Il rapporto tra la Formula 1 e l’Ungheria ha avuto inizio nel 1986. Nonostante il circuito dell’Hungaroring (4.381 metri di lunghezza che si sviluppano nella zona di Mogyoród, a circa 25 km da Budapest) non regali tradizionalmente sorpassi e spettacolo a causa della sua sede stradale relativamente stretta e di un disegno parecchio tortuoso, diverse gare celebrate sul suolo magiaro hanno scritto pagine importanti della storia dell’automobilismo, soprattutto in edizioni più datate. Qui ha vinto per undici volte la McLaren, in sette circostanze Ferrari e Williams e in cinque la Mercedes; come piloti, sono otto i successi firmati da Lewis Hamilton, il quale ha nettamente staccato nell’albo d’oro Michael Schumacher (quattro) e Ayrton Senna (tre).
Dopo i veleni e le polemiche che hanno contraddistinto il recente Gran Premio di Gran Bretagna, vinto da Hamilton su Leclerc in seguito ad un incidente al via tra il pilota della Mercedes e il leader del campionato Verstappen (speronato dal britannico, poi penalizzato di dieci secondi dai commissari della FIA), la Formula 1 così imprevedibile della stagione in corso sbarca nuovamente in Ungheria in vista di una gara che si preannuncia infuocata (e non solo per le alte temperature climatiche, tipiche delle colline ungheresi agostane). Prima, però, compiamo un passo indietro per andare a riscoprire cinque indimenticabili gare storiche all’Hungaroring.
1. Il duello Piquet-Senna (1986)
Nella prima edizione del GP d’Ungheria, sotto un sole cocente e un caldo torrido, va in scena uno dei duelli più duri ed emozionanti del campionato 1986. In pole scatta il giovane Ayrton Senna su Lotus-Renault, seguito dalla più performante Williams-Honda del connazionale Nelson Piquet. Dietro di loro Alain Prost (McLaren-TAG Porsche), Nigel Mansell sulla seconda Williams e l’altra McLaren con Keke Rosberg; nettamente staccate le Ferrari.
Già dalla partenza, la gara prende una direzione molto chiara: sarà una sfida tra alfieri brasiliani. Piquet, già due volte campione del mondo (1981 e 1983) ma da troppi osservatori bollato come ormai “superato”, vuole lottare (anche grazie a una vettura molto competitiva che gli regalerà il terzo titolo l’anno seguente) per dimostrare di essere il fuoriclasse che tutti hanno ammirato a inizio decennio. Davanti a lui, però, Senna vuole confermare quanto mostrato nelle due stagioni d’esordio, ed è ormai pronto per battagliare stabilmente nelle prime posizioni in ogni gara.
Entrambi già vittoriosi in due circostanze nella stagione ’86, fuggono in testa alla corsa senza che gli altri piloti possano opporre resistenza. Piquet, però, mostra di possedere una velocità certamente superiore a quella di Senna, che cerca di difendersi in ogni modo, sfruttando la tortuosità del tracciato per allungare nelle curve e contenere chiudendo la traiettoria sul rettilineo principale. Proprio qui Piquet cerca di affondare, fallendo però la staccata nel tornante verso destra. Al secondo tentativo, l’esito sarà differente. Piquet segue a debita distanza Senna uscendo dall’ultima curva, prende la scia sul rettilineo, scarta verso sinistra portandosi in staccata sull’esterno, per poi sfoderare una sbandata controllata intraversando pericolosamente. Verso la seconda curva, a favore di traiettoria, Piquet stavolta mantiene la posizione e si invola verso una meritata vittoria, con Senna che chiuderà alle sue spalle, precedendo a sua volta Mansell. Un sorpasso storico che ha espresso la grandezza di un grande pilota, primo a vincere in Formula 1 all’Hungaroring.
