Fin da tempo immemore, l’Italia è sempre stata un punto di riferimento culturale all’interno dell’immaginario europeo. Sono state tante le epoche caratterizzanti di questo processo, – basti pensare al dominio romano – ma un posto ad honorem è sicuramente occupato dal Rinascimento. Questo periodo storico ebbe una durata cronologica abbastanza lunga, al punto che si è soliti suddividerlo in 3 fasi: primo Rinascimento (primo ‘400), Rinascimento maturo (1400-1500) e tardo Rinascimento (1500 inoltrato). Grazie al mecenatismo promosso dalle corti rinascimentali – tra cui Firenze, Milano, Urbino, Mantova e Ferrara – fu possibile una notevole fioritura delle lettere, della filologia e del concetto di Umanesimo, basato sul culto del mondo classico.
Oltre all’ambito della humanae litterae, anche l’ambito artistico ebbe un grande impulso. Partendo dalla volontà di rappresentare il mondo per come esso si presenta e da un’attenzione specifica verso la figura umana, l’arte rinascimentale concepì nuovi modi di sviluppo dello spazio attraverso la prospettiva e, soprattutto, di dipingere. Questo ci porta ad esaminare quali furono i pittori rinascimentali più importanti e quale fu il loro contributo in termini intellettuali ed artistici.
1. Leonardo da Vinci
Leonardo da Vinci di ser Piero (Anchiano, 15 aprile 1952 – Amboise, Francia, 1519) è considerato come il genio assoluto del Rinascimento. Pittore capace di dare vera concretezza a tutto ciò che veniva dipinto sulla tela, egli fu anche scultore, inventore, ingegnere militare, scenografo, anatomista, pensatore, uomo di scienza. Dopo essere stato allievo di Andrea del Verrocchio, furono importanti i suoi successivi soggiorni a Milano e in Francia, durante i quali diede vita ad alcune delle sue opere più note: tra tutte, “La Gioconda” (1503-1506 circa), “L’Ultima Cena” (1495–1498) e “L’Annunciazione” (1472). Fu anche colui che adottò la tecnica dello sfumato, attraverso la quale tendeva a sfumare i contorni per creare una distanza percettiva verosimile: esempio di tale uso lo si può ritrovare nella stessa Monna Lisa, in cui lo sfondo è realizzato proprio in questo modo.
2. Michelangelo Buonarroti
Michelangelo Buonarroti (Caprese, 6 marzo 1475 – Roma, 18 febbraio 1564) nacque da un padre discendente di una famiglia fiorentina di tradizione guelfa ed iniziò come apprendista nel 1488 nella bottega di Domenico e David Ghirlandaio. Successivamente, si spostò a Firenze alla corte di Lorenzo il Magnifico, dove entrò in contatto con gli umanisti della cerchia medicea, assimilandone le dottrine platoniche; qui, ebbe modo anche di approfondire i suoi studi di anatomia, attraverso la dissezione dei cadaveri. Da sempre definitosi scultore, in realtà Michelangelo fu anche autore di opere pittoriche, nelle quali trasferì tutto il vigore muscolare tipico delle sue statue: in particolar modo, esemplare è “La Creazione di Adamo” (1511 circa), facente parte del ciclo di affreschi della Cappella Sistina a Roma e dipinta da Michelangelo durante il suo soggiorno nella capitale nella prima metà del ‘500. Altra opera è anche il “Tondo Doni” (1504-1506), in cui la Sacra Famiglia è come se fuoriuscisse dal supporto, effetto reso grazie al marcato chiaroscuro dei panneggi delle vesti e dalla torsione dei corpi.
