Ci arrendiamo. Davvero. Con una profonda, sincera riverenza e reverenza verso chi può davvero pensare di selezionare solo un TOT di vini, scriverci un articolo e intitolarlo “I migliori vini rossi d’Italia”. Noi non riusciamo, è come quando da bambini ci chiedevano se volessimo più bene alla mamma o al papà: potevamo scoppiare a piangere, allora. Ma mettersi a lacrimare per dei vini… e quale lacrima, poi? Morro d’Alba o Christi? Ecco, è impossibile.
Però dai, siamo adulti, maturi, le nostre mamme pensano addirittura che siamo esperti. Smettiamo di piangere e proviamoci seriamente, ma a modo nostro: regione per regione, territorio per territorio, denominazione per denominazione. Non per far vedere quanto siamo bravi noi, ma quanto è bella l’Italia del vino.
Ci siamo chiesti, per iniziare: COSA significa MIGLIORE? E la risposta, almeno per quanto riguarda i nostri vini nazionali, è nella complicata magia creata dall’incontro tra vitigno, terroir (e cosa è il terroir? Ah, le domande che si inseguono), stile di vinificazione, tecnica e tecnologia. Per non parlare dell’annata, e persino delle capacità delle singole cantine più o meno prestigiose, e dei professionisti che le animano, di creare vini eccellenti in territori apparentemente meno vocati.
La burocrazia, ironicamente, ci viene in aiuto. Perché quelle etichette chiamate Denominazioni di Origine aiutano, in parte almeno. Perché sono aree individuate grazie alla loro tradizione vitivinicola. Ma anche la loro non è certo una selezione ridotta: nel nostro Paese abbiamo al momento 78 DOCG, 330 DOC (talvolta riunite nella nuova identificazione DOP), 118 IGT (o IGP). Più innumerevoli vini non classificati. Aiuto!
Però, quanto gusto, quanta bellezza! Da dove partiamo? Ma sì, facciamo le cose a modo nostro, l’Italia è bella lunga, sbarchiamo come i fenici sulle Isole del Sud, e risaliamo!
Chi naviga tra queste pagine lo sa: normalmente non facciamo mai nomi, quando parliamo di vino. Perché non è nel nostro stile. Stavolta ne faremo, UNO per ciascuno paragrafo. Vini che tuttavia son piaciuti a noi, e che consigliamo a voi. Siccome voi non siete noi, prendete ogni suggerimento cum grano salis. E infine, fateci sapere.
Basta parlare, nunc est bibendum, come dicevano i romani. Ora bisogna bere, cavatappi e calici pronti: ecco la nostra lista dei migliori vini rossi italiani da comprare e provare, di ogni regione.
Sicilia
1. Cerasuolo di Vittoria DOCG
Territorio: Province di Ragusa, Caltanissetta, Catania
Vitigni: Nero d’Avola (50-70%) + Frappato (30-50%)
Affinamento in legno: Possibile, specie per la sottozona “Classico”
Colore: Rosso rubino intenso, tendente al violaceo. Vira verso il granato con l’invecchiamento.
Sentori tipici: Ciliegia, prugna, melagrana, erbe aromatiche, spezie, legno
Benvenuti, viaggiatori!
Apre la nostra ristrettissima (?) classifica la prima e unica DOCG siciliana. Sbarchiamo in Trinacria, sulla piana punteggiata di serre che si apre sulla collinare, barocca cittadina di Vittoria. A inizio 1600 fu la fondatrice della città, la nobildonna Vittoria Colonna Henriquez – figlia del vicerè di Sicilia e contessa di Modica – ad ampliare la viticoltura del territorio, soprattutto delle uve Nero d’Avola (detto Calabrese) e Frappato. Il successo di questo vino nei secoli ha portato al riconoscimento della DOCG nel 2005, e ad essere qui il portabandiera dei migliori rossi italiani.
I sentori tipici, fruttati e intensi lo rendono facilmente riconoscibile, mentre la morbida gradevolezza e intensità lo rende adatto ad ogni momento, dall’aperitivo tra amici fino all’abbinamento con piatti importanti.
Abbinamento consigliato: vino versatile, a seconda dello stile di produzione. Abbraccia la cucina locale con il suo pesce, ma anche i fritti, i primi piatti siciliani, le grigliate e tutte le carni.
Suggerimento: Cerasuolo di Vittoria Classico DOCG “Delle Fontane” – Azienda Agricola COS
2. Etna DOC
Territorio: Provincia di Catania
Vitigni: Nerello Mascalese (min. 80%) + Nerello Cappuccio (0-20%) + altri (0-10%)
Affinamento in legno: Possibile
Colore: Rosso rubino intenso, con riflessi granato in invecchiamento
Sentori tipici: Frutta rossa matura, erbe aromatiche, pietra focaia, spezie, legno. Molto variabili a seconda del versante di produzione.
Se osserviamo una mappa delle migliori zone vitivinicole (e in generale agricole) della Terra, noteremo che molte di loro sono, direttamente o indirettamente, legate ai vulcani. Dalla California alla Campania, dal Golan israeliano alla Yarra Valley australiana, i suoli vulcanici, con le loro caratteristiche idrogeologiche e la ricchezza di minerali e microelementi sono ideali per coltivazioni di altissima qualità, nonostante l’evidente difficoltà presentata dai vulcani stessi (non tutti però sono attivi, anzi… ma non scendiamo nei dettagli). Il maestoso e vivace Etna non fa ovviamente eccezione, e grazie ad un’attiva politica di promozione territoriale e alle sue particolarità intrinseche (non da ultimo: qui si coltivano ancora vigneti con radici non innestate, pre-fillossera) l’Etna DOC è oggi una delle più apprezzate denominazioni d’Italia, persino di moda. A ragione: produzione limitata, fascino, qualità elevata e piacevolezza dei vini ne fanno un fiero esempio dei migliori vini italiani, sia bianchi che rossi.
Le caratteristiche sensoriali variano moltissimo a seconda del versante del vulcano su cui vengono coltivate le uve. Basti pensare che sulla zona nord cade il doppio della pioggia che al sud, e che la differenza di temperatura tra le pendici e i 1200 m (fin dove si estendono i vigneti) può essere di oltre 10 gradi nello stesso momento. L’unico modo per conoscere al meglio questa denominazione eccezionale è… esplorarla tutta!
I suoi vini freschi, molto fruttati e dal piacevole tannino si abbinano meravigliosamente con moltissime cucine, e con tutte le carni.
Suggerimento: Etna DOC rosso pre-fillossera “Altero” – Theresa Eccher
3. Terre Siciliane DOC
Territorio: Tutta la Sicilia
Vitigni: Autoctoni ed Internazionali autorizzati
Affinamento in legno: Possibile
Colore: A seconda delle uve e della vinificazione
Sentori tipici: A seconda delle uve e della vinificazione
Con questa abbiamo il primo esempio di “omaggio” regionale. Un magnifico esempio della produzione “di tutto un po’”, al cui interno in questo caso si trova gran parte della produzione siciliana di più facile reperibilità, e di cui il 99% delle cantine siciliane ha almeno uno o due prodotti.
Perché ci sono tanti grandi vini in Sicilia, ma dovendo essere realisti, possiamo solo includere qui tutti quelli di cui non abbiamo tempo di parlare.
Il dramma (per il consumatore) nel muoversi in queste denominazioni ampie – che in altre regioni sono solitamente classificate nelle più permissive IGT, è che il livello qualitativo è enormemente variabile, tra il maestoso e l’imbevibile, e l’unico modo per saperlo è assaggiare. Più sicuro affidarsi ai grandi nomi (mossa che però non è necessariamente una garanzia) o andare alla cieca. Non è un brutto esplorare, tuttavia.
Suggerimento: Terre Siciliane DOC “Tancredi” – Donnafugata
Sardegna
4. Cannonau di Sardegna DOC
Territorio: Tutta la Sardegna
Vitigni: Cannonau (min. 85%) + altri (0-15%)
Affinamento in legno: Possibile. Obbligatorio per la tipologia “Riserva” e “Liquoroso”, e per la sottozona “Classico”
Colore: Rosso rubino intenso, tendente al granato con l’invecchiamento
Sentori tipici: Ciliegia, ribes, rosa rossa, sottobosco, spezie, minerali
Dalla Sicilia alla Sardegna, incontriamo un altro vino quasi mitologico: il Cannonau di Sardegna, una delle prime DOC d’Italia (orribilmente mai elevata a DOCG) nonché il vitigno più noto dell’Isola tirrenica e una delle più antiche produzioni vitivinicole del pianeta. Storicamente ritenuto il nome indigeno del vino ottenuto dalla globalmente diffusa uva Grenache, importata durante la dominazione spagnola del 1400, ipotesi ribaltata da altre studi che ne evidenziano l’origine sarda. In ogni caso il Cannonau è talmente sardo che non ha più senso parlare del suo misterioso passato, ma solo del suo ricco presente.
Profumato, intenso, ricco di colore e di struttura – con gradazioni alcoliche che oggi facilmente raggiungono i 15-16 gradi in volume – il Cannonau è uno dei re dei vini d’Italia, e merita di essere considerato tra i migliori del Belpaese. Le sottozone in cui è divisa la totalità del territorio identificano terroir più specifici (Classico, Oliena, Jerzu, Capo Ferrato) con le proprie caratteristiche: più potente e rotondo il Classico, più fruttato e delicato il Capo Ferrato.
Un vino di cui è impossibile non innamorarsi, di quegli amori roventi e tempestosi come il Maestrale che spazza la Sardegna. Abbinamento perfetto per la grande cucina di terra sarda, dal maialino al capretto, dal formaggio di pecora ai primi piatti saporiti.
Suggerimento: Cannonau di Sardegna Nepente di Oliena DOC Riserva “Crujos” – Vignaioli di Oliena
5. Carignano del Sulcis DOC
Territorio: Province di Carbonia-Iglesias e Cagliari
Vitigni: Carignano (min. 85%) + altri (0-15%)
Affinamento in legno: Possibile. Abbastanza comune
Colore: Rosso rubino intenso, tendente al granato con l’affinamento nel tempo
Sentori tipici: Vinoso. Ribes, mora, mirtillo, prugna, macchia mediterranea
Il Sulcis è quella regione della Sardegna meridionale separata dal resto della regione dal massiccio omonimo, che comprende le antiche zone minerarie di Carbonia e Iglesias, e le antistanti isole minori. In questo territorio aspro e roccioso di antiche formazioni vulcaniche, il Carignano – vitigno internazionale diffuso in tutto il bacino mediterraneo, importato in loco probabilmente dalla dominazione spagnola del 1400 – ha trovato una patria ideale per esprimere le sue caratteristiche di morbidezza e potenza, supportate da una fruttuosità stupefacente.
Se il meridione occidentale sardo soffre turisticamente la competizione dell’est e del nord, così non è per le aziende vitivinicole locali, che offrono un panorama qualitativo veramente eccellente, tanto da far risaltare questa denominazione tra le migliori d’Italia.
La struttura del Carignano del Sulcis, i suoi sentori di frutta rossa e macchia mediterranea, la morbidezza della trama dei tannini lo rendono abbinamento ideale con carni arrosto e brasati, ma anche con primi piatti ricchi, salumi e grigliate di carne.
Suggerimento: Carignano del Sulcis DOC Riserva “Is Arenas” – Cantine Sardus Pater
6. Isola dei Nuraghi IGT
Territorio: Tutta la Sardegna
Vitigni: Autoctoni ed Internazionali autorizzati
Affinamento in legno: Possibile
Colore: A seconda delle uve e della vinificazione
Sentori tipici: A seconda delle uve e della vinificazione
La Sardegna è uno dei territori dove la civiltà del vino ha avuto origine, migliaia di anni fa. Le antiche popolazioni che hanno innalzato i misteriosi nuraghi e punteggiato di Menhir e Dolmen le aspre colline sarde hanno sempre apprezzato la vite e i suoi utilizzi, e oggi la Sardegna presenta un’enorme varietà di coltivazioni, specialmente considerando la scarsità di piogge e le caratteristiche dei terreni.
Per questo, la denominazione Isola dei Nuraghi non poteva mancare in questa selezione, anche se, come per tutti i vini che ricadono nella tipologia IGT (vedi Terre Siciliane DOC), la qualità finale è estremamente variabile e legata alla volontà della cantina produttrice e all’abilità degli enologi, oltre che ovviamente alle caratteristiche di vitigni e vigneti.