2. Damon Hill, l’atroce beffa (1997)
Contraddistinto da un carattere spesso scontroso e da una testardaggine che ne ha condizionato la carriera, dopo aver vinto il campionato 1996 Damon Hill lasciò la Williams-Renault per passare alla promettente scuderia Arrows-Yamaha. I risultati furono, però, scadenti: la vettura si rivelò disastrosa e il pilota britannico comprese ben presto che non sarebbe stato possibile difendere il numero 1 sulla sua livrea.
Mentre la sfida al vertice tra la Ferrari di Michael Schumacher e la Williams di Jacques Villeneuve sta per raggiungere l’apice in vista del finale di stagione, l’appuntamento ungherese sembra però poter regalare un’opportunità alla cenerentola Arrows, grazie agli pneumatici Bridgestone che già dalle prove mostrano di poter fornire una migliore perfomance e una maggior durabilità rispetto alle Goodyear montate dalle scuderie di vertice. In qualifica, comunque, il tedesco e il canadese monopolizzano la prima fila, con Hill che guadagna la terza posizione.
In gara, Schumacher scatta bene e mantiene la vetta, mentre Villeneuve viene scavalcato dallo stesso Hill, dall’altro ferrarista Irvine e dalla McLaren di Hakkinen. Di lì a poco, però, inizierà la crisi dei gommati Goodyear: andrà in difficoltà anche Schumacher, che verrà superato da Hill e sarà costretto a risalire. La girandola delle soste favorirà così la Arrows del britannico, che condurrà la gara agevolmente mantenendo a distanza le Williams. Una di queste, guidata da Frentzen, sarà costretta al ritiro dopo un inconveniente ai box con il sistema di rifornimento; quella di Villeneuve, invece, non sembra rappresentare un ostacolo insormontabile nonostante una poderosa rimonta. A meno di tre tornate dal termine, però, accadrà l’imponderabile: Hill verrà costretto a rallentare la propria andatura a causa di un guasto alla pompa idraulica, che ha bloccato l’acceleratore ed il cambio in terza marcia. Così, Villeneuve (ex compagno di squadra del britannico) riuscirà a colmare il gap e va a vincere, beffando la Arrows e il malcapitato Hill, che dovrà rinviare i suoi propositi di rivincita chiudendo secondo. Damon otterrà soltanto un altro successo in Formula 1, in occasione del GP del Belgio 1998 con la scuderia di Eddie Jordan.
3. Il sigillo di Schumacher nel tripudio della Ferrari (2004)
Esiste la vettura da corsa perfetta? La risposta non è affatto semplice ma, a ben vedere, la F2004 si avvicina moltissimo a tale definizione. La macchina che ha contraddistinto la quinta stagione consecutiva del dominio di Maranello in avvio del nuovo millennio è stata capace di ottenere successi e tempi record a ripetizione, frutto di un’aerodinamica straordinaria, di un’eccezionale potenza e del binomio perfetto con gli pneumatici della Bridgestone, partner del Cavallino già dal 1999.
Tranne in occasione del GP di Monaco (vinto da Jarno Trulli su Renault), i primi dodici appuntamenti della stagione avevano celebrato undici trionfi della Ferrari e altrettanti di Michael Schumacher, lanciato verso il settimo titolo iridato della propria carriera. Il weekend ferragostano all’Hungaroring non farà eccezione: prima fila tutta rossa con il tedesco davanti al compagno Rubens Barrichello, e Renault, Williams-BMW, BAR-Honda e McLaren-Mercedes ad inseguire. In gara, dopo una buona partenza, Schumi e il brasiliano condurranno senza particolari difficoltà fino al termine, con Fernando Alonso a concludere il podio per la scuderia della Losanga. Il successo in Ungheria decreta la conquista del sesto titolo costruttori consecutivo per la Ferrari (quattordicesimo in totale) con ben cinque gare d’anticipo. Tempi purtroppo lontani che tutti i tifosi del Cavallino vorrebbero tornare a rivivere…
4. Hamilton vs Alonso: c’è posto solo per uno (2007)
Dopo il biennio targato Alonso e Renault, al campionato del mondo 2007 di Formula 1 torna a rivivere un classico intramontabile: la sfida tra McLaren e Ferrari. La scuderia di Woking poteva schierare proprio l’iridato asturiano e il giovane emergente più promettente, il ventiduenne britannico Lewis Hamilton; il Cavallino, dopo il ritiro di Micheal Schumacher, si presentava invece con Felipe Massa e Kimi Raikkonen.