3. Sandro Botticelli
Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi, conosciuto con il nome d’arte di Sandro Botticelli (Firenze, 1° marzo 1445 – Firenze, 17 maggio 1510), fu un pittore poliedrico, capace di spaziare tra i temi più disparati. Dopo aver ricevuto una formazione di scuola fiorentina sotto Filippo Lippi, egli subì influenze artistiche da parte di Verrocchio e dei fratelli Pollaiolo: ciò gli permise di sviluppare, pian piano, un concetto tutto suo di bellezza ideale e di raffinatezza stilistica, caratteristiche che rendono i suoi soggetti quasi eterei. Le sue tematiche predilette furono quelle di carattere allegorico-mitologico e religioso: a tal proposito, non si possono non citare le grandi tele custodite agli Uffizi, ossia “La nascita di Venere” (1485) e “La Primavera” (1480 circa), due tra opere più conosciute al mondo. Sul versante sacro invece, sono degne di nota le cospicue produzioni di Madonne col Bambino.
4. Donatello
Donatello, il cui vero nome è Donato di Niccolò di Betto Bardi (Firenze, 1386 – Firenze, 13 dicembre 1466), è tutt’ oggi ritenuto uno dei padri fondatori del Rinascimento fiorentino. Figlio di un cardatore di lana e di modesta cultura, si formò presso la bottega di Lorenzo Ghiberti; durante i primi anni ‘30, si recò poi a Roma per studiare scultura e monumenti antichi. Artista con una lunghissima carriera, a lui si deve il superamento di molti canoni legati al tardo-gotico: non solo fu inventore della tecnica scultorea dello “sticciato”, atta a dare più profondità, ma si distinse anche per la notevole capacità nell’infondere introspezione psicologica ai suoi soggetti. Altro importante elemento è l’utilizzo della prospettiva, come si può notare, per esempio, nello stucco policromo de “La Resurrezione di Drusiana” (1428-1443) nella Sagrestia Vecchia nella basilica di San Lorenzo a Firenze.
5. Raffaello Sanzio
Raffaello Sanzio (Urbino, 1483 – Roma, 6 aprile 1520) rappresenta un esempio fondamentale sia in termini di capolavori prodotti, sia per quanto riguarda la modalità di lavoro. Rimasto orfano all’età di 11 anni, egli si formò presso la bottega di Pietro Vannucci, detto “Il Perugino”; in seguito, decise di spostarsi a Firenze, dove entrò in contatto con Leonardo e Michelangelo. Da essi trasse ispirazione per i suoi dipinti, giungendo a concepire una propria idea di arte equilibrata, in perfetta armonia con la natura. Il suo stile si caratterizza per le forme morbide e nitide, il tutto seguendo un piano prospettico studiato a tavolino: esemplari in questo senso sono “La scuola di Atene” (1509-1511) e “Lo Sposalizio della Vergine” (1504). Importante fu anche la serie di Madonne col Bambino, tema a cui Raffaello era particolarmente legato: tra tutte, la Madonna del Cardellino (1506), la “Madonna del Belvedere” (1506) e la “Madonna Esterhazy” (1508). La cosiddetta “maniera di Raffaello” fu fondamentale per lo sviluppo del linguaggio artistico successivo: il modus operandi per la realizzazione delle opere, basato su alte professionalità e una bottega rigidamente strutturata, diede vita al Manierismo, ultimo colpo di coda del Rinascimento.
6. Caravaggio
Michelangelo Merisi, detto “Il Caravaggio” dal nome della città di origine della famiglia (Milano, 29 settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610), fu il precursore della sensibilità barocca, in perfetta antitesi con il Manierismo e il Classicismo imperanti. Nel 1592 si spostò a Roma, dove iniziò a lavorare per importanti committenti, tra cui il cardinale Francesco Maria del Monte: a questo periodo risalgono, ad esempio, “I bari” (1594) e “Il bacchino malato”. Tuttavia, a causa della sua indole ribelle e violenta – che lo porterà a commettere un omicidio nel 1610 – sarà costretto a muoversi continuamente, fino alla sua morte. Fin dagli esordi, le sue opere mostrarono una tendenza ai forti contrasti chiaroscurali e alla drammaticità: si pensi alla “Vocazione di San Matteo” (1599-1600) nella Cappella Contarelli a Roma oppure alla nota “Medusa” (1595-1598). La resa teatrale, accentuata anche dall’uso di drappeggi rossi, è presente anche nei lavori successivi: nella “Decollazione di San Giovanni Battista” (1608), realizzata da Caravaggio durante la sua permanenza a Malta, la scena risulta immersa nella penombra, accentuando ancora di più il terrore legato al cruento gesto.
