Non fatevi ingannare da chi dice che il cibo non è cultura: le due cose sono strettamente legate, da sempre. I piatti tipici di una regione raccontano la storia dei popoli che l’hanno conquistata più o meno forzatamente, abitata, plasmata e influenzata, tramandando almeno in parte il loro sapere, i loro gusti e le loro abitudini, anche quelle alimentari. E, nel caso della Sicilia, si tratta di moltissimi popoli, che per secoli se la sono contesa per via della sua posizione strategica al centro del Mediterraneo. Fenici, Greci, Romani, Vandali, Ostrogoti, Bizantini, Arabi, Normanni, Svevi, Angioini, Spagnoli, Borboni: alcuni l’hanno fatta risplendere come non mai, altri l’hanno oppressa e sfruttata, ma tutti quanti hanno inevitabilmente lasciato il segno.
E poiché questa eredità è stata raccolta in modo diverso in vari punti dell’Isola, facendo tesoro delle risorse a disposizione nel territorio, la cucina siciliana non vanta soltanto tantissime ricette molto diverse tra loro ma anche innumerevoli versioni della stessa ricetta. Questa nostra classifica dei migliori piatti tipici siciliani non può quindi che essere incompleta, ma rappresenta un ottimo spunto da cui partire per approfondire la conoscenza del cibo della Sicilia ancora di più.
1. Cannolo
Al primo posto come piatto tipico siciliano non può esserci che lui: sua maestà il cannolo, ossia il dolce siciliano più famoso al mondo. Una croccantissima cialda a base di farina, zucchero e vino viene arrotolata su se stessa, fritta e poi farcita con ricotta; dosi, dimensioni ed eventuali aggiunte – canditi, gocce di cioccolato, zuccata, scaglie di pistacchio, zucchero a velo, cannella in polvere – variano di zona in zona. Abbiamo, ad esempio, i cannolicchi a Palermo, i cannoli giganti a Piana degli Albanesi, quelli con ricotta più grezza a Trapani e più dolce a Messina, di pecora a Ovest e di mucca a Est (e soprattutto a Ragusa); la prelibatezza però è una costante.
Non si conoscono con certezza le origini del cannolo, che comunque sono molto antiche. Già nel I secolo a.C.,
Cicerone raccontava di aver gustato “un tubo di farina ripieno di dolce crema al latte” durante un suo viaggio in Sicilia; e i Siciliani consumavano abitualmente ricotta già da diversi secoli. La ricetta del cannolo per come lo conosciamo noi potrebbe essere però legata alla dominazione araba in Sicilia e più precisamente a Caltanissetta, un tempo nota come Qal’at al-Nisa (“il castello delle donne”) per via dei numerosi harem che ospitava. Pare che le concubine degli emiri saraceni si dilettassero a sperimentare in cucina, e abbiano ideato il cannolo dandogli una forma più che vagamente fallica per rendere omaggio al loro amato. La ricetta si sarebbe poi diffusa nientemeno che nei conventi di clausura, possibilmente ad opera di queste stesse donne che, con l’arrivo dei Normanni, si sarebbero convertite al Cristianesimo. Si tratta soltanto di alcune delle leggende riguardanti questo manicaretto, che in realtà non ha bisogno di una storia ben documentata per deliziare i palati di tutto il mondo.
2. Arancino/a
Fiumi di inchiostro vengono versati periodicamente per descrivere la bontà di questo capolavoro dello street food siciliano; e probabilmente altrettanti per tentare di spiegare le cause dell’accesa rivalità tra Palermo e Catania (o se preferite, tra area occidentale e orientale dell’Isola) che scoppia quando esso viene anche solo nominato. Qualcuno si è spinto anche oltre, elencando le ragioni per cui una versione sarebbe superiore all’altra e un modo di chiamarlo sarebbe più corretto dell’altro. Noi invece optiamo per la soluzione più diplomatica di tutte, che poi è quella che ogni amante del buon cibo dovrebbe prediligere: presentare ognuna delle due versioni senza esprimere alcuna preferenza, ma considerandole ugualmente valide e consigliandole entrambe.