Esplorate!
Suggerimento: Isola dei Nuraghi IGT Bovale “Essentija” – Pala
Calabria
7. Cirò DOC
Territorio: Provincia di Crotone
Vitigni: Gaglioppo (min. 80%) + altri (0-20%)
Affinamento in legno: Possibile, ma non troppo utilizzato. Si trova specialmente nella sottozona “Classico”
Colore: Rosso rubino intenso con riflessi violacei, tendente al granato con l’affinamento nel tempo.
Sentori tipici: Ciliegia, marasca, viola, spezie e liquirizia
Attraversiamo il Tirreno e attracchiamo in Calabria, ripercorrendo ancora una volta le rotte greche e cartaginesi: sbarchiamo a Crotone, una delle più antiche colonie della Magna Grecia, dove Pitagora fondò la sua Scuola. Poco più a nord sorge l’antica Kremisa – oggi Cirò Marina – e il vino omonimo.
Il Cirò, per la sua storia, meriterebbe la DOCG e di essere raccontato come una delle meraviglie d’Italia: vino considerato talmente prestigioso da esser dato in premio ai vincitori delle antiche Olimpiadi, talmente apprezzato che – pare – erano stati costruiti dei veri e propri enodotti per trasportare rapidamente il vino dalle alture che salgono verso la Sila (dove ancor oggi si produce) fino ai porti delle colonie.
Duemila ottocento anni dopo troviamo un vino potente, figlio del vitigno autoctono Gaglioppo, spesso ammorbidito da varietà internazionali. Caldo e strutturato, dal tannino ben presente, la freschezza notevole, sentori di frutta rossa che si abbinano in modo straordinario a piatti di carne, verdure stufate, salumi (meraviglioso il maiale nero silano, ma anche la spianata calabra!), formaggi e primi piatti saporiti.
Suggerimento: Cirò DOC rosso – Tenuta Iuzzolini
8. Calabria IGT
Territorio: Tutta la Calabria
Vitigni: Autoctoni ed Internazionali autorizzati
Affinamento in legno: Possibile
Colore: A seconda delle uve e della vinificazione
Sentori tipici: A seconda delle uve e della vinificazione
Un omaggio più che un’indicazione: i terreni aspri e montuosi della Calabria offrono difficoltà importanti all’agricoltura, ma i viticoltori calabresi sono fieri dei loro prodotti ed è un piacere esplorare il mondo enologico della punta dello stivale, ricco di fierezza, calore e anche di vitigni storici. Alcune zone con altre IGT, come la Val di Neto (ancora in provincia di Crotone) offrono produzioni di eccellenza particolare.
Suggerimento: Calabria IGT rosso “Megonio” – Librandi
Puglia
9. Primitivo di Manduria DOC
Territorio: Province di Taranto e Brindisi
Vitigni: Primitivo (min 85%) + altri (0-15%)
Affinamento in legno: Possibile, molto frequente.
Colore: Rosso molto intenso con riflessi profondi, tendente al granato con l’affinamento nel tempo.
Sentori tipici: Mirtilli, ribes, fragole di bosco. Liquirizia, tabacco e funghi con l’affinamento nel tempo
Non chiamatelo Zinfandel. Uno dei vitigni più famosi della Puglia ha combattuto per anni, vincendo infine, contro il suo gemello americano, il classico parente di successo che vuole importi i suoi metodi. Non un cattivo ragazzo, ma un po’ troppo invadente. Il Primitivo – che matura presto, per questo così chiamato – è uva che ama i territori piatti e aridi della Puglia ionica, dove si trova bene con l’amico ulivo (quello sì, seriamente nei guai… ma è altra storia triste) da diversi secoli. Per troppo tempo utilizzato e considerato solo “da taglio” – ossia da usare silenziosamente, solo per arricchire vini di uve più importanti – finalmente negli ultimi vent’anni ha iniziato la faticosa risalita qualitativa che lo porta oggi ad essere considerato tra i migliori rossi d’Italia. C’è ancora lavoro da fare per raggiungere la grandezza dei fratelli maggiori, ma la strada è preparata. E il turismo rinato della regione aiuta non poco.
Il Primitivo di Manduria è un vino potente, ricco di residuo zuccherino (la tipologia “dolce naturale”, che dice tutto, ha ottenuto recentemente la DOCG), tannini, molto fruttato e caldo. Spesso affinato in legno per smorzarne le ruvidezze, si sposa ottimamente con zuppe saporite, arrosti di carne, primi piatti, salumi, grigliate…
Suggerimento: Primitivo di Manduria DOC “Sessantanni” – San Marzano
10. Castel del Monte DOC (e Riserva DOCG e Bombino DOCG)
Territorio: Province di Bari e di Barletta-Andria-Trani.
Vitigni: Bombino Nero (min. 90%), Nero di Troia (0-100%), Aglianico (0-100%), Montepulciano (0-100%), Cabernet Sauvignon (0-100%) + altri (0-35%). Con il nome del vitigno in etichetta: min 90% del medesimo
Affinamento in legno: Possibile e molto frequente, obbligatorio per le Riserve e per alcuni vitigni
Colore: A seconda delle uve e della vinificazione
Sentori tipici: A seconda delle uve e della vinificazione
Una denominazione, anzi due, anzi quattro. Un territorio, anzi una storia millenaria. Quando nel XIII secolo Federico II, lo stupor mundi, fece costruire un castello a pianta ottagonale sulle colline delle Murge (che non vide mai completato), non si sarebbe aspettato lo straordinario successo della piccola fortezza 800 anni più tardi. Passato di mano in mano tra i nobili, bombardato, abbandonato e infine restaurato, è oggi sulle monete da 1 centesimo e su numerosi film, oltre ad essere tappa obbligata per i turisti in visita in Puglia. E il centro di una produzione vitivinicola che negli ultimi anni sta vivendo un momento ruggente grazie alle caratteristiche del territorio e alla qualità delle sue uve.
La variabilità delle uve e degli uvaggi rende difficile definirne le caratteristiche: il Bombino nero – che ha conquistato la DOCG come riserva – è molto diverso dal Cabernet Sauvignon, ma tutti i vini prodotti in questo territorio caldo e asciutto, ricco di rocce calcaree, sono insieme veraci ed eleganti, corposi e beverini.
Da provar tutti, abbinati con piatti di carne, arrosti, primi piatti importanti, salumi e formaggi stagionati.
Suggerimento: Castel del Monte DOP rosso “Cosmatesco” – Mirvita
11. Salento Rosso IGT
Territorio: Province di Taranto, Lecce e Brindisi
Vitigni: Autoctoni ed internazionali autorizzati
Affinamento in legno: Possibile
Colore: A seconda delle uve e della vinificazione
Sentori tipici: A seconda delle uve e della vinificazione
Un altro IGT (più spesso IGP, ma cambia solo la consonante) che raccoglie un’enorme varietà di produzione e qualità. A seconda delle uve, della vinificazione, del territorio, diversissime saranno le caratteristiche del vino.
Il Salento IGT è la denominazione che più simboleggia la crescita sia qualitativa che di prestigio della Puglia enologica.
Suggerimento: Salento IGP Negroamaro – Notte Rossa
Molise
12. Tintilia del Molise DOC
Territorio: Tutto il Molise
Vitigni: Tintilia (min. 95%) + altri (0-5%)
Affinamento in legno: Possibile, molto frequente
Colore: Rosso rubino intenso con riflessi violacei (giovane), granato con riflessi aranciati (riserva)
Sentori tipici: Frutta rossa matura, note balsamiche e speziate, ben tannico
La Tintilia è uno dei grandi vitigni autoctoni che fatica ad uscire dal proprio territorio di nascita, anche se meriterebbe un ruolo più importante nelle carte vini della ristorazione nazionale. Probabile pronipote di un vitigno di origine spagnola, importato a metà del ‘700, è da allora il re incontrastato del Molise, dove domina da oltre duecento anni la produzione locale.
La sua elegante struttura, piacevolmente tannica, intensa e profondamente piacevole alla vista, all’olfatto e al gusto, lo rende un vino da scoprire (per chi non lo conosce) e da amare (per chi già lo ha assaggiato, magari in qualche winebar illuminato).
Non un vino da sorseggiare per l’aperitivo, ma sicuramente in grado di esaltare piatti robusti, zuppe, primi piatti e arrosti ricchi di sughi, aromi e sapori.
Suggerimento: Tintilia del Molise DOC “Macchiarossa” – Claudio Cipressi
13. Biferno DOC
Territorio: Provincia di Campobasso
Vitigni: Montepulciano (70-80%) – Aglianico (10-20%) + altri (0-20%)
Affinamento in legno: Possibile, molto frequente
Colore: Rosso rubino intenso con riflessi violacei, granato se affinato
Sentori tipici: Fiori di violetta, confettura di ciliegie, spezie, piacevolmente tannico
Il Biferno è un fiume storico che attraversa valli rocciose, ricche di argille e calcari. Aprendosi sull’Adriatico crea una terra ideale per la vite e vini che dal corso d’acqua prendono il nome. Morbidi e ricchi di struttura, grazie alla combinazione elegante di due dei più noti e utilizzati vitigni del centro-sud. Prodotti fruttati e sontuosi, che meritano presenza in questa nostra classifica.
Una denominazione ingiustamente poco nota al grande pubblico, come d’altronde tutto il Molise, crudelmente dileggiato sui social per la scarsa rilevanza. E invece entrambi, geografia e agricoltura, meritano la nostra attenzione. Per i paesaggi, i vini, la cucina, la storia.
Vini rotondi, da abbinare a carni rosse, formaggi, salumi, sfruttando la morbidezza anche per ricette prestigiose.
Suggerimento: Biferno DOC “Ramitello” – Di Majo Norante
Basilicata
14. Aglianico del Vulture DOC (e Superiore DOC)
Territorio: Provincia di Potenza (comuni al confine con Puglia e Campania)
Vitigni: Aglianico del Vulture
Affinamento in legno: Possibile, obbligatorio per la versione Superiore
Colore: Rosso rubino intenso, più profondo con riflessi granata per il Superiore
Sentori tipici: Frutta rossa matura, ciliegia, frutti di bosco, spezie, legno, balsamicità
Due denominazioni diverse per due espressioni dello stesso vino, come talvolta capita – anche se il risultato è più che altro la confusione del consumatore inesperto (e talvolta anche dell’esperto). L’Aglianico del Vulture nasce intorno allo splendido massiccio dell’omonimo vulcano spento, ricordandoci ancora come i movimenti tettonici che hanno dato forma all’Italia siano anche responsabili di tanta della sua ricchezza ecologica, culturale e alimentare. Già il poeta latino Orazio, nativo della zona, elogiava i vini della sua terra. Ci fidiamo?
Oggi il vino del vulcano è l’unica denominazione davvero degna di nota della Basilicata: robusto, tannico, secco, si sposa con ricette importanti, speziate e strutturate allo stesso modo del suo ricco frutto. Grande capacità di affinamento nel tempo anche nelle versioni più semplici. Uno dei grandi vini d’Italia, da scoprire e apprezzare.
Nonostante la struttura importante è un vino versatile: ama carni bianche e rosse, arrosti e grigliate, zuppe, salumi e formaggi stagionati.
Suggerimento: Aglianico del Vulture Superiore DOCG “Il Sigillo” – Cantine del Notaio
Abruzzo
15. Montepulciano d’Abruzzo DOC (e Colline Teramane DOCG)
Territorio: Province di Pescara, Teramo e Chieti (solo Teramo per le Colline Teramane)
Vitigni: Montepulciano (min. 85%) + altri autorizzati (0-15%)
Affinamento in legno: Possibile, obbligatorio per la versione Colline Teramane
Colore: Rosso rubino con intensi riflessi violacei, più profondo il Colline Teramane
Sentori tipici: Fiori di violetta e rosa, frutta rossa, prugna, mora, sottobosco, legno, spezie
Ancora due denominazioni per l’Abruzzo, che ci permettono di inserire un’unica grande famiglia, anche se più che due espressioni dello stesso vino, sono due prodotti diversi con la medesima base. Se siete nati prima dei ’90, ricorderete come il Montepulciano sia stato il vino re delle tavole quotidiane di tutta Italia – e in gran parte del mondo – grazie alla sua morbidezza, grande capacità produttiva, semplicità di beva. Successo che lo rende degno di essere in questa lista anche nella sua versione più semplice.
