Per quanto la carriera di Abel Ferrara possa contare su molti successi, il suo nome fa ancora oggi molta fatica a ottenere la celebrazione riservata a numerosi altri geni del cinema suoi coevi. Al regista di New York vanno attribuite alcune opere tra le più essenziali e ambiziose degli ultimi cinquant’anni di storia del cinema americano, drammi intimisti saturi di violenza e perversione, dall’animo hard-boiled, spesso “scenografati” nella città nativa di Ferrara.
Negli ultimi anni il cineasta ha abbracciato una poetica più decostruita e meditativa, lontana dal dipinto di antieroi repulsivi e lordura urbana dei primi lavori ma comunque non priva di scintillante tendenza alla sperimentazione. Vediamo più nel dettaglio quali sono i migliori film di Abel Ferrara, i più belli da vedere di un artista da riscoprire.
8. L’angelo della vendetta (1981)
La dicotomia stupro-vendetta è una costante nei film di exploitation. In questa categoria si potrebbe inserire pure L’angelo della vendetta anche se lo sguardo artistico impresso da Abel Ferrara risulta ben più ambizioso della media del filone. Zoe Lund è la vendicativa protagonista dell’opera, bramosa di infliggere una violenta punizione sugli uomini della Grande Mela. Le immagini che Ferrara regala sono sporche, provocatorie e grottesche; l’incedere delle vicende è incalzante, con la presenza della Lund che letteralmente buca lo schermo e smuove incendiari interrogativi morali. Il segmento finale, in cui Lund veste un abito da suora, anticipa la tensione di sacro e profano de Il Cattivo Tenente, assicurando al pubblico uno spettacolo in bilico tra coinvolgimento e disgusto che irretisce i sensi senza troppi complimenti.
7. The Driller Killer (1979)
La trama di questo thriller non va oltre la premessa: un ferocissimo assassino stermina le sue vittime a colpi di trapano. Alla sua uscita The Driller Killer venne massacrato dalla critica per la sua vivida violenza, mentre le sue ben più controverse sottotracce non vennero nemmeno prese in considerazione. Il secondo film di Abel Ferrara getta le basi per le successive indagini della fragilità maschile in contesti di totale miseria urbana. La storia tracima di rabbia, controcultura, frustrazione per le catene sociali; gli stilemi del giallo lasciano spazio a una sorta di surrealismo sfrenato e alienante; il montaggio è psichedelico e la fotografia piena di malsane sgranature. Non è difficile immaginare che la maggior parte dei successivi film sui serial killer, da Lo squartatore di New York di Fulci a American Psycho con Christian Bale, abbiano attinto anche da qui.
6. 4:44 Ultimo giorno sulla Terra (2011)
Coetaneo di Melancholia, 4:44 Ultimo giorno sulla Terra nobilita il tema dell’Apocalisse e taglia su misura per esso un abito più politico e artistico. In questo dramma fantascientifico livido e minimale, Willem Dafoe e Shanyn Leigh interpretano una coppia di artisti che si barricano nella propria casa a New York in attesa della fine del mondo. La fotografia è straordinariamente limpida nella sua palette gelidissima, ma ancor più terso è l’intento di Abel Ferrara: riflettere l’impatto psicologico ed emotivo di una società conscia dell’imminente catastrofe. L’asciuttezza registica denuda i fantasmi della perdizione e trasferisce ogni singolo impulso emotivo allo spettatore, alienato dalle luci della città e dall’incombenza del fato. Una grande opera meditativa.
5. Siberia (2019)
L’ultima fase della carriera di Abel Ferrara (con l’eccezione del dozzinale Pasolini) brilla di un’estetica nitidissima e di un’anima intimista, nel caso di Siberia persino esplosiva nelle sue implicazioni oniriche. Il film vede nuovamente Willem Dafoe come alter ego della personalità registica, e trova vera ragion d’essere nella sua efficace anticonvenzionalità. La narrativa volutamente anarchica e confusa, la struttura labirintica tendente alla simbologia, la scelta di un mutevole paesaggio naturale al posto dell’onnipresente agglomerato urbano… tutto avvalora l’iconoclastia degli stimeli ferrariani, in nome di un trip lisergico che frammenta lo spazio e le personalità dei personaggi. Non facile da seguire e assimilare, ma assolutamente accattivante. Unico difetto: l’orripilante doppiaggio italiano.