Anche in questo caso, c’è lo zampino degli Arabi, che hanno introdotto nell’Isola l’idea di appallottolare il riso – forse già condito con zafferano – e farcirlo con carne. In seguito, probabilmente in epoca normanna, queste polpette di riso hanno iniziato a essere impanate e fritte, diventando un ottimo cibo da asporto; e qualche secolo dopo sono stati introdotti nuovi ingredienti, come il pomodoro, che hanno permesso di sviluppare sempre più variazioni sul tema. Due quelle principali: l’arancino catanese (di forma conica, ripieno di carne al sugo fatta a pezzetti) e l’arancina palermitana (tonda e ripiena di carne trita e piselli, o più ovaleggiante e ripiena di prosciutto e formaggio); ne esistono, però, talmente tante altre varianti da meritare un tour gastronomico a parte in giro per la Sicilia.
3. Caponata
Le prime testimonianze scritte dell’esistenza di una pietanza chiamata “caponata” sono in un testo pubblicato a Messina nel 1759, che la definisce “un piatto fatto di tante cose”. Circa un secolo più tardi si saprà che questo piatto è una zuppa a base di pesce – la lampuga, detta anche capone – e verdure consumata abitualmente dai nobili. La tecnica di preparazione è, però, molto più antica e prevede l’utilizzo dell’agrodolce, ottenuto dall’unione di zucchero e aceto: una ricetta tramandataci dai Saraceni e originariamente persiana, che rimanda a una filosofia di epoca Sasanide che predicava la ricerca di armonia e bilanciamento tra contrasti, sia nella vita che in cucina.
I cittadini meno abbienti, non avendo modo di procurarsi un pesce così “nobile”, hanno riadattato la ricetta alle proprie possibilità sostituendolo con delle melanzane che, almeno nella versione palermitana del piatto, sono ancora le indiscusse protagoniste insieme a cipolla, capperi, salsa di pomodoro, olive verdi, sedano, olio e, ovviamente, aceto e zucchero. Esistono almeno altri 36 tipi di caponata in Sicilia e non possiamo certo elencarli tutti, ma segnaliamo quelli principali: la caponata agrigentina che contiene anche peperoni fritti, aglio, cetrioli, miele e peperoncino; quella catanese che toglie melanzane e aggiunge peperoni e patate; quella trapanese che aggiunge melanzane, peperoni e mandorle tostate.
4. Pane e panelle
Siamo ancora all’inizio della nostra classifica, ma già a questo punto non dovrebbe stupirvi sapere che a inventare le prime panelle furono con ogni probabilità gli Arabi, che occuparono la Sicilia per quasi tre secoli dall’827 al 1072. Essi erano infatti soliti macinare i ceci e mischiare con acqua la farina ottenuta, ricavando delle sfoglie che, una volta cotte, risultavano molto gustose. Con il passare del tempo, questa ricetta semplicissima si è evoluta fino a dar vita a una vera e propria istituzione per Palermo e la Sicilia tutta.
Le panelle oggi sono fritte, insaporite da un po’ di prezzemolo tritato e vengono solitamente servite all’interno di una morbida pagnotta tonda con semi di sesamo (vastedda): un grande classico è, in particolare, il panino con panelle e crocché (dette anche cazzilli), simili alle crocchette di patate napoletane ma senza ripieno di formaggio. Un pizzico di sale, pepe e una spruzzata di succo di limone sono l’unico condimento necessario per questo cibo povero e ricco al tempo stesso; che vi troviate in spiaggia a Mondello o in giro per il centro di Palermo, la tentazione di provarlo sarà fortissima. E perché mai dovreste resistere?