Tuttavia, vorremmo concentrare l’attenzione verso la sua espressione adulta, elegante, matura. Come due quadri dipinti dallo stesso autore in gioventù e in maturità. Il Colline Teramane è un Montepulciano nato per sedurre, per abbinarsi a grandi piatti, per invecchiare con stile.
Formaggi, salumi, arrosti, primi piatti ricchi, se volete anche con gli arrosticini – che fa tanto POP.
Suggerimento: Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane DOCG – Abbazia di Propezzano
Campania
16. Taurasi DOCG
Territorio: Provincia di Avellino
Vitigni: Aglianico (min. 85%) + altri autorizzati (0-15%)
Affinamento in legno: Obbligatorio per minimo 12 mesi (di 36 complessivi)
Colore: Rosso rubino intenso con riflessi granata, tendente all’aranciato ed al mattone con l’invecchiamento
Sentori tipici: Viola, amarena e frutta rossa, prugna, spezie, tabacco, erbe aromatiche, legno
Saliamo in Campania – dove resteremo per un po’, regione di vini immensi di cui andar fieri – per incontrare direttamente il Re del Sud: il Taurasi, ed il suo aglianico. Qui l’uva imperatrice del meridione si veste del suo abito migliore, quello più tannico e robusto, quasi prepotente, che deve essere indirizzato verso la morbidezza dall’affinamento in legno.
Vino di grande struttura, tannicità, potenza ed eleganza, probabilmente meritevole di essere incluso in un potenziale podio a 3 dei vini italiani. Enorme capacità di affinamento nel tempo, cantine storiche e competenti, ricchezza di frutto ed alcol lo rendono un vino da grandi occasioni.
Da abbinare con pietanze elaborate, selvaggina, carni arrosto, formaggi stagionati, funghi.
Suggerimento: Taurasi DOCG “Vigna cinque querce” – Salvatore Molettieri
17. Vesuvio DOC
Territorio: Provincia di Napoli
Vitigni: Piedirosso (min. 50%), Sciascinoso (0-30%), Aglianico (0-20%)
Affinamento in legno: Possibile
Colore: Rosso rubino intenso
Sentori tipici: Frutti rossi, rosa canina, incenso, erbe aromatiche
Di vulcano in vulcano, non poteva mancare il Vesuvio tra le grandi zone di produzione di vino – e non solo, ovviamente. Il Vesuvio DOC e la sua versione più nota, il Lacryma Christi sono iper-meritevoli di essere in questa classifica, per storia, cultura e qualità.
Vitigni autoctoni antichissimi, spesso con piede franco (sempre grazie ai terreni vulcanici), dai nomi affascinanti e dai sentori inconfondibili. Il Lacryma Christi deve il suo nome alla coltivazione da parte dei monasteri alle pendici del vulcano, ma la versione “laica” non ha nulla da invidiare a quella “benedetta”!
Splendidi frutti rossi, speziatura, mineralità e freschezza, permettono a questo vino grandi capacità di abbinamento: carni bianche e rosse, aperitivi finger food, persino la pizza…e tenetevi forte: la cucina di mare, dalle zuppe ai frutti di mare ai pesci arrostiti!
Suggerimento: Lacryma Christi del Vesuvio DOC rosso – De Falco
18. Campi Flegrei DOC
Territorio: Provincia di Napoli
Vitigni: Piedirosso (min. 50%), aglianico (min. 30%), altri autorizzati (0-20%)
Affinamento in legno: Possibile
Colore: Rosso rubino intenso
Sentori tipici: Frutti rossi, ciliegia, rosa canina, prugna
Indovinate un po’? Altri grandi vini da un altro vulcano! E pure il più grande! I Campi Flegrei, ovvero ardenti, di cui la zona detta Solfatara è solo la parte attiva della caldera di uno dei supervulcani più grandi – e pericolosi – del mondo. Queste terre fertili accanto all’antica colonia greca di Neapolis sono state una delle più antiche zone vitivinicole d’Italia. Anche solo questo basterebbe per essere inseriti tra i migliori vini d’Italia. Ma se oltre ad essere una produzione antica sono anche deliziosi, come non includerli?
Profumi e sapori fruttati, asciutti, dalla bella acidità e struttura, vini rossi, allo stesso tempo di mare e di vulcano.
Splendidi abbinamenti con primi piatti, lasagne, salumi, formaggi, aperitivi, fritti, zuppe e piatti di mare con pomodoro.
Suggerimento: Campi Flegrei DOC Piedirosso – Agnanum
Lazio
19. Cesanese del Piglio DOCG
Territorio: Provincia di Frosinone
Vitigni: Cesanese comune/di Affile (min. 90%) + altri (0-10)
Affinamento in legno: Possibile
Colore: Rosso rubino con riflessi violacei
Sentori tipici: Frutti di bosco, ciliegia marasca, mammola, fiori rossi, fichi, spezie
Lasciamo la Campania Felix per salire verso la regione della Capitale. Qui, alle pendici dei Monti Ernici, appezzamenti coltivati da millenni sono ancora in grado di regalare sorprese nel calice, come nel caso del meraviglioso Cesanese del Piglio: un vino la cui riscoperta è ancora in corso, ma che è in grado di deliziare anche il più snob degli appassionati.
Morbidezza, freschezza, sentori floreali e di frutta rossa, squisita trama tannica lo rendono più che degno della nostra limitata classifica e del vostro apprezzamento. Un vino che punta ad un target “giovane” anche grazie ad etichette accattivanti e ad un ottimo rapporto qualità/prezzo… che non guasta mai.
Da abbinare a zuppe, primi piatti, salumi, aperitivi, carni rosse e bianche e ai piatti della cucina romana, dalla coda alla vaccinara all’abbacchio.
Suggerimento: Cesanese del Piglio DOCG – Casale della Ioria
20. Roma DOC
Territorio: Provincia di Roma
Vitigni: Montepulciano (min. 50%) + altri (0-50%)
Affinamento in legno: Possibile
Colore: Rosso rubino con riflessi violacei, tendenti al granato con l’affinamento
Sentori tipici: Frutti di bosco, fiori rossi, mammola, frutta rossa, spezie
La denominazione Roma DOC fa parte di quel nuovo trend di riconoscimenti che murano a legare una città ad una determinata produzione vitivinicola. Operazione più di marketing che storica (e spesso qualitativa), ma che non possiamo permetterci di ignorare quando parliamo della Città Eterna. Certo, anche allora i cives romani apprezzavano il Falernum, che proveniva dall’attuale provincia di Caserta e non dai dintorni dell’Urbe, ma pazienza: la Roma DOC è una realtà e merita di finire in questo elenco.
I suoi innumerevoli stili, costruiti intorno ad una base di Montepulciano, lo rendono facilmente riconoscibile per freschezza e facilità di beva. Un calice non si rifiuta mai, e probabilmente vi verrà voglia di bere il secondo, e il terzo.
Ottimo abbinamento per zuppe, anche di pesce, e a tutti i piatti della cucina romana, dal carciofo alla cacio e pepe.
Suggerimento: Roma rosso DOC – Castello di Torre in Pietra
21. Lazio IGT
Territorio: Tutto il Lazio
Vitigni: Autoctoni ed Internazionali autorizzati
Affinamento in legno: Possibile
Colore: A seconda delle uve e della vinificazione
Sentori tipici: A seconda delle uve e della vinificazione
Una denominazione che merita tutto il rispetto possibile, madre di grandissimi vini prodotti da cantine di prima fascia, per dimensione e/o prestigio (e per qualità del lavoro). Tra centinaia di – ahinoi – mediocri. Per questo è una di quelle denominazioni meritevoli di esser qui presenti grazie al lavoro di alcuni, per la fortuna di molti.
Nel Lazio IGT regnano vitigni di ogni tipo, anche insoliti rispetto a molta produzione nazionale, come fantastici syrah e altrettanto eccezionali Cabernet Franc, accanto a Cesanese, Sangiovese e Montepulciano. A voi la ricerca!
Suggerimento: Lazio IGT “Capolemole” – Marco Carpineti
Toscana
22. Chianti Classico DOCG
Territorio: Province di Siena e Firenze
Vitigni: Sangiovese (min. 80%) + altri (0-20%)
Affinamento in legno: Possibile, molto utilizzato. Obbligatorio per la Riserva.
Colore: Rosso rubino di media intensità, specie senza l’uso di vitigni internazionali.
Sentori tipici: Ciliegia, prugna, mora, sottobosco, spezie, minerali, erbe aromatiche
Entriamo in Toscana direttamente dal suo cuore. Resteremo a lungo in questa magica regione, una delle terre più famose al mondo, anche per i grandi vini che vi si producono. Incontriamo subito un vino di tale importanza che l’intero pianeta lo conosce, lo ha assaggiato o lo ha almeno sentito nominare: Il Chianti Classico, il vino del Gallo Nero, la prima proto-denominazione d’Italia, nata nel 1716 per volere di Cosimo III de’ Medici, granduca di Firenze, che ne fissò il territorio per proteggerne la produzione, e che da allora poco si è espanso. La leggenda dei due cavalieri e dei due galli ve la racconteranno in tutte le salse, quindi noi evitiamo.
Un vino fresco, di media struttura e complessità, piacevolmente tannico, in grado di abbinarsi splendidamente ad un’ampia gamma di piatti e di cucine, cosa che ne ha aiutato il successo, oltre ad un certo ammorbidimento recente verso i vitigni internazionali. Raggiunge livelli estatici con le Riserve e la Selezione, la nuova categoria costituita dal Consorzio di produzione.
Abbinamenti tipici sono la cucina tradizionale toscana: zuppe, carni, salumi, formaggi. Si presta anche a sperimentazioni con il pesce.
Suggerimento: Chianti Classico DOCG “Ama” – Castello di Ama
23. Brunello di Montalcino DOCG
Territorio: Provincia di Siena (solo il comune di Montalcino)
Vitigni: Sangiovese Grosso 100%
Affinamento in legno: Obbligatorio per un minimo di 24 mesi (di 60 mesi complessivi!)
Colore: Rosso rubino mediamente intenso con riflessi granato, tendente al granato e al mattone
Sentori tipici: Viola, rosa, ciliegia, mora, prugna, tabacco, legno, spezie, erbe aromatiche
Se esistessero le olimpiadi dei vini mondiali, il Brunello di Montalcino sarebbe uno dei favoriti per l’oro nella sua categoria. Vino di grande valenza storica, la cui rivoluzione qualitativa e il grande successo internazionale risalgono tuttavia ai primi anni ’80 e all’attenzione di alcune famiglie nobili e meno nobili, enologi visionari e critici innamorati. Oggi, il piccolo e delizioso comune di Montalcino è, a ragione, uno degli Imperi enologici mondiali.
Vino di grande struttura, cui la tannicità e ruvidezza giovanile del sangiovese grosso impongono una maturazione di anni, la più lunga tra quelle obbligatorie, prima della messa in commercio. Non solo si presta all’affinamento in bottiglia, ma la esige, dando il suo meglio a decenni dalla vendemmia che gli ha dato vita. Da non disdegnare anche il fratellino minore, il Rosso di Montalcino.
Abbinamento con formaggi stagionati, carni arrosto, selvaggina, funghi, formaggi stagionati, meditazioni profonde, proposte di matrimonio.
Suggerimento: Brunello di Montalcino DOCG – Villa i Cipressi
24. Carmignano DOCG
Territorio: Provincia di Prato (solo i comuni di Carmignano e Poggio a Caiano)
Vitigni: Sangiovese (min. 50%) + Canaiolo nero (0-20%) + Cabernet Franc/Sauvignon (10-20%) + Trebbiano/Canaiolo bianco/Malvasia del Chianti (0-10%) + altri (0-10%)
Affinamento in legno: Obbligatorio per un minimo di 8 mesi (di 18 mesi complessivi)
Colore: Rosso rubino intenso e profondo, tendente al granato nel tempo
Sentori tipici: Frutta rossa, cassis, frutti di bosco, confettura, rabarbaro, fiori rossi, spezie, cioccolato, tabacco
Un altro nobilissimo toscano, figlio di secoli di tradizione e riconosciuto già nell’editto granducale di Cosimo III de’ Medici nel 1716. Cantato dal Redi nel suo Bacco in Toscana, e prima ancora vino di fama all’inizio del rinascimento, il Carmignano è noto tra i più anche per essere stato tra i primi territori ad inglobare l’uva “francesca”, ossia il Cabernet, importazione desiderata da Caterina de’ Medici, la fiorentina regina di Francia.