7. Beato Angelico
Giovanni da Fiesole, detto il Beato Angelico o Fra Angelico (Vicchio, 1395 circa – Roma, febbraio 1455), fu un ponte di collegamento tra le nuove istanze rinascimentali e gli stilemi medievali. La sua formazione si svolse principalmente a Firenze, in cui apprese un uso dei colori in senso illuministico ed innaturale. Menzionato nei documenti fiorentini quattrocenteschi come pittore, i suoi punti di riferimento costanti furono Masaccio e Lorenzo Ghiberti. Esemplare del suo stile è “L’Annunciazione” (metà del ‘400), dipinto per il suo allora convento di Fiesole: strutturato in maniera tripartita, lo spazio è reso attraverso la prospettiva e una rappresentazione naturalistica dei soggetti. Fra Angelico, però, non rinunciò completamente agli elementi tardogotici, visibili, per esempio, nell’accurata decorazione della vegetazione.
8. Masaccio
Masaccio, soprannome di Tommaso di Ser Giovanni di Mòne di Andreuccio Cassài (Castel San Giovanni in Altura, 21 dicembre 1401 – Roma, giugno 1428), è considerato l’iniziatore del Rinascimento assieme a Donatello e Brunelleschi. La sua formazione artistica e culturale avvenne a Firenze; successivamente, si spostò anche a Pisa e Roma, dove morì a 27 anni. Per lo sviluppo del suo modus operandi, Masaccio partì dalla sintesi volumetrica di Giotto, la forza plastica di Donatello e la prospettiva brunelleschiana. Lo spessore dei corpi è visibile, per esempio, nella “Sant’Anna Metterza” (1424-1425): in particolare, la Madonna risulta come distanziata rispetto allo sfondo, dando un suggerimento di profondità spaziale. Oltre ai caratteri strutturali, Masaccio diede ai propri soggetti un’introspezione psicologica: ne “La cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre” (1425), facente parte degli affreschi della Cappella Brancacci, i due progenitori sono disperati per il gesto commesso e per le inevitabili conseguenze a loro riservate.
9. Piero della Francesca
Piero di Benedetto de’ Franceschi, noto ai più come Piero della Francesca (Borgo Sansepolcro, 1412 circa – Borgo Sansepolcro, 12 ottobre 1492) cominciò a studiare pittura molto giovane e si formò nella bottega dell’artista Domenico Veneziano, con cui realizzò affreschi per molte chiese di Firenze; in seguito, egli lavorò anche a Roma, Arezzo ed Urbino. Il suo stile riprende la solidità di Masaccio e la prospettiva brunelleschiana: in una delle sue opere più conosciute, “Il Battesimo di Cristo” (1442) è evidente l’equilibrio spaziale dato dal tronco d’albero sulla sinistra e l’uomo che si sta svestendo per ricevere il Battesimo sulla destra. Al 1460 risale un altro dei suoi capolavori più conosciuti, ossia “La Flagellazione di Cristo”: oltre ad un magistrale utilizzo della prospettiva, questo dipinto racchiude un mistero relativo all’identità dei personaggi presenti. Ad Urbino, Piero della Francesca fu autore del “Doppio ritratto dei Duchi di Urbino” (1465-1472 circa) e della “Pala Brera” (o Pala Montefeltro, 1472-1474): in entrambe le opere, il Duca Federico da Montefeltro è ritratto nel suo profilo sinistro, dal momento che aveva perso l’occhio destro.