5. Granita e brioche
Dallo sherbet di invenzione araba alla neve fatta raccogliere e aromatizzare dai nobili messinesi, che la consumavano all’arrivo della calura estiva: ecco i principali precursori della granita, che trova la sua massima realizzazione nella zona orientale dell’Isola. Sono, anzi, in molti a dire che la vera granita siciliana si può gustare solo dalle parti di Messina. La sua consistenza fine e morbidissima e il suo gusto delicato e intenso la rendono la colazione perfetta quando il sole comincia a picchiare, soprattutto se accompagnata dalla classica brioche col tuppo, come quella che vedete in foto. I gusti disponibili sono parecchi e vanno da quelli più tradizionali, come limone, fragola e menta, a quelli più tipici della Sicilia, come il caffè – provatelo con panna! – i gelsi neri, la mandorla e il fico d’India.
6. Pasta con le sarde
La pasta con le sarde è un’altra dimostrazione di quante prelibatezze siciliane siano nate dalla necessità di utilizzare prodotti e ingredienti locali. Difficile collocarne l’origine precisa, contesa tra Siracusa e Mazara del Vallo, ma si pensa che sia stata ideata durante le campagne di conquista da parte degli Arabi. Il connubio tra le sarde (pesce diffusissimo e a buon mercato) e il finocchietto selvatico di montagna è, però, tutto siciliano; non sorprende quindi che questa pasta si trovi praticamente dappertutto sull’Isola, pur essendo stata “adottata” dalla città di Palermo. Che sia con sarde vere o “a mare” (cioè acciughe sotto sale, per l’entroterra siculo che non aveva sempre accesso al pesce fresco), con zafferano o estratto di pomodoro, ‘ncasciata al forno o appena fatta, di solito si cosparge di abbondante pangrattato prima della consumazione. Il formato più tradizionale? Bucatini o maccheroncini.
7. Sfincione
All’estero c’è chi lo chiama Sicilian pizza; ma lo sfincione, con il suo impasto alto e poroso (o “spugnoso”, come ricorda l’etimologia del suo nome), fa pensare più a una focaccia. E con il suo condimento rossissimo a base di polpa di pomodoro, sale, origano, cipolla, acciughe e cubetti di caciocavallo, è il re dei panifici palermitani, nonché ennesima icona di uno street food che fa invidia al resto d’Italia (se non d’Europa). Tante le variazioni sul tema: la più famosa è lo sfincionello, di forma ovale e con fette di pomodoro e pangrattato; è proprio questa versione che viene distribuita in giro per Palermo da sfincionari di strada muniti di carretto, che tentano i passanti con la loro abbanniata. Un illustre concorrente è poi lo sfincione di Bagheria, che non prevede pomodoro in alcuna forma e lo sostituisce con abbondante tuma o ricotta.
8. Macco di fave
Una minestra, uno snack o un condimento per la pastasciutta? ‘U maccu di favi, originario del paesino di Raffadali nell’Agrigentino, può essere tutte queste cose, a seconda delle preferenze e delle occasioni. Il suo nome deriva dal latino maccare, che vuol dire “schiacciare, ridurre in poltiglia”; e in effetti viene preparato proprio facendo cuocere le fave – fresche o secche – talmente a lungo da farle disfare completamente. Cucinate insieme a cipolla e finocchietto selvatico, che ne esaltano il sapore, esse formano una zuppa densa e profumata che anticamente veniva consumata dai contadini alla fine del raccolto, come buon auspicio per il futuro.
Questo piatto dalle origini povere è diventato col tempo sempre più diffuso e versatile: c’è chi lo mangia con dei crostini di pane e c’è chi ci cucina dentro la pasta, rendendolo più o meno brodoso; c’è chi toglie il finocchietto e aggiunge cicoria bollita o altre verdure; e c’è anche chi lo fa addensare (e raffreddare) abbastanza da poterlo tagliare a cubetti e friggere in olio bollente, trasformandolo in uno sfizioso antipasto.