Il ricchissimo disciplinare, uno dei pochi ad includere ancora uve bianche per la produzione di vini rossi (pratica molto diffusa in passato per “fissare” struttura e colore), rende ancor più intrigante questo vino profondo, intenso, di grande personalità e di enorme potenziale di invecchiamento. Anche qui da non disdegnare il fratello minore, il Barco Reale di Carmignano.
Vino versatilissimo, gli abbinamenti consigliati vanno dai primi piatti ricchi alla cacciagione, dai formaggi stagionati alle zuppe, dalla polenta alla piccola pasticceria secca con frutta rossa.
Suggerimento: Carmignano DOCG “Santa Cristina in Pilli” – Fattoria Ambra
25. Vino Nobile di Montepulciano DOCG
Territorio: Provincia di Siena (solo il comune di Montepulciano)
Vitigni: Sangiovese (biotipo “Prugnolo Gentile” min. 70%) + altri (0-30%, di cui massimo 5% di uve bianche)
Affinamento in legno: Obbligatorio per un minimo di 12 mesi (di 36 mesi complessivi)
Colore: Rosso rubino da tenue a intenso, tendente al granato nel tempo
Sentori tipici: Frutta rossa, prugna, frutti di bosco, fiori viola, confettura, spezie, cioccolato, tabacco
Proseguiamo con la stirpe dei nobili, e quale più nobile del Vino Nobile? Troppo spesso confuso con un vino realizzato da uva Montepulciano, questo meraviglioso rosso della famiglia dei vini a base sangiovese (qui chiamato Prugnolo Gentile, solo recentemente accertato come biotipo del gran Sangioveto) ha una storia plurimillenaria, le cui prime citazioni risalgono ai tempi in cui Carlo Magno fondava il suo Sacro Romano Impero.
Vino definito nobile per eccellenza. Citato anche nel romanzo del Conte di Montecristo, ha una stupenda trama tannica, una bilanciata spalla alcolica e sentori di frutta rossa e legno, ingentiliti dall’affinamento che obbligatoriamente precede la messa in commercio, come per molti altri fratelli figli del Sangiovese.
Grande potenziale di invecchiamento, si sposa con salumi e formaggi, primi piatti ricchi (pici al cinghiale in primis), carni arrosto e alla brace, selvaggina.
Suggerimento: Vino Nobile di Montepulciano DOCG “Asinone” – Poliziano
26. Morellino di Scansano DOCG
Territorio: Provincia di Grosseto
Vitigni: Sangiovese (min. 85%) + altri (0-15%)
Affinamento in legno: Possibile, obbligatorio per la menzione Riserva
Colore: Rosso rubino abbastanza intenso, tendente al granato nel tempo
Sentori tipici: Frutta rossa, prugna, frutti di bosco, fiori viola, tabacco
Ingiustamente definito uno dei figli minori del Sangiovese, per lungo tempo utilizzato principalmente per produzione massiva di vini da pasto – per via di una presunta tradizione contadina, il Morellino di Scansano sta finalmente trovando una sua collocazione all’interno della famiglia dei grandi rossi toscani.
Vino robusto, arrotondato in varie percentuali da vitigni internazionali più morbidi e che hanno trovato ampio spazio nella più “libera” Maremma (come l’Alicante Bouschet o il Petit Verdot), ha un delizioso tannino ben presente, una struttura calda, una maggiore acidità ed un carattere più verace rispetto ai fratelli maggiori. Il territorio grossetano, piuttosto variabile, offre diverse sfumature al risultato finale.
Splendido abbinamento con primi piatti, cacciagione, salumi, arrosti e grigliate.
Suggerimento: Morellino di Scansano DOCG – Podere 414
27. Bolgheri DOC
Territorio: Provincia di Livorno (solo il comune di Bolgheri)
Vitigni: Monovitigno o Blend di: Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot (0-100%), Sangiovese e Syrah (0-50%) + altri (0-30%)
Affinamento in legno: Possibile, molto utilizzato. Obbligatorio per la menzione Superiore
Colore: Rosso rubino intenso e profondo, tendente al granato nel tempo
Sentori tipici: A seconda delle uve, in genere vini molto morbidi e intensi
Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di Sassicaia, Guado al Tasso, Bruciato, Ornellaia… vini e cantine entrati nell’immaginario popolare italiano ed internazionale per il loro valore, qualitativo ed economico. Tutto questo è avvenuto grazie al conte Mario Incisa della Rocchetta, che negli anni ’60 intraprese un percorso – avviato secoli prima – di rinascita del vino nei terreni pianeggianti della sua tenuta di Bolgheri (San Guido). E lo fece utilizzando vitigni internazionali, da invecchiare in stile francese. Un esperimento “folle”, un vino nato come prodotto “da tavola”, che nel giro di un decennio divenne un successo che ancora oggi è uno dei vanti italiani.
Il Bolgheri è figlio della cultura toscana e dell’innovazione, dell’esperienza francese e del terroir mediterraneo, e grazie alla variabilità della sua produzione offre una gamma di sentori molto diversi, tutti egualmente apprezzabili da ogni palato. Il mito riguardo al loro valore economico lascia ampio spazio a prodotti più facilmente reperibili e di grande struttura.
Abbinamenti suggeriti: dalle zuppe di pesce ricche alla meditazione pura e semplice, passando per taglieri toscani di salumi e formaggi, arrosti e selvaggina. Grande uso nella cucina internazionale.
Suggerimento: Bolgheri DOC rosso – Michele Satta
28. Montecucco DOC (e Montecucco Sangiovese DOCG)
Territorio: Provincia di Grosseto
Vitigni: Sangiovese (min. 60%. Min. 85% per la DOCG) + altri (0-40%)
Affinamento in legno: Possibile, obbligatorio per la menzione Riserva
Colore: Rosso rubino mediamente intenso e profondo, tendente al granato nel tempo
Sentori tipici: Frutti rossi, fiori viola, liquirizia. Molto influenzato dall’alta percentuale ammessa di altri vitigni e dalla loro varietà
Il lettore capitato qui per curiosità più che per passione probabilmente non avrà mai sentito parlare di questo vino, ed eppure in una potenziale top 10 sarebbe oggi difficile escluderlo. Il Montecucco, il vino dell’ennesimo vulcano (spento) Monte Amiata, incastrato tra i territori del Brunello e del Morellino, raccoglie le migliori caratteristiche del proprio terroir divenendo una delle più eleganti espressioni dell’Italia centrale.
I suoi vini sono fortemente influenzati dall’alta percentuale di blend, fino al 40%, che modifica radicalmente i sentori, accompagnando la base strutturale del Sangiovese con minore o maggiore prepotenza. Questa caratteristica ne rende l’esplorazione particolarmente affascinante, soprattutto considerando che la qualità media di produzione è eccellente da parte di tutte le cantine produttrici. La denominazione raccoglie anche le tipologie bianco, rosato, vin santo… una vera famiglia.
Vino estremamente versatile, eccellente in tutte le occasioni – a seconda della vinificazione, aiutatevi con le schede tecniche fornite dalle cantine…e col palato! Dall’aperitivo all’arrosto di selvaggina fino alla meditazione serale con un calice in mano e qualche amico fidato. Plus: in genere, ottima qualità-prezzo.
Suggerimento: Montecucco Sangiovese DOCG Riserva “Lombrone” – Castello Collemassari
29. Maremma DOC
Territorio: Provincia di Grosseto
Vitigni: Nella versione “rosso” semplice, Sangiovese (min. 40%) + altri. Se indicato il vitigno, min. 85% dello stesso + altri.
Affinamento in legno: Possibile
Colore: A seconda delle uve e della vinificazione
Sentori tipici: A seconda delle uve e della vinificazione
Giovanissima DOC nata dall’evoluzione della precedente IGT, la Maremma (Toscana) DOC esprime le possibilità di un territorio nuovo alla viticoltura di qualità, e allo stesso tempo permette alle cantine già esistenti ed esperte nella produzione di altre varietà (es. Monteregio, Montecucco, Morellino) di raccogliere i propri esperimenti enologici migliori sotto un “cappello” dall’eccellente riscontro turistico. Qui trovate l’Alicante accanto al Sangiovese, il Petit Verdot insieme al Ciliegiolo.
Se ci leggete una scelta di marketing territoriale, non sbagliate. E pur tuttavia, i risultati sono straordinari e nel giro di pochi anni questa denominazione è diventata una nuova rappresentante d’eccellenza nel panorama italiano, già molto conosciuta ed apprezzata nel mondo. Se volete leggerci una nuova, più estesa e meno nobile Bolgheri, perché no?
Vini freschi, tendenzialmente molto fruttati e minerali, giovani, dalla qualità – come per tutte le denominazioni ampie – estremamente variegata. Adatti a qualsiasi scopo. I capofila, i grandi rossi di alcune importanti cantine, ovviamente si prestano a lunghi invecchiamenti, collezioni, abbinamenti importanti.
Suggerimento: Maremma Toscana DOC “Rocca di Montemassi” – Rocca di Montemassi
30. Toscana IGT
Territorio: Tutta la Toscana
Vitigni: Autoctoni ed Internazionali autorizzati
Affinamento in legno: Possibile
Colore: A seconda delle uve e della vinificazione
Sentori tipici: A seconda delle uve e della vinificazione
Una denominazione talmente estesa, dalla qualità talmente diversa da produzione a produzione, che al suo interno è nata una delle categorie “virtuali” più famose del mondo: il Supertuscan. Termine nato per indicare tutti quei vini che non rispondevano ai canoni delle denominazioni di riferimento (per vitigni usati, tecniche di vinificazione, semplice scelta del produttore), ma la cui qualità risultava strepitosamente elevata. Supertuscan e denominazioni regine hanno poi guidato la crescita internazionale della regione, oggi una delle più famose al mondo, e per questo la Toscana IGT non può mancare nella nostra classifica.
Anche se, come dicevamo, raccoglie un’enorme varietà di produzioni, uve, stili diversi… e anche di qualità. Sono Toscana IGT produzioni industriali che fanno storcere il naso a chi cerca qualcosa che non sia del succo di ciliegia vagamente alcolico, e alcune tra le bottiglie più costose del pianeta. Solo l’esperienza può aiutare a districarvisi…quindi, assaggiate!
Suggerimento: Toscana Rosso IGT “Sassoalloro” – Jacopo Biondi Santi
Umbria
31. Montefalco Sagrantino DOCG
Territorio: Provincia di Perugia (Solo Comune di Montefalco e parte dei limitrofi)
Vitigni: Sagrantino 100%
Affinamento in legno: Obbligatorio per almeno 12 mesi (dei 3 anni totali necessari)
Colore: Rosso rubino intenso, tendente al granato e al mattone con l’invecchiamento
Sentori tipici: Amarena, prugna, frutti di bosco, spezie, tabacco, vaniglia. Tannini molto presenti
Il ruvido re dell’Umbria. Poche altre definizioni potrebbero rispondere al Sagrantino di Montefalco, un vino che più di ogni altro esprime un’identità inconfondibile e un terroir specifico. Se le sue tracce storiche affondano nel Rinascimento, e la tipologia passito da dessert era già famosa a fine ‘800, è solo recentemente passato da robusto vino locale a grandissima espressione dell’enologia italiana.
Duro, estremamente tannico, è probabilmente il più longevo vino d’Italia. Degustando una nuova annata appena disponibile alla vendita, pur dopo ben 37 mesi (minimo!) trascorsi in affinamento, la sensazione tagliente che se ne ricava arriva ad essere persino spiacevole ai palati più delicati. Tuttavia, questa tannicità e struttura, insieme al frutto ricco e al colore intenso, lo rende un grandissimo vino da invecchiamento, in grado di esprimere il suo meglio per decenni.
Come ogni vino di tale forza, richiede piatti di altrettanta struttura e intensità: carni rosse, arrosti di cacciagione, brasati, zuppe ricche.
Suggerimento: Sagrantino di Montefalco DOCG “Pagliaro” – Paolo Bea
32. Torgiano DOC (e Torgiano Rosso Riserva DOCG)
Territorio: Provincia di Perugia (Solo Comune di Torgiano)
Vitigni: Sangiovese (min. 50%) + altri. Se indicato il vitigno, min. 85% + altri. Per il Rosso Riserva, Sangiovese (min 70%)
Affinamento in legno: Possibile. Obbligatorio per la Riserva
Colore: A seconda delle uve e della vinificazione
Sentori tipici: A seconda delle uve e della vinificazione
Ancora una denominazione “matrioska”, con una DOCG che cade all’interno di un territorio dove già regna una famiglia DOC che va dal bianco al passito. Torgiano è un piccolo comune umbro dalla grandissima tradizione vitivinicola, che gli ha permesso di divenire una delle imperdibili denominazioni dell’Italia centrale.
