimine che non ha commesso, cosa che accade molto spesso. La loro storia è raccontata con un tono pacato. È come se i personaggi che si muovono nel film abbiano capito che le battaglie contro le ingiustizie si fanno amandosi e sostenendosi a vicenda. “I rapporti che costituiscono il fulcro del film sono caratterizzati da quell’incantevole poesia degli scambi interrelazionali che, per la gente di colore, funge da paraurti, rendendo l’esistenza meritevole di essere sopportata, rendendo la promessa infranta del sogno americano degna degli sforzi necessari al suo perseguimento” aveva scritto Jenkins.
7. Fahrenheit 11/9
Della questione afroamericana ha parlato anche Michael Moore. Fahrenheit 11/9 (2018, a noleggio) racconta, tra le altre cose, il caso di Flint, nel Michigan, dove una faglia di acqua inquinata ha avvelenato con il piombo più di 10mila bambini. La zona colpita era una delle più povere della città, quella abitata dagli afroamericani, dai più poveri, quelli che hanno sempre la peggio quando le cose si mettono male, che non vengono mai considerati.
8. Che fare quando il mondo è in fiamme?
Che fare quando il mondo è in fiamme? (What You Gonna Do When The World’s On Fire, 2018, RaiPlay) di Roberto Minervini è stato girato tra Baton Rouge e Jackson, Louisiana, nel 2017, quando da poco erano stati uccisi Alton Sterling e Philando Castile a opera della polizia. Minervini ci fa seguire tante storie, di donne, uomini, bambini: ognuno vive la prigione come qualcosa di ineluttabile, di inevitabile, un destino segnato. Tutti parlano di carcere, criminalità, violenza, e lo fanno con dolore ma con naturalezza: entrare e uscire di prigione è la norma.
9. Il diritto di opporsi
Il diritto di opporsi (2020, Sky On Demand, NOW e Infinity) di Destin Cretton racconta la storia di Walter McMillian, che nel 1987 venne condannato a morte per aver ucciso una ragazza di 18 anni, nonostante delle prove inesistenti. A difendere Walter è Bryan Stevenson, neolaureato in legge ad Harvard. Il diritto di opporsi è un film orgogliosamente anti-Trump: il momento in cui, nella sua arringa, Bryan si appella alla giuria e si chiede se stia decidendo in base alla paura e alla rabbia invece che alla legge, è una stilettata decisa all’attuale amministrazione americana.
10. Them
L’ultimo consiglio di questa lista (ovviamente parziale) non è un film, ma una serie antologica davvero da non perdere. Them (2021, Amazon Prime Video), di Little Marvin, è una storia dove l’horror si traduce, e non solo letteralmente, in orrore. Perché è questo, l’orrore quotidiano del razzismo innato in certe comunità, a sconvolgere più dell’horror soprannaturale che costella la storia. Che è quella di una famiglia di afroamericani che, negli anni Cinquanta, si trasferisce da uno stato del sud in California per lavorare in un’industria e per sfuggire al clima razzista. Ma capita in uno di quei quartieri bene da “casalinghe disperate”, in quegli scenari de La donna perfetta, capelli biondi, tinte pastello e prati ben curati. Solo che queste sono casalinghe disperatamente razziste, e il piano che mettono in atto per scoraggiare “loro” a vivere nella loro comunità è sconvolgente. Da non perdere.