9. Dolci di pasta di mandorle
La pasta di mandorle o pasta reale è una base per dolci composta da acqua, zucchero e farina di mandorle; il suo utilizzo è diffuso in varie regioni italiane, soprattutto nel Meridione, ma è proprio in Sicilia che essa è stata inventata o quantomeno introdotta. A utilizzare questa ricetta, forse già ereditata dagli Arabi secoli prima, è stato ancora una volta un gruppo di monache, più precisamente quelle del convento adiacente alla chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio (oggi detta Martorana) a Palermo: questo golosissimo impasto è stato combinato con pistacchi, canditi, mandorle e, ovviamente, ricotta, diventando anche uno degli ingredienti base della classica cassata siciliana. Cambiando le proporzioni tra zucchero e farina di mandorle si ottiene poi una pasta di consistenza diversa, a cui si dà la forma di piccoli frutti: stiamo parlando della cosiddetta frutta di martorana, un’altra storica prelibatezza dell’Isola.
Se volete assaggiare della martorana o dei dolcetti di pasta reale potete trovarne un po’ in tutta la Sicilia, ma uno dei luoghi di riferimento è proprio nei pressi di dove tutto è cominciato: all’interno dell’ex convento di clausura di Santa Caterina d’Alessandria, di fronte alla chiesa della Martorana; si tratta di una sorta una dolceria che mira a riscoprire le antiche ricette della pasticceria conventuale palermitana e a riproporle al pubblico per diffonderne la conoscenza. Potrete trovarvi martorana, cassate, cannoli, dolciumi vari e, allo stesso tempo, anche un pezzo di storia della Sicilia.
10. Cùscusu alla trapanese
È dal 1998 che a San Vito Lo Capo, in provincia di Trapani, si tiene ogni anno il Cous Cous Fest, che ospita cuochi provenienti da ogni parte del mondo per celebrare e gustare ogni versione possibile di questo piatto povero di origine maghrebina. E tra loro non può certo mancare il padrone di casa, ossia il couscous (cùscusu) alla trapanese: questa ricetta fa tesoro dell’eredità lasciata dagli Arabi sull’Isola, rispettandone i classici metodi di preparazione con semola e cuscussiera. Ma allo stesso tempo la rinnova, sostituendo la tradizionale carne di agnello o montone con del pesce da zuppa come dentice o scorfano, a cui si possono anche aggiungere scampi e vongole. Il risultato non ha nulla da invidiare alla versione originale e aggiunge un tocco di Mediterraneo in più: provare per credere.
11. Sarde a beccafico
Continuiamo a parlare di pesce, e torniamo a parlare di sarde per questo piatto tipico dalle origini non propriamente povere ma probabilmente palermitane, che ricordano molto quelle della caponata. Il beccafico è un uccellino che prende questo nome dal cibo di cui è ghiotto, ossia i fichi; intorno al XIX secolo, i nobili siciliani amavano cacciarlo per poi consumarlo a tavola, ripieno delle sue stesse interiora. La gente comune, che non poteva permettersi un pasto del genere, ne ha riprodotto la ricetta servendosi di ingredienti molto più a buon mercato: sarde arrotolate attorno a un ripieno di pangrattato, sale, pepe, passolina e pinoli e poi messe al forno, possibilmente con la coda all’insù (proprio come venivano disposti gli uccellini in teglia). A Messina, le sarde a beccafico sono fritte e contengono anche capperi, mentre a Catania si aggiunge del caciocavallo alla farcia e le sarde si friggono a due a due invece di venire arrotolate.
12. Pani câ meusa
Siamo sicuri che l’idea di mangiare una vastedda farcita con milza e polmone di vitello, prima bolliti e poi fritti nello strutto, avrà scoraggiato non pochi turisti; eppure questo non ha mai nemmeno intaccato la popolarità di questo cibo da strada palermitano che, anzi, si è espansa ben al di là del capoluogo siciliano. Le origini del pani câ meusa sono antichissime e si fanno risalire più o meno all’anno Mille, dopo che gli Ebrei si stanziarono a Palermo formandovi una nutrita comunità. Nelle macellerie kosher, per motivi religiosi, non era permesso retribuire l’uccisione di animali; l’unico compenso erano gli scarti della macellazione, cioè le interiora degli animali. Per poterci guadagnare qualcosa, ai macellai kosher venne in mente di cucinarle e rivenderle ai Cristiani, già abituati a consumarne.