Torgiano è anche uno degli sparuti casi in cui il territorio è praticamente un feudo dominato da pochissime cantine (per non dire UNA) la cui perizia guida la qualità di tutti i vini qui prodotti. La varietà delle uve consente di ottenere vini di ampia varietà, morbidi, rotondi, di buona struttura e longevità. La versione Rosso Riserva DOCG è un grande vino da invecchiamento, più simile – data la ricchezza in Sangiovese – ai vicini toscani.
L’abbinamento suggerito è molto influenzato da vitigni e vinificazione. Denominazione versatile, da accompagnare comunque a zuppe, primi piatti, formaggi e salumi, fino a grigliate, arrosti e brasati.
Suggerimento: Torgiano DOC “Rubesco” – Lungarotti
Marche
33. Rosso Conero DOC (e Conero DOCG)
Territorio: Provincia di Ancona
Vitigni: Montepulciano (min. 85%) + altri (0-15%), di cui solo Sangiovese nel Conero DOCG
Affinamento in legno: Possibile
Colore: Rosso rubino intenso con riflessi violacei
Sentori tipici: Ciliegia, prugna, frutti di bosco, violetta, liquirizia
Entriamo nelle Marche e incontriamo di nuovo una denominazione “matrioska”. Il bellissimo monte Conero, che abbraccia il mar Adriatico a due passi da Ancona per tuffarsi direttamente nelle sue acque, è una meta turistica in forte crescita e un territorio di tradizione enologica millenaria.
Qui domina il Montepulciano, e la qualità media elevata della produzione regala vini freschi e minerali, facilmente riconoscibili, dallo splendido frutto speziato. Ben meritevole di essere elencato tra i migliori rossi d’Italia. Tra la DOC e la DOCG la differenza gustativa è davvero minima, e la qualità prezzo è eccellente.
Vino fruttato, robusto senza eccessi, si abbina ad aperitivi semplici come stuzzichini salati, per poi salire verso salumi, formaggi, zuppe, primi piatti, fino a grigliate, zuppe di funghi, carni arrosto.
Suggerimento: Rosso Conero DOC “Il cacciatore di sogni” – La Calcinara
34. Lacrima di Morro d’Alba DOC
Territorio: Provincia di Ancona
Vitigni: Lacrima (min. 85%) + altri (0-15%)
Affinamento in legno: Possibile
Colore: Rosso rubino intenso con riflessi violacei
Sentori tipici: Lampone, ribes, frutti di bosco, viola, muschio, spezie
La Lacrima, nome derivante dalla facilità del chicco alla rottura della buccia in maturazione – cosa che provoca appunto la fuoriuscita di lacrime di succo. Ovviamente, anche se nome romantico, non è una cosa che i produttori desiderano: i grappoli sani arrivano interi alla vendemmia e alla lavorazione! Vitigno molto diffuso sin dal medioevo fino ai tempi recenti, sopravvive oggi – lo fa molto bene – solo nei comuni che circondano il paese di Morro. Regalandoci un vino di eleganza e struttura supreme.
I sentori pienamente fruttati, la consistenza morbida in bocca, la sottile speziatura, il tenore alcolico ricco, la carenza in tannini e l’acidità equilibrata lo rendono un vino più amichevole da approcciare anche a palati meno avvezzi alla degustazione di sentori netti. D’altro lato è un vino dal facile invecchiamento, e per la maggior parte della produzione è meglio non lasciarlo troppo a lungo in cantina.
Si beve splendidamente da solo, come calice da aperitivo, ma anche con stuzzichini, salumi, primi piatti, carni grigliate. E’ anche uno dei pochi vini che si accompagna splendidamente alle caldarroste!
Suggerimento: Lacrima di Morro d’Alba DOC “Fiore” – Lucchetti
35. Marche IGT
Territorio: Tutte le Marche
Vitigni: Autoctoni ed Internazionali autorizzati
Affinamento in legno: Possibile
Colore: A seconda delle uve e della vinificazione
Sentori tipici: A seconda delle uve e della vinificazione
Non tutte le denominazioni IGT meritano una posizione in questa classifica, e nemmeno le IGT di tutte le regioni. Ovviamente esiste almeno un vino, una cantina, una vigna meritevole di essere nominata in un compendio generale, ma è un lavoro che lasciamo ai sognatori, questa raccolta è già abbastanza faticosa!
Tuttavia, le Marche hanno una marcia in più. Sarà per il clima adriatico, caldo in estate e gelido in inverno, i terreni ricchi di argille e scheletro, la millenaria esperienza… ma la terra di Leopardi ha molto da offrire in termini enologici, anche nella sua denominazione più ampia e permissiva. Come per tutte le IGT, la qualità è verticale, dall’imbevibile al mozzafiato. Esplorate, esplorate… e buona fortuna!
Suggerimento: Marche IGT “Vigor” – Umani Ronchi
Emilia Romagna
36. Lambrusco DOC (tutte le tipologie)
Territorio: Province di Modena, Reggio Emilia, Parma + Mantova (Lombardia)
Vitigni: Lambrusco
Affinamento in legno: Possibile, ma molto raro
Colore: Rosso rubino tenue, spuma violacea ed evanescente
Sentori tipici: Vinoso, aromatico, frutta rossa fresca, fiori rossi macerati
Il Lambrusco è un vitigno millenario, citato da Virgilio nelle bucoliche. È un vino intercategoria – la sua produzione è al 99% frizzante o spumantizzata, quindi ne parleremo meglio in questa. 6 DOC diverse, tutte meritevoli di una citazione, perché in questo caso è il vitigno e la sua tradizione a fare la differenza.
Oggi ha perso la considerazione che i nonni e gli statunitensi ricordano, ma paradossalmente la qualità media è andata progressivamente aumentando, e sarebbe meritevole di una riscoperta che ruoti intorno alla sua piacevolezza e semplicità.
Vino da Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma, allegro come la sua spuma. Non ama prendersi troppo sul serio, ma non disdegna le sfide più interessanti, dal pesce all’arrosto, fino alle caldarroste e alla pasticceria secca.
Suggerimento: Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOC “Otello” – Cantine Ceci
37. Romagna Sangiovese DOC
Territorio: Province di Bologna, Forlì Cesena, Ravenna, Rimini
Vitigni: Sangiovese (min. 85%) + altri (0-15%)
Affinamento in legno: Possibile
Colore: Rosso rubino da tenue a intenso con riflessi violacei, tendente al granato con invecchiamento
Sentori tipici: Vinoso, frutta rossa fresca, prugna, viola, fiori rossi, spezie
Il Sangiovese domina con facilità tutta la zona geografica che va dall’Emilia alla Campania, ovunque con risultati più o meno eccellenti. Ma mai come in Romagna la sua forza e vigore danno vita a vini facilmente identificabili, più ricchi in frutta e dalla struttura meno ruvida, che negli ultimi anni hanno anche avuto il balzo qualitativo necessario a farli entrare nella nostra piccola classifica.
Vino piacevole, amichevole, ricco di sentori fruttati e dal tenore alcolico (generalmente) contenuto, figlio dei colli appenninici che digradano verso il mare, e delle pianure ai loro piedi.
Si abbina alla cucina del territorio: salumi, formaggi, grigliate e primi piatti ricchi.
Suggerimento: Romagna Sangiovese Superiore DOC “Centurione” – Ferrucci
Veneto
38. Valpolicella DOC
Territorio: Provincia di Verona
Vitigni: Corvina (45-95%), Corvinone (max. 50%), Rondinella (5-30%) + altri (0-15% di cui massimo 10% per singolo vitigno)
Affinamento in legno: Possibile, raro nella versione semplice, più comune nella superiore
Colore: Rosso rubino intenso, tendente al granato in invecchiamento
Sentori tipici: Vinosità, ciliegia, mandorla, sottobosco, note vegetali, spezie
Saliamo verso il Veneto, e ci concentriamo su quella che già i latini chiamarono Valle dalle Molte Cantine: la Valpolicella, da cui scendevano verso Roma fiumi di vino Retico. Tanto per dire. Qui, tra le vallate che dalla pianura salgono verso la Lessinia e da lì alle dolomiti e alle Alpi, troviamo tre distinte produzioni nello stesso territorio – tanto più elegante nella zona “Classico” – tre espressioni dello stesso vino che meritano un focus dedicato ciascuna.
Il Valpolicella DOC, notoriamente amato da Ernest Hemingway, è il portone d’ingresso. Tre vitigni autoctoni formano un blend fresco, ricco di sentori fruttati e note vegetali, leggermente speziato, mai troppo alcolico, dal piacevole tannino. Il numero di cantine più o meno famose in grado di regalare prodotti eccellenti per qualità e prezzo è stupefacente.
Vino versatile a tutto pasto, dall’aperitivo ai primi piatti, dalle zuppe alle carni bianche alle rosse, grigliate e in umido. Si apprezza anche fresco, e può sfidare persino ricette di lago e di mare.
Suggerimento: Valpolicella DOC classico “Bonacosta” – Masi
39. Valpolicella DOC Ripasso
Territorio: Provincia di Verona
Vitigni: Corvina (45-95%), Corvinone (max. 50%), Rondinella (5-30%) + altri (0-15% di cui massimo 10% per singolo vitigno)
Affinamento in legno: Obbligatorio, senza limiti di tempo (Affinamento minimo totale 2 anni)
Colore: Rosso rubino intenso
Sentori tipici: Ciliegia, mandorla, sottobosco, note vegetali, spezie, cioccolato
Con il Valpolicella Ripasso incontriamo non solo un vino, ma una pratica di vinificazione antica, tra le più apprezzate del nostro Paese – che ci fa un po’ pensare sul motivo per cui il 90% della produzione non si svolga così, e la risposta è… economica? Il Ripasso veneto, così come il Governo toscano o tecniche simili tradizionali pugliesi, consiste infatti nel far rifermentare, “ripassare” appunto, il vino rosso base sulle vinacce passite. Nel caso del Ripasso, il valpolicella “ripassa” sulle vinacce usate per l’Amarone od il Recioto. Il vino estrae nuovi zuccheri, tannini e altre molecole, e va incontro ad una nuova breve fermentazione, che ne aumenta grado alcolico, dolcezza, morbidezza e aromaticità. Diventando uno dei prodotti più amati nel mondo.
Vino rotondo, ricco, profumato e allo stesso tempo di grande struttura, perfetto abbinamento con zuppe, primi piatti, arrosti, carni rosse e bianche, cucina internazionale e cacciagione.
Suggerimento: Valpolicella DOC ripasso classico superiore – Le Bignele
40. Amarone della Valpolicella DOCG
Territorio: Provincia di Verona
Vitigni: Corvina (45-95%), Corvinone (max. 50%), Rondinella (5-30%) + altri (0-15% di cui massimo 10% per singolo vitigno)
Affinamento in legno: Obbligatorio per almeno 2 anni
Colore: Rosso rubino intenso, tendente al granato e al mattone con l’invecchiamento
Sentori tipici: Ciliegia, ribes, note vegetali, fiori rossi, frutta secca, confettura, spezie, vaniglia, cioccolato
Il Re Rosso del Veneto, uno dei grandi imperatori d’Italia, in lizza per il dominio di questa classifica. Oggi tra i vini più desiderati dal mercato estero, ed eppure una produzione recente. L’amarone nasce infatti nel ‘900 e si diffonde solo nel secondo dopoguerra, grazie a nuove pratiche enologiche che portarono ad ottenere un vino secco e alcolico a partire dai grappoli usati per il Recioto – il vino passito tipico del territorio. Il successo commerciale, però, fu ed è straordinario.
L’Amarone si ottiene dalla vinificazione dei vitigni storici – gli stessi di Valpolicella e Ripasso – di cui una parte viene posta ad appassire – massimo il 40% – in appositi locali chiamati fruttai, ben ventilati per evitare la formazione di muffe. Dal 1° dicembre dopo la raccolta si può infine premere l’uva e ottenere un vino dall’elevato tasso alcolico e alto residuo zuccherino, morbido e dal tannino robusto, dal grande potenziale di invecchiamento.