4. Fratelli (1996)
Scordatevi Il Padrino o Quei bravi ragazzi. In Fratelli la cornice criminale è solo un pretesto per narrare la disgregazione familiare generata dagli assolutismi. Se non ci si lascia intimidire dalla lentezza del racconto, ciò che più impressione è l’iperrealismo della vicenda. Il fatto che tutto il film sia ambientato di notte accresce a dismisura la sensazione di crescente claustrofobia; i temi di espiazione e vendetta esplodono con stile scoppiettante a suon di risvolti comprensibili e motivati. Un film molto profondo, un viaggio disinvolto in una pagina complessa e polimorfa della storia americana, le cui tormentate emozioni prendono vita grazie alla partecipazione di divi quali Christopher Walken, Chris Penn, Vincent Gallo, Isabella Rossellini e Benicio Del Toro.
3. King of New York (1990)
Assieme a Harvey Keitel, il Premio Oscar Christopher Walken è colui che meglio ha filtrato le urgenze tematiche ed estetiche del cinema ferrariano degli Anni Novanta. King of New York è un gangster movie realmente degno dell’etichetta di cult, caratterizzato da un’atmosfera dark e crepuscolare, dove i confini tra giustizia e criminalità non sono affatto definiti. Ferrara gioca bene le carte del genere declinato in chiave post-moderna (le accelerazioni dell’azione, i colori saturi, la musica elettronica), e confeziona un ottimo prodotto mainstream, ben calibrato sia nelle sue parti introspettive sia nelle improvvise esplosioni di violenza. I meccanismi del tentacolato potere criminale si intrecciano con naturalezza all’intimità di relazioni umane mosse da desideri viscerali. Il cast è straordinario (oltre a Walken figurano Lawrence Fishburne, David Caruso e Steve Buscemi) e il risultato finale non fa rimpiangere gli highlights della New Hollywood.
2. The Addiction (1995)
Una volta il buon Federico Frusciante disse “Togli i soldi al regista horror, e meglio sarà il film”, e vedendo The Addiction non si può che essere d’accordo con lui. Ben incanalato nel filone vampirico revisionista degli Anni Novanta (basti pensare a Vampyres di Carpenter, Intervista col vampiro di Jordan e Dal tramonto all’alba di Rodriguez), il film di Abel Ferrara è un’affascinante esplosione di sangue e deliri filosofici, una riflessione metafisica sul Male come forma di dipendenza a cui le creature del mondo non possono fare a meno. L’intransigente grettezza stilistica e le impressionanti riprese in bianco e nero in 35 mm si accompagnano alle performance smaglianti, stilosissime di Christopher Walken e Lili Taylor. Un film di gran valore, reso ancor più significativo dal fatto di anticipare la vittoria del regista sulle proprie dipendenze.
1. Il Cattivo Tenente (1992)
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Chiudiamo il nostro excursus con Il Cattivo Tenente, forse è il film più famoso di Abel Ferrara, nonché la miglior prova recitativa di un mostro sacro quale Harvey Keitel. Un’opera quasi scorsesiana per come inscena il balletto tra sacralità e immoralità, solo più scontrosa, ai limiti dell’osceno e dell’art-trash. Nei panni del personaggio del titolo, Keitel dà corpo alla rappresentazione fisica definitiva dell’impulso autodistruttivo, uno sbirro corrotto da droga e gioco d’azzardo che abusa del suo potere mentre dà la caccia a criminali e stupratori mostruosi quanto lui. È dura assumere un punto di vista così scomodo e disgustoso senza provare repulsione per ciò che si guarda, così come ugualmente straniante è aggirarsi tra le strade di una New York repellente che fa apparire un parco dei divertimenti la sua corrispettiva di Taxi Driver.