Il pani câ meusa ebbe un successo tale da diventare una tradizione che nemmeno la cacciata degli Ebrei del 1492 riuscì a interrompere: la professione di meusaru venne ripresa dai caciuttari (venditori di panini con formaggio e ricotta) e la ricetta si è mantenuta più o meno immutata fino a oggi. Due sole le varianti ammesse: con una spruzzata di succo di limone (schettu) o con aggiunta di scaglie di ricotta salata (maritatu).
13. Pasta alla Norma
Avete presente la Norma, opera lirica di Vincenzo Bellini ambientata nell’antica Gallia? Ebbene, i Catanesi hanno voluto omaggiare questo capolavoro – nonché il loro concittadino compositore – creandone un altro, ossia questa pietanza tipica della provincia di Catania ma che potete trovare un po’ in tutti i ristoranti dell’Isola. Pare, tra l’altro, che sia stata servita per la prima volta proprio in occasione della prima mondiale dell’opera belliniana: un legame a doppio filo che resiste ancora oggi. Protagonista è, ancora una volta, la melanzana fritta, tagliata a cubetti o a fettine e qui unita a pomodoro pelato, basilico e ricotta salata; il formato di pasta migliore? Basta che sia corta, ma preferibilmente maccheroni o rigatoni.
14. Scaccia
Non solo Palermo e Catania: a volte a contendersi la paternità dei piatti tipici siciliani sono città appartenenti alla stessa provincia. Ragusa e Modica sostengono, ad esempio, di essere state loro a inventare per prime la cosiddetta scaccia, uno dei prodotti da forno più diffusi in questa parte dell’Isola. Un croccante impasto di farina di grano duro viene ripiegato più volte su se stesso formando vari strati, e farcito con un ripieno che varia di zona in zona ma che risulta sempre golosissimo: pomodoro e formaggio (o cipolla) per la versione ragusana, ricotta e cipolla per quella di Modica. Non mancano, però, alternative come salsiccia, provola e melenzane.
La scaccia era in origine pensata come pasto unico per i braccianti, ricca di ingredienti sostanziosi per fornire loro tutte le energie necessarie per una giornata di duro lavoro. Adesso, invece, è un vero e proprio pilastro dello street food del Ragusano, e non solo: esiste anche la scacciata catanese, la ‘mpanata nissena e siracusana e la ‘mpigliulata agrigentina che prende la forma di una sorta di girella. Meglio l’originale o le varianti? Lo lasciamo decidere a voi.
15. Pasta chî vruocculi arriminati
Se avete voglia di un bel piatto di bucatini ma non andate pazzi per il pesce, in quel di Palermo potrete gustare una valida ma poco conosciuta alternativa alla pasta con le sarde. I vruocculi qui utilizzati non sono broccoli ma cavolfiori (bianchi o verdi), che dopo essere stati sbollentati in acqua per qualche minuto vengono rigirati (arriminati) in tegame con olio, cipolla, acciughe, zafferano, passolina e pinoli per un condimento decisamente di influenza araba. La pasta così condita si può mangiare al momento oppure il giorno dopo, più “riposata” o persino fritta; si può mettere al forno e far gratinare come un timballo, oppure cospargere di pangrattato (muddica atturrata) per esaltarne il sapore. Quale che sia la vostra preferenza, siamo abbastanza sicuri che vi leccherete i baffi.