Abbinamento splendido con primi piatti grassi, ragù di anatra, carni arrosto, brasati, risotti ricchi. Si sposa anche con piccola pasticceria e, ovviamente come grande vino da meditazione.
Suggerimento: Amarone Classico della Valpolicella DOCG – Zymè
Friuli-Venezia Giulia
41. Colli Orientali del Friuli DOC
Territorio: Provincia di Udine
Vitigni: Selezione di 10 vitigni autoctoni ed internazionali (min. 85% del singolo vitigno + 0-15% degli altri). I più noti sono il Cabernet, il Merlot, lo Schioppettino ed il Refosco
Affinamento in legno: Possibile
Colore: A seconda delle uve e della vinificazione
Sentori tipici: A seconda delle uve e della vinificazione
Friuli, terra di grandissimi vini bianchi, ma anche di ottimi rossi. Al confine con la Slovenia (che prosegue in modo splendido e autonomo la viticoltura dall’altro lato della riga, a dimostrazione che alla realtà e alla natura non importa molto della politica) i Colli Orientali regalano una serie di produzioni fenomenali, con vitigni autoctoni e non di grande potenzialità.
Accanto al Merlot e ai Cabernet – Sauvignon e Franc – troviamo infatti lo Schioppettino, il Refosco, il Pignolo… ognuno con un’identità marcata e definita, che in purezza o abbracciato agli altri regala vini facilmente identificabili, tannici, fruttati, dalle straordinarie note vegetali e minerali.
I sentori principali variano molto a seconda delle uve e dei loro blend, ma abbinamenti ideali sono i formaggi a media stagionatura e le carni rosse e bianche, zuppe e arrosti.
Suggerimento: Colli Orientali del Friuli DOC Schioppettino di Prepotto – Vigna Petrussa
42. Friuli Grave DOC
Territorio: Province di Udine e Pordenone
Vitigni: Selezione di vitigni autoctoni ed internazionali (min. 95% del singolo vitigno + 0-5% degli altri). I più utilizzati sono il Cabernet, il Merlot ed il Refosco
Affinamento in legno: Possibile
Colore: A seconda delle uve e della vinificazione
Sentori tipici: A seconda delle uve e della vinificazione
Immaginate fiumi potenti che scendono dalle montagne, per milioni di anni, strappando pietre e sedimenti e depositandoli alle loro pendici, fino a formare un’ampia pianura solcata dal loro corso, disseminata di sassi di ogni dimensione. Ecco le grave, ossia i sassi, del Friuli. Esposte a sud, protette dalle Alpi, riscaldate dalle pietre che assorbono calore di giorno e lo restituiscono di notte… ecco il motivo per cui questi vini meritano una posizione nella nostra classifica!
I vini delle grave sono vini profumati e minerali come le pietre da cui emergono, ricchi di sentori fruttati, ma anche di freschezze e di un tenore alcolico non eccessivo, ideale per una gran varietà di abbinamenti. Il più emergente è oggi il Refosco dal peduncolo rosso, il vitigno autoctono più famoso, dal nome… particolare e dal gusto intenso e balsamico.
Abbinamenti eccellenti con zuppe, primi piatti, formaggi e carni arrosto.
Suggerimento: Friuli Grave DOC Refosco dal peduncolo rosso – I Magredi
Trentino Alto-Adige
43. Teroldego Rotaliano DOC
Territorio: Provincia di Trento (3 soli comuni)
Vitigni: Teroldego 100%
Affinamento in legno: Possibile, abbastanza utilizzato
Colore: Rosso rubino intenso con riflessi porpora e violacei
Sentori tipici: Ciliegia, mirtillo, frutta rossa, spezie, mandorla, erbe aromatiche, rabarbaro
La pianura Rotaliana, magica valle a nord di Trento scavata da fiumi e ghiacci, circondata da giganti di roccia che si incuneano in ogni direzione… significa “piana dei dazi”. Gente pratica, i germanici. Qui dominano meleti e vigneti, e tra i vigneti il Teroldego la fa da padrone (per le uve rosse) da secoli, almeno da quando se lo gustarono i membri del clero impegnati nel Concilio di Trento!
Il Principe del Trentino è un vino di struttura mai eccessiva, poco tannico, fresco, profumato, ricco di frutta fresca e fiori appena macerati, sottolineati da una speziatura sottile e una bella mineralità.
Perfetto aperitivo, abbinamento ideale per cacciagione dalla carne dolce come quella del cervo, o per canederli, arrosti, zuppe, polenta.
Suggerimento: Teroldego Rotaliano DOC – Endrizzi
44. Alto Adige DOC
Territorio: Provincia di Bolzano
Vitigni: Molti, disciplinare complesso. Se presente indicazione del vitigno, min. 85% dello stesso. I più noti: pinot nero, cabernet, lagrein, schiava, marzemino
Affinamento in legno: Possibile, abbastanza utilizzato
Colore: A seconda delle uve e della vinificazione
Sentori tipici: A seconda delle uve e della vinificazione. Generalmente poco alcolici
L’Alto Adige offre paesaggi meravigliosi, natura (quasi) incontaminata, cartelli bilingue e una serie di vini eccellenti. In questa terra di confine, cucina, cultura e viticoltura mediterranee si mescolano con quelle austriache e germaniche, creando un punto di vista unico.
I vini di questo territorio strappato alle montagne – e diviso in numerose sottozone – sono freschi, poco alcolici, dalla struttura estremamente elegante e minerale, dai profumi floreali delicati. Alcuni grandi vitigni come il Pinot Nero e il Cabernet si accompagnano all’autoctono Lagrein e alla schiava. I risultati sono estremamente variabili, ma tutti di eccellenza.
Gli abbinamenti migliori sono quelli della cucina regionale, dai canederli alla polenta, dalla cacciagione alle carni bianche, dai salumi ai formaggi di alpeggio.
Suggerimento: Alto Adige DOC Pinot Nero – Franz Haas
45. Vigneti delle dolomiti IGT
Territorio: Tutto il Trentino + Provincia di Belluno
Vitigni: Autoctoni ed Internazionali autorizzati
Affinamento in legno: Possibile
Colore: A seconda delle uve e della vinificazione
Sentori tipici: A seconda delle uve e della vinificazione
Il Trentino offre altre denominazioni ricche di importanza, dal Trentino doc col suo Marzemino alle IGT dove regna il Pinot nero – e tra queste una delle più importanti e rappresentative è il Vigneti delle Dolomiti, che rende omaggio anche alla più famosa catena montuosa locale.
Sono proprio le Dolomiti con la loro origine marina a fornire un terroir unico, in cui nascono alcuni dei vini più importanti della regione – e alcune delle più prestigiose cantine. A differenza di altre IGT di grandi dimensioni, per regioni impervie come queste, dove la coltivazione di successo è relegata a pochi lembi di valle dal giusto orientamento, la qualità media è piuttosto elevata e ci si può avvicinare a qualsiasi etichetta con maggior fiducia. Inoltre, per via della cultura ecologista locale, la maggior parte delle cantine sono bio.
Gli abbinamenti suggeriti sono ancora quelli del territorio: salumi e formaggi, cacciagione di bosco, primi piatti e zuppe ricche.
Suggerimento: Vigneti delle Dolomiti IGT Pinot Nero – Hofstätter
Lombardia
46. Valtellina DOC (e Valtellina Superiore DOCG)
Territorio: Provincia di Sondrio
Vitigni: Chiavennasca (biotipo di Nebbiolo, min. 90%) + altri (0-10%)
Affinamento in legno: Possibile, Obbligatorio per la DOCG (min. 12 mesi su 24 di affinamento minimo)
Colore: Rosso rubino tenue, con riflessi granato
Sentori tipici: Grafite, pietra focaia, rosa, viola, ciliegia, liquirizia, spezie, legno
Ci spostiamo di poco dal Trentino per entrare nella parte più alta della Lombardia, in tutti i sensi. Qui, sulla sponda destra dell’Adda, nella Valtellina dei Camuni, si coltiva in modo magistrale il Nebbiolo – qui chiamato Chiavennasca – adattatosi ai climi rigidi della montagna e ai terreni ripidi e minerali. 2500 km di muretti per i terrazzamenti. 2500 km.
Il risultato è un vino dai colori tenui e la gradazione alcolica contenuta, ma dalla splendida espressione di eleganza e raffinatezza. Sia nella versione più semplice che nella superiore, col suo lungo affinamento in legno, questo vino è in grado di conquistare ogni palato. Non è un caso che il Nebbiolo sia considerato tra i re d’Italia (lo incontreremo in Piemonte, dove domina incontrastato), e nella sua residenza invernale non perde un briciolo di potere.
Grande abbinamento naturale con i pizzoccheri valtellinesi, la polenta con sugo di funghi, i brasati, la cacciagione in umido.
Suggerimento: Valtellina Superiore DOCG “Essenza” – Tenuta Scerscè
47. Sforzato/Sfursat di Valtellina DOCG
Territorio: Provincia di Sondrio
Vitigni: Chiavennasca (biotipo di Nebbiolo) 100%
Affinamento in legno: Obbligatorio (min. 12 mesi su 20 di affinamento minimo)
Colore: Rosso rubino scarico, con riflessi granato
Sentori tipici: Grafite, pietra focaia, confettura, rosa macerata, caffè, liquirizia, spezie, legno
La Valtellina è un altro territorio dove si concentra una qualità altissima in uno spazio limitato, e per questo lo Sforzato, la più alta espressione delle rive dell’Adda, merita una sua propria posizione nella nostra classifica dei migliori rossi. In questo caso, il primo rosso secco ottenuto da uve passite ad ottenere la DOCG.
Vino di grande struttura, morbidezza e tono alcolico. Ottenuto dalla pigiatura di uve lasciate ad appassire in fruttai ventilati almeno fino ad inizio dicembre, e spesso ben oltre questa data. La concentrazione zuccherina sale fino a creare un vino profondo, dalle note balsamiche.
Vino da grandi abbinamenti e cene importanti, per arrosti, selvaggina, formaggi stagionati erborinati. Splendido da meditazione, magari accompagnato da cioccolato amaro.
Suggerimento: Sforzato di Valtellina DOCG “Sfursat Cinque Stelle” – Nino Negri
48. Oltrepò Pavese DOC
Territorio: Provincia di Pavia
Vitigni: vari. Per la tipologia Rosso: Barbera (25-65%), Croatina (25-65%), Uva Rara+Vespolina (max. 45%) + altri (0-15%). Per le tipologie che indicano il vitigno, es. Pinot Nero: (min 85%) + altri (0-15%)
Affinamento in legno: Possibile
Colore: A seconda delle uve e della vinificazione
Sentori tipici: A seconda delle uve e della vinificazione
L’Oltrepò Pavese non poteva mancare: è una delle zone d’Italia maggiormente vocate per la viticoltura. Le splendide colline e i loro terreni ricchi di marne, arenarie e resti marini, costituiscono un terroir perfetto per la vite. La tradizione millenaria ha portato negli anni il territorio a diventare una delle zone regine d’Italia, anche se negli ultimi tempi ha avuto un doloroso contraccolpo commerciale dovuto alla malaccortezza (e talvolta alla malafede) di alcuni produttori.
I vini dell’Oltrepò sono eleganti, nobili, e anche vitigni tendenzialmente robusti come la Barbera e la Bonarda riescono a dare grande struttura. Tra queste colline si son ben ambientati anche vitigni internazionali come il Pinot Nero, qui considerato una delle migliori espressioni italiane.
Gli abbinamenti migliori sono con la cucina del territorio, dalle zuppe ai risotti, dai primi piatti ai salumi, fino alle carni bovine.
Suggerimento: Oltrepò Pavese DOC Pinot Nero “Giorgio Odero” – Tenuta Frecciarossa
49. Buttafuoco dell’Oltrepo Pavese DOC
Territorio: Provincia di Pavia
Vitigni: Barbera (25-65%), Croatina (25-65%), Uva Rara+Vespolina (max. 45%)
Affinamento in legno: Possibile, molto usato (specie nella sottozona non ufficiale “Storico”)
Colore: Rosso rubino profondo, riflessi granata e mattone in invecchiamento
Sentori tipici: Frutta rossa, ciliegia, mora, viola, confettura, spezie, pepe, legno
Se l’Oltrepò Pavese è uno dei terroir da riscoprire, Il Buttafuoco è il suo imperatore: uno dei vini più caratteristici di tutta la Lombardia. Il nome deriva dall’espressione dialettale “Buta mel feug”, ossia “forte come il fuoco”, per indicare la sua struttura robusta e le tonalità calde.