10. Andrea Mantegna
Andrea Mantegna (Isola di Carturo, 1431 – Mantova, 13 settembre 1506) lavorò a lungo tra Mantova, Padova e Ferrara: proprio in territorio padovano, ebbe modo di vedere gli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni. Nel 1484 il marchese di Mantova Federico I Gonzaga gli concesse il titolo di cavaliere: fu in questo periodo che videro la luce “Il Cristo Morto” (1470-1474 circa oppure 1483 circa) e “Il San Sebastiano” (1480), due fra le sue opere più note. Le opere di Mantegna sono conosciute anche per le sue sperimentazioni sulla prospettiva e l’illusionismo spaziale: si pensi alla “Camera degli Sposi” (1465-1474), collocata nel torrione nord-est del Castello di San Giorgio di Mantova. L’interno della struttura venne affrescata in maniera tale da adeguarsi ai limiti architettonici, ma, allo stesso tempo, dare un’illusione di sfondamento delle pareti grazie allo strumento pittorico.
11. Tiziano
Tiziano Vecellio (Pieve di Cadore, 1488-1490 – Venezia, 1576) fu un importante esponente della scuola veneziana. A 9 anni si trasferì a Firenze e, successivamente, si formò presso la bottega di Giovanni Bellini, da cui imparò l’uso dei colori ad olio; grande amico di Giorgione, dopo la sua morte a causa della peste, egli terminò nel 1511 la “Venere di Dresda” (o Venere Dormiente); realizzò poi uno dei suoi dipinti più celebri e sensuali, ossia la “Venere di Urbino” (1538). Tiziano fu maestro del tonalismo, – o pittura tonale – tecnica pittorica veneziana atta a rendere una diversa percettibilità del colore, attraverso l’azione della luce sui corpi rappresentati. Il risultato è un dato cromatico puro e luminoso, quasi etereo: un esempio è “Amor Sacro e Amor Profano” (1515 circa), in cui l’uso raffinato dei colori è evidente. Nel 1516, il pittore venne nominato Pittore ufficiale della Serenissima, per la sua fedeltà alla Repubblica di Venezia: come ringraziamento, l’artista realizzò la “Pala Pesaro” (1519-1526), opera in cui è possibile ammirare tutta la potenza del colore e del dato espressivo.
12. Giorgione
Giorgione, pseudonimo di Giorgio Zorzi o Zorzo (Castelfranco Veneto, 1478 circa – Venezia, 17 settembre 1510), è anch’egli un importante esponente della scuola veneziana e del tonalismo. Non si sa molto della sua vita, se non che a lui possono essere attribuite con certezza 6 o 7 opere; trasferitosi giovanissimo a Venezia, si formò nella bottega di Giovanni Bellini, da cui apprese l’attento uso dei colori e della fusione dei toni. Caratteristica dei suoi dipinti è l’utilizzo dello sfumato, tecnica che gli consentiva di creare contorni soffusi e un ambiente armonico: notiamo questo elemento, per esempio, ne “La tempesta” (1506), in cui emerge anche una grande attenzione alla componente paesaggistica. Altra opera interessante di Giorgione è la “Pala di Castelfranco” (1502), dedicata al figlio scomparso del Cavalier Tuzio Costanzo. La Madonna poggia i piedi su un sarcofago e sembra che pianga per la dipartita del giovane; alla base, sono presenti San Francesco sulla destra e un’altra figura di ignota identità sulla sinistra.
13. Giovanni Bellini
Giovanni Bellini (Venezia, 1427 o 1430 circa – Venezia, 29 novembre 1516) fu un artista versatile, capace di condensare svariati stimoli artistici senza mai rinunciare alla propria tradizione. Nato in una famiglia di pittori, si interessò subito alle suggestioni provenienti da Mantegna, Piero della Francesca ed Antonello da Messina, cosa che rese il suo modo di dipingere più sinuoso e delicato; coltivò la sua intera carriera a Venezia, dove si formò presso la bottega del padre Jacopo. Elemento fondamentale delle sue opere è la luce: grazie ad esse, infatti, Bellini riteneva fosse possibile allargare ed umanizzare il contesto, concetto innovativo rispetto alla rigidità rappresentativa di gusto gotico. Tale attitudine è presente, per esempio, in opere come la “Trasfigurazione” (1455-1460 circa) e la “Pala di San Zaccari” (1505): in entrambe il colore è come se accarezzasse le superfici, rendendo i contesti religiosi quasi familiari ed umani.