16. Busiate alla trapanese
La risposta di Trapani al pesto alla genovese pare sia nata ai tempi in cui queste due città marinare erano legate da una fitta rete di tratte commerciali: sarebbero stati proprio i marinai di Genova a introdurre, presso il porto siciliano, la famosa agliata ligure, da loro utilizzata per conservare meglio il pesce. E da lì è partita la rivisitazione locale: olio, aglio, mandorle, pomodoro, pecorino e basilico, uniti in un condimento che sa di Mediterraneo e che viene usato sia per le bruschette che per la pasta. E in quest’ultimo caso è quasi d’obbligo utilizzare le busiate, un formato prodotto proprio nella provincia di Trapani e chiamato così dal buso, una particolare canna attorno a cui viene avvolta la pasta per darle la caratteristica forma elicoidale. Un connubio così perfetto non potete proprio perdervelo.
17. Purpiceddi murati
Se siete già stati al mercato della Vucciria di Palermo, vi sarete probabilmente imbattuti in uno o più venditori di purpu vugghiutu, ossia polpo bollito: già saporito di suo, si condisce al massimo con una spruzzata di limone (facoltativa, per giunta). Il piatto che vi presentiamo qui, pure di origine palermitana, non utilizza propriamente dei polpi ma i loro “cugini” moscardini, più piccoli e teneri: essi si dicono “murati” poiché la pentola di coccio in cui vengono cucinati (con olio, aglio, vino, polpa di pomodoro, prezzemolo e peperoncino) viene tenuta ben chiusa per tutta la durata della preparazione. La zuppa che ne deriva manda in visibilio turisti e autoctoni, che spesso la consumano con grandi quantità di pane per non lasciarsi scappare nemmeno una goccia di sugo.
18. Pasta ‘ncasciata
Gli amanti de Il Commissario Montalbano non hanno bisogno di andare in Sicilia per sentir parlare di questa pietanza, ma probabilmente vorranno farlo per poterla finalmente assaggiare. Si tratta della risposta messinese – e in particolare di Mistretta – alla classica pasta al forno, che non ha bisogno di presentazioni. Qui non abbiamo anelletti ma (generalmente) rigatoni, non abbiamo diversi strati di condimento ma un unico mix di pasta, ragù di carne, salsa di pomodoro, melenzane fritte e caciocavallo; anche qui, però, si mette tutto in forno finché il formaggio non fonde e si forma la classica crosticina che fa impazzire anche i più schizzinosi.
19. Minestra con tenerumi
Quando arriva l’estate in Sicilia c’è chi corre alla spiaggia più vicina, chi si avventa su una granita ghiacciata, e chi… si prepara una bella minestra. La pasta coi tenerumi è una specialità palermitana fatta con le foglie più tenere (da qui il nome) della cucuzza longa, una varietà di zucchina locale. Bollita la verdura, nella stessa acqua si fa cuocere la pasta – solitamente spaghetti spezzati – che a fine cottura si condisce col picchi pacchi, composto da salsa di pomodoro cotta in aglio e olio; una bella spolverata di formaggio e la minestra è pronta da gustare. Idealmente bisognerebbe aspettare che si raffreddi almeno un po’, ma i più temerari – o quelli che semplicemente non sanno resistere – la mangiano ancora caldissima.
20. Cassatelle di Sant’Agata
Dulcis in fundo: chiudiamo in grande con uno dei piatti tipici siciliani più prelibati e famosi, ma che forse non tutti conoscono in questa particolare varietà. La cassata è un dolce a base di ricotta che si può trovare ovunque in Sicilia in versione più o meno zuccherata, con o senza glassa, con o senza gocce di cioccolato, con o senza canditi e persino al forno, priva dei classici strati di pan di Spagna e pasta reale. Catania ne ha poi inventato una versione particolare per commemorare il martirio di Sant’Agata, che morì dopo aver subìto atroci violenze tra cui l’asportazione dei seni. Le minnuzzi ri Sant’Ajita (conosciute anche come minnuzzi ri virginiin altre parti dell’Isola) sono delle piccole cassate emisferiche che, con la loro calotta di glassa bianchissima e la ciliegia candita in cima, riproducono proprio la forma di un seno. Se passate da Catania, consigliamo di rendere omaggio alla sua patrona assaggiando questi deliziosi dolcetti.