Vino dalla tradizione secolare (storicamente anche frizzante, ma lasciatelo perdere) e dalla forte personalità. All’interno della denominazione, un gruppo di aziende ha creato il “Club del Buttafuoco Storico” per promuovere la massima qualità e l’immagine del territorio (con un bel logo dedicato ad una storica nave della marina austroungarica chiamata appunto “buttafuoco”). Vino profondo, strutturato e potente anche nelle versioni più giovani e semplici, che ricordano gli antichi vini da osteria, vinosi e diretti.
Abbinamento eccezionale per la cucina lombarda tradizionale, dalla cassoeula alla cotoletta, dalla zuppa di cipolle alla polenta con ossobuco, fino al risotto al buttafuoco.
Suggerimento: Buttafuoco Storico dell’Oltrepò Pavese “Vigna Sacca del Prete” – Fiamberti
Piemonte
50. Barolo DOCG
Territorio: Provincia di Cuneo (11 comuni “Leggendari”)
Vitigni: Nebbiolo 100%
Affinamento in legno: Obbligatorio per minimo 18 mesi (di 38 minimo complessivi)
Colore: Rosso rubino scarico con riflessi granato, vira al mattone con un lungo invecchiamento
Sentori tipici: Frutta rossa, ciliegia, prugna, rosa, viola, confettura, spezie, pepe, funghi, legno
Entriamo in Piemonte dalla porta principale. Il Barolo nacque nel 1844, osservando i grandi fatti dell’Italia risorgente. Ma fu grazie ad un enologo francese se ebbe vita, e ad una marchesa francese se ebbe fortuna. Quando Juliette Colbert, Marchesa di Barolo, filantropa e futura beata della Chiesa, fece sfilare il suo omaggio enologico a Re Carlo Alberto per le vie di Torino, probabilmente non si immaginava di far giungere a Palazzo Reale il futuro Re dei Vini italiani. Eppure, portare 325 coppie di buoi con relativo carro e botte di vino da 600 litri è stata un’operazione di marketing che ancora oggi avremmo difficoltà a replicare. Da allora, tra fortune alterne, il vino di Barolo col suo vitigno padre, il super-autoctono Nebbiolo, non è mai più tornato nell’ombra. Anzi.
Vino di fenomenale struttura ed eleganza, dal corpo potente e allo stesso tempo delicato, fruttato e floreale, tannico e setoso, longevissimo, non è un caso che sia amato in ogni angolo del mondo contemporaneo. La qualità media della sua produzione è altissima, con poche eccezioni in basso e incredibili vette in alto. Importantissime le sottozone ed i terroir dei vari comuni.
Si abbina a piatti importanti ed importantissimi: dal tartufo ai brasati, dai formaggi stagionati ed erborinati alla cacciagione, fino al classico dei classici: il bollito misto alla piemontese.
Suggerimento: Barolo DOCG Villero – Livia Fontana
51. Barbaresco DOCG
Territorio: Provincia di Cuneo
Vitigni: Nebbiolo 100%
Affinamento in legno: Obbligatorio per minimo 9 mesi (di 26 complessivi)
Colore: Rosso rubino tenue con riflessi granato, vira al mattone con un lungo invecchiamento
Sentori tipici: Frutta rossa, ciliegia, prugna, rosa, viola, confettura, spezie, pepe, legno, balsamicità
Se il Barolo è il Re dei vini italiani, il Barbaresco è il fratello gemello nato per secondo, e solo per questo gli è stato negato lo scettro. Eccellentissima espressione del Nebbiolo, generalmente più fresco e fruttato del gemello, vanta una storia più tecnica e meno nobiliare – amato e innalzato da oltre un secolo dai professori dell’Istituto Enologico di Alba – e la medesima grandezza.
Vino di grande struttura e longevità, tannico e corposo, elegante fino all’opulenza. Alcune espressioni ne sono la bandiera, come quelle della famiglia Gaja, oggi probabilmente la più prestigiosa azienda italiana. Ma in generale, la qualità media è elevatissima per tutti i produttori.
Grande abbinamento con cacciagione, formaggi stagionati, brasati, primi piatti e risotti di grande struttura, tartufo e funghi.
Suggerimento: Barbaresco DOCG – Bruno Rocca
52. Gattinara DOCG
Territorio: Provincia di Vercelli (solo comune di Gattinara)
Vitigni: Nebbiolo (detto Spanna, min. 90%) + Vespolina (0-4%) + Uva Rara (0-10%)
Affinamento in legno: Obbligatorio per minimo 24 mesi (di 35 complessivi)
Colore: Rosso granato scarico con riflessi aranciati, vira al mattone con l’invecchiamento
Sentori tipici: Mora sotto spirito, fiori secchi, erbe aromatiche, liquirizia, balsamicità
Ecco. Se Barolo e Barbaresco sono i regnanti, il Gattinara fa parte della stessa famiglia nobiliare. Un cugino marchese, che domina l’Alto Piemonte e la piana delle risaie vercellesi con magnanimità e carattere. Vanta anche per alcune cantine una bottiglia particolare, figlia del design intelligente e oggi apprezzata per marketing.
Meno frutto, più terrosità e ruvidezza per un vino che affina in legno per un tempo infinito – specie per la Riserva – prima di giungere nel calice. Tempo che ne muta molto il colore verso un aranciato e mattone, talvolta intimidendo i consumatori inesperti. Tuttavia, l’esperienza gustativa conquista chiunque e lo rende uno dei grandi rossi d’Italia.
Abbinamento eccezionale con – ovviamente – risotto al Gattinara, ma anche formaggi stagionati, funghi, cacciagione e bollito misto.
Suggerimento: Gattinara DOCG “Tre Vigne” – Travaglini
53. Ghemme DOCG
Territorio: Provincia di Novara (solo comune di Ghemme e Romagnano Sesia)
Vitigni: Nebbiolo (detto Spanna, min. 85%) + Vespolina e/o Uva Rara (0-15%)
Affinamento in legno: Obbligatorio per minimo 18 mesi (di 34 complessivi)
Colore: Rosso granato con riflessi aranciati, vira al mattone con l’invecchiamento
Sentori tipici: Violetta, rosa passita, ciliegia sotto spirito, confettura, legno, spezie
Se il Sangiovese in Toscana si infiltra fino ai bianchi e agli spumanti, il Nebbiolo fa lo stesso in Piemonte. Ghemme, con la sua minima produzione e relativo minimo numero di produttori (inferiore complessivamente a 300mila bottiglie annue, contro – per dire – le 13 milioni di bottiglie del solo Barolo) rappresenta comunque un’espressione magnifica del vitigno, degna della presenza in questa nostra classifica.
Vino floreale e delicato, dai sentori dolci e freschi, in grado di sedurre con grazia ogni palato. La bella tannicità, legata al clima fresco dell’Alto Piemonte e all’influsso delle alpi e dei particolari terreni che ne derivano, lo rende longevo, elegante e allo stesso tempo ben strutturato.
Abbinamento prezioso con primi piatti, risotti, brasati, carni rosse e formaggi stagionati.
Suggerimento: Ghemme DOCG – Torraccia del Piantavigna
54. Ruchè di Castagnole Monferrato DOCG
Territorio: Provincia di Asti
Vitigni: Ruchè (min. 90%) + barbera e/o brachetto (0-10%)
Affinamento in legno: Possibile
Colore: Rosso rubino chiaro con riflessi violacei, tendenti al mattone in invecchiamento
Sentori tipici: Uva rossa, mora e frutti di bosco, rosa canina, mandorla, erbe aromatiche
Finalmente sfuggiamo dall’orbita del Nebbiolo! Il Ruchè è il vino che volevate aver scoperto prima. Questo vitigno autoctono, coltivato in una zona assai ristretta della provincia di Asti, ha trovato una nuova vita solo nell’ultimo decennio, ma nonostante la recente rinascita merita senza dubbio di essere presente nella nostra classifica.
Puro frutto, particolarmente denso in bocca, dotato di una morbidezza eccezionale e di un tasso alcolico da tenere a bada con perizia in fase di vendemmia e vinificazione, è uno di quei vini che vivono in inverno, e che una volta scoperti non si abbandonano più.
Ottimo per un aperitivo corposo, ma anche in abbinamento a semplici caldarroste, risotti ai funghi, arrosti di carne rossa e bianca, zuppe di legumi.
Suggerimento: Ruchè di Castagnole Monferrato DOCG – Crivelli
55. Roero DOCG
Territorio: Provincia di Cuneo
Vitigni: Nebbiolo (min. 95%) + altri (0-5%)
Affinamento in legno: Obbligatorio per minimo 6 mesi (di 20 complessivi)
Colore: Rosso granato, tendente all’aranciato e al mattone in invecchiamento
Sentori tipici: frutta rossa, ciliegia, rosa, viola, confettura, spezie, pepe, legno, liquirizia
È l’ultimo parente della famiglia Nebbiolo, promesso! Purtroppo è una parentela di quelle che creano solo bellissime espressioni, e non sai proprio a chi affezionarti di più. Il Roero nasce da un mare antico, da fossili che si raccolgono a manciate senza neppure scavare, da arenarie e calanchi.
Da un terroir quasi selvaggio nascono vini di grande finezza. Rispetto alle vicine langhe, dove imperano Barolo e Barbaresco, il nebbiolo del Roero è maggiormente fresco, delicato, floreale. Ma come gli altri membri della famiglia, non meno longevo e di grande eleganza anche invecchiato.
Abbinamenti? Carni bianche, risotto al castelmagno, primi piatti ricchi, formaggi a media stagionatura
Suggerimento: Roero DOCG – Malvirà
56. Barbera d’Asti DOCG (e tutte le altre)
Territorio: Province di Asti ed Alessandria
Vitigni: Barbera (min. 90%) + altri (0-10%)
Affinamento in legno: Possibile. Obbligatorio per le tipologie Superiore, Nizza e Riserva
Colore: Rosso rubino intenso con riflessi violacei. Tendente al granato con lungo invecchiamento
Sentori tipici: Ciliegia, amarena, mora, frutti di bosco, noce moscata, erbe aromatiche, fieno
Ci infiliamo in un ginepraio. O meglio, in un barberaio. Perché se il Nebbiolo vanta 6 DOCG, la Barbera ne ha soltanto una, ma in compenso trionfa nelle doc (e nei volumi!). Se il Nebbiolo è il re, la Barbera è regina. La Barbera d’Asti viene coltivata su un territorio che copre quasi 150 (!!) comuni tra le provincie di Alessandria e Asti. Ed è solo UNA delle denominazioni di riferimento di questo maestoso, robusto e produttivo vitigno dalle caratteristiche eccezionali. Le altre sono Barbera del Monferrato, Barbera d’Alba, Piemonte Barbera. Uno dei rossi più famosi al mondo, di cui solo in Piemonte si producono oltre 40 milioni di bottiglie l’anno.
La sua resistenza e produttività hanno trasmesso per anni la sensazione che fosse un vitigno adatto per un vino da tavola, da pasto, di scarsa complessità e altrettanto minima resistenza all’invecchiamento (molta frutta, pochi tannini), ma i miglioramenti produttivi e lo sforzo di enologi e cantine l’ha finalmente riportata al valore che merita, in cantina e in bottiglia.
I vari stili di vinificazione la rendono molto versatile, in abbinamento con salumi e formaggi, primi piatti, grigliate, carni rosse, arrosti, selvaggina, fino alla pasticceria secca ai frutti rossi, come una crostata di ciliegia.
Suggerimento: Barbera Asti Superiore DOCG “Manora” – Colle Manora
57. Dolcetto di Diano d’Alba DOCG (e gli altri)
Territorio: Provincia di Cuneo (solo comune di Diano d’Alba)
Vitigni: Dolcetto 100%
Affinamento in legno: Possibile
Colore: Rosso rubino intenso e profondo con riflessi violacei
Sentori tipici: Ciliegia, mora, frutti di bosco, viola, rosa, ciclamino
Il Dolcetto è un nobile ingiustamente decaduto. Vino dominatore delle tavole degli anni ’90, oggi è confinato nel proprio territorio e poco più, perfino tristemente sdegnato nonostante le fila di bottiglie sugli scaffali della grande distribuzione. Sic transit gloria mundi, ed eppure nonostante le colpe di uno sfruttamento più quantitativo che qualitativo, in realtà i grandi dolcetti sono e restano tra i migliori rossi d’Italia.
Abbiamo scelto il Diano D’Alba e i suoi 77 leggendari Sorì (i versanti delle colline) perché – probabilmente – su questi colli nasce la sua espressione più netta, fruttata, elegante. Ma come per i parenti ancora ammessi a corte, il Nebbiolo e la Barbera, anche le altre denominazioni a base dolcetto hanno tutte qualcosa di eccezionale da dire: Dolcetto di Dogliani e di Ovada (entrambi DOCG), Dolcetto di Alba, Acqui e d’Asti (DOC), Piemonte DOC… una produzione che abbraccia molti comuni, molti produttori, molti stili. Da esplorare e innamorarsi.
Vino versatile e amichevole, tendenzialmente morbido, caldo e dalla bella acidità, fruttato, gradevole, mai aggressivo. Le caratteristiche che lo avevano reso famoso sono ancora tutte lì, pronte a deliziare i calici anche dei winelovers più snob così come degli inesperti di ogni genere. Ha anche una qualità/prezzo spettacolare, che non guasta mai.
La versatilità lo rende facilmente abbinabile a tutti i pasti e a tutto pasto: dall’aperitivo con stuzzichini fino ai primi piatti al ragù, dai risotti alle zuppe, dai formaggi giovani alle carni bianche.
Suggerimento: Dolcetto di Diano d’Alba DOCG – Bricco Maiolica
58. Boca DOC
Territorio: Provincia di Novara
Vitigni: Nebbiolo (detto Spanna) (70-90%) + Vespolina e/o Uva Rara (10-30%)
Affinamento in legno: Obbligatorio per minimi 18 mesi (di 34 complessivi)
Colore: Rosso rubino tenue, più carico e granato per la Riserva
Sentori tipici: Rosa, viola, frutti di bosco, sottobosco, mandorla, erbe aromatiche
Avevamo promesso basta col Nebbiolo, ma come potevamo ignorare la sua importanza nel Boca DOC? Fratello minore del Ghemme (Boca Junior, ah ah ah sigh), fa parte di quella famiglia enologica che sorge nell’Alto Piemonte, sui suoli scavati dal fiume Sesia che furono – centinaia di milioni di anni fa – il cuore di un supervulcano.
Questo vino di acqua e montagna, elegante, etereo, raffinato, reso più energico e profumato dalla presenza dei due vitigni satellite, è in grado di donare momenti di grande soddisfazione, alla vista e al sorso. Per questo ben merita una citazione nella nostra ristretta classifica.
Abbinamento superbo con i risotti, con carni bollite e arrosto, formaggi, primi piatti di carne rossa, zuppe di legumi saporite.
Suggerimento: Boca DOC – Le Piane
59. Grignolino del Monferrato Casalese DOC
Territorio: Provincia di Alessandria
Vitigni: Grignolino (min. 90%) + Freisa (0-10%)
Affinamento in legno: Possibile. Fondamentale per alcune tecniche di invecchiamento
Colore: Rosso rubino molto limpido, quasi scarico. Più profondo e dai riflessi granato se invecchiato
Sentori tipici: Mora, Frutti di bosco, mandorla, erbe aromatiche
Il Grignolino è considerato il vitigno più simpatico del Piemonte, probabilmente per il suo nome particolare – che indica in dialetto la sua particolare ricchezza in vinaccioli (semi). Conosciuto in tempi antichi come Barbesino, è oggi uno dei vitigni più coltivati nella parte sudorientale della regione, e sta conoscendo negli ultimi anni una forte crescita nel mercato nazionale ed internazionale.
Il Grignolino dona vini freschi, acidi, dal tannino ben presente e dai piacevoli sentori fruttati e di erbe aromatiche. Raramente considerato un vino da lungo invecchiamento quanto piuttosto un buon prodotto da pasto, nasconde in realtà un grande potenziale che diverse cantine stanno cercando di esplorare. Fa parte quindi di quei vini da tenere d’occhio, meritevoli già oggi di essere presenti nel nostro elenco, ma che potrebbero addirittura scalare posizioni in futuro.
Abbinamenti con la cucina del territorio non tradiscono mai: zuppe, risotti, agnolotti, funghi, polenta, e in generale con una cucina ben condita di olii e grassi.
Suggerimento: Grignolino del Monferrato Casalese DOC – Gaudio
60. Verduno Pelaverga DOC
Territorio: Provincia di Cuneo (comune di Verduno + altri 2)
Vitigni: Pelaverga piccolo (min. 85%) + altri (0-15%)
Affinamento in legno: Possibile. Non molto utilizzato
Colore: Rosso rubino molto limpido, scarico.
Sentori tipici: Fragolina di bosco, fiori rossi, sottobosco, spezie
Verduno Pelaverga. Vitigno dal nome duro e dalla produzione inferiore a 150.000 bottiglie l’anno. Questi numeri – poco più della somma della produzione media di 2 cantine qualsiasi, o circa un centesimo di quella di una grande cantina – portano questa minuscola denominazione verso due direzioni: o questa classifica, o il nulla.
Ed eccolo qua, a rappresentare una meravigliosa espressione delle langhe, in crescita e amata dagli appassionati, e da coloro che hanno la fortuna di avvicinarvisi. I suoi profumi delicati, facilmente riconoscibili, accompagnati da un rubino tenue che carezza lo sguardo, il gusto netto e complesso ne fanno un grandissimo vino di nicchia.
Un altro membro della giovane famiglia dei rossi da pesce, persino non eccessivamente arricchito di sapori. Ama formaggi freschi, salumi, risotti, carni e sughi in bianco.
Suggerimento: Verduno Pelaverga DOC – Diego Morra
61. Langhe DOC
Territorio: Provincia di Cuneo
Vitigni: Autoctoni ed internazionali autorizzati
Affinamento in legno: Possibile
Colore: A seconda delle uve e dei territori
Sentori tipici: A seconda delle uve e dei territori
Dare alle Langhe una denominazione vaga come l’IGT sembrava un insulto, considerando anche che il Piemonte non ne ha neppure una. Ecco quindi la DOC, in omaggio ad un territorio talmente vocato alla viticoltura di alto livello che la sua antica storia di povertà e brigantaggio alternata a castelli nobiliari è ormai dimenticata. Le Langhe sono il paradiso del turismo enogastronomico mondiale, tra tartufo, vini, nocciole e paesaggi mozzafiato.
I vini delle colline che ondeggiano dal Monferrato verso le alpi sono innumerevoli, ma la qualità media è veramente alta e giustifica l’attenzione commerciale e la conoscenza da parte di appassionati e non. I vitigni sono innumerevoli, tra gli autoctoni (Nebbiolo, Freisa, Dolcetto, Barbera in primis) e gli internazionali (dal Cabernet Sauvignon al Tannat), le sperimentazioni anche.
Vale la pena assaggiare a lungo. Si nascondono (poco) grandissimi vini in questa denominazione.
Abbinamenti con cucina del territorio, sempre e comunque, e poi… sperimentare!
Suggerimento: Langhe DOC “Baccanera” – Lo Zoccolaio
62. Piemonte DOC
Territorio: Tutto il Piemonte
Vitigni: Autoctoni ed internazionali autorizzati
Affinamento in legno: Possibile
Colore: A seconda delle uve e della vinificazione
Sentori tipici: A seconda delle uve e della vinificazione
Ecco l’IGT rubata al Piemonte, convertita in DOC. Se parlate con i produttori, si lamenteranno di non poter giocare con tecniche, uvaggi e tecnologie come chi ha la denominazione più ampia (es. Toscana IGT, vedi sopra), di essere un po’ impastoiati alla tradizione e a controlli rigorosi.
Vero o no, la Piemonte DOC è una denominazione massiva, che contiene vini e vitigni eccezionali (vedi l’Albarossa), ma anche produzioni massicce o trascurate, la cui qualità lascia perplessi. L’unico modo è affidarsi ai nomi, assaggiare, essere curiosi, fidarsi degli amici o talvolta affidarsi ai prezzi – e alle info in etichetta e sui siti – per capire cosa ci possiamo aspettare. Buon divertimento!
Suggerimento: Piemonte DOC Albarossa – Castello di Neive
Liguria
63. Rossese di Dolceacqua
Territorio: Provincia di Imperia
Vitigni: Rossese (min. 95%) + altri (0-5%)
Affinamento in legno: Possibile
Colore: Rosso rubino anche molto tenue, tendente al granato e al mattone in invecchiamento
Sentori tipici: Frutti rossi, rosa rossa, erbe aromatiche, sottobosco e resina di pino
Come? La Liguria un solo grande rosso? Ebbene sì, un po’ a malincuore. Citiamo con affetto l’Orneasco di Pornassio, espressione del Dolcetto… ma per ora lo escludiamo da questa classifica. Il resto della regione produce bianchi meravigliosi, e anche rossi qualitativamente piacevoli, ma non a sufficienza da entrare in questa ristrettissima – anche se non sembra tale – classifica italiana. Si rifarà con i bianchi, promesso!
Inoltre, il Rossese di Dolceacqua è tutt’altro che un contentino: un grandissimo vitigno che nasce “appoggiato” ai tipici terrazzamenti, nonché alla Francia. Produzione ristrettissima – 80 ettari totali – origine misteriosa e caratteristiche inconfondibili. Una volta degustato, lo si riconosce per sempre: colore tenue, talvolta più un rosato che un rosso; sentori delicati, eleganti, con una nota resinosa totalmente tipica. Gusto piacevole, armonico, delizioso. L’alcol mai esageratamente presente lo rende adatto anche agli assaggiatori più prudenti.
Abbinamento estremamente versatile, grazie ai tannini gentili: dall’aperitivo al tutto pasto, dal pesce alle zuppe, dai risotti alle carni bianche, magari anche le rosse. Un vino ideale da portare ad una cena da amici… anche se non si conosce il menù.
Suggerimento: Rossese di Dolceacqua – Maccario Dringenberg
Valle d’Aosta
64. Valle d’Aosta DOC
Territorio: Provincia di Aosta (cioè tutta la Regione)
Vitigni: Autoctoni ed Internazionali autorizzati (Min. 85% del vitigno indicato in etichetta)
Affinamento in legno: Possibile
Colore: A seconda delle uve e della vinificazione
Sentori tipici: A seconda delle uve e della vinificazione
La Valle d’Aosta è sempre la prima o l’ultima delle guide, e non facciamo eccezione. Siamo sbarcati in Sicilia, ammirando l’Etna nero di basalto e rosso di lava, e ce ne andiamo dal Monte Bianco. È una regione spesso trascurata anche dagli enoappassionati: la produzione è piccola, le cantine poche, la posizione relegata, la distribuzione poco efficace, e perfino la promozione commerciale si perde un po’ per strada. Eppure, i vigneti più alti d’Europa, aggrappati fino a 1200 metri alle rocce grigie delle alpi e alla stretta vallata della Dora Baltea – e dei suoi mille rivoli affluenti – sanno dare emozioni impagabili. Specie quando vengono da espressioni dei vitigni autoctoni. Anche qui, niente IGT, ma solo una DOC e le sue 7 sottozone che comprendono tutta la produzione regionale, da vigneti coltivati sui terrazzamenti e sui pendii che corrono lungo il fiume.
Come per quasi tutte le zone montane, i bianchi dominano. Il clima e il terreno (ciottoli, terreni duri e alluvionali) regalano vini sapidi, minerali, delicati, aromatici. Eppure, qui gli autoctoni Petit Rouge, Fumin, Cornalin, ma anche gli immigrati Nebbiolo, Pinot nero, Gamay e i loro fratelli riescono ad esprimersi con vini rossi leggeri, floreali, delicati e allo stesso tempo minerali, resistenti, longevi. Meritevolissimi.
I vini nati in un territorio così speciale si abbinano alla cucina entro cui si sono sviluppati. Quindi via alle zuppe, alla cacciagione, alla fonduta e alla polenta, ai primi piatti di sapore montano, con burro e lardo. Ma nessuno ci vieta di sperimentare, arrivando fino a ricette di pesce!
Suggerimento: Valle d’Aosta Fumin DOC – Grosjean
Finiamo qui. Lasciamo lo Stivale, ebbri e sorridenti. Come diceva Leonardo da Vinci:
Et però credo che molta felicità sia agli homini che nascono dove si trovano i vini buoni.