Una sfida appassionante ed equilibrata, con le due squadre a dividersi di fatto i successi tra un GP e l’altro, con il nome del vincitore a cambiare. Nei primi dieci appuntamenti, erano tre le affermazioni di Raikkonen e Alonso, due quelle di Hamilton e Massa. Ma uno scandalo sconquassò la Formula 1 a metà stagione: la Ferrari accusò uno dei suoi tecnici di punta, Nigel Stepney, di aver deliberatamente sabotato le vetture nel weekend di Montecarlo a maggio e di aver trafugato centinaia di pagine contenenti progetti a un rappresentante della McLaren, la quale avrebbe poi utilizzato i preziosissimi dati a proprio favore. Mentre la questione divampava e si sarebbe risolta solo nel settembre successivo (con la condanna della scuderia britannica in seconda sentenza con la quale sarebbe stata estromessa dal campionato costruttori e multata per 100 milioni di dollari), il GP di Ungheria si poneva come tappa intermedia prima del rush finale del mondiale. Mentre in casa Ferrari regnava l’armonia e il nervosismo veniva ben nascosto dalla squadra, dalle parti di Woking la situazione stava diventando incandescente, con il team principal Ron Dennis alle prese con la rivalità tra il campione affermato (Alonso) e il giovane fenomeno che scalpitava sempre di più (Hamilton). Lewis, favorito di Dennis e dell’intera scuderia, sapeva che presto o tardi sarebbe diventato il capitano sul quale la McLaren avrebbe puntato, a discapito dello spagnolo che aveva ormai compreso di essere più un sopportato che un supportato.
L’episodio passato agli annali e che avrebbe determinato una svolta (favorendo indirettamente la Ferrari) si verificò proprio nel sabato di qualifiche all’Hungaroring. La strategia della McLaren sembrava voler puntare decisamente su Alonso, e questo non fu ben accettato da Hamilton. Così, già nelle prime eliminatorie che stabilivano i dieci piloti che si sarebbero giocati la pole position, apparvero evidenti delle scaramucce e delle provocazioni tra i due. Nella Q3, la sessione decisiva, accadde l’incredibile: Alonso comprese come le gomme più morbide (e quindi più prestazionali sul giro da qualifica) che credeva fossero destinate a lui sarebbero state montate sulla macchina di Hamilton, lasciandogli come unica scelta delle coperture a mescola dura e usate. Questa scelta scatenò la rabbia dello spagnolo, che ebbe un confronto stizzito via radio con i box e, per tutta risposta, si piantò sulla piazzola di sosta per un tempo molto più lungo del previsto, rallentando volontariamente Hamilton che dovette attendere in coda perdendo del tempo prezioso, tanto da veder rovinata la possibilità di ottenere la pole.
A consegnare la partenza al palo al pilota britannico furono comunque i commissari della FIA, che dopo le prove ufficiali sanzionarono Alonso con cinque posizioni di penalità. In gara, Hamilton conquistò la vittoria precedendo sul podio la Ferrari di Raikkonen e la BMW-Sauber di Nick Heidfeld. Alonso, quarto, prese atto che era ormai esplosa una guerra dentro i box, dalla quale a fine stagione sarebbe uscito sconfitto.
5. La resistenza di Vettel (2017)
L’era turbo-ibrida aveva, nelle prime tre stagioni (2014-2016), perfettamente rispecchiato le aspettative della scuderia Mercedes, tornata in grande stile in Formula 1 dopo anni soltanto da motorista (per McLaren) ma con la pretesa di ottenere, presto o tardi, dei risultati conseguenti agli sforzi economici realizzati dalla casa di Stoccarda (con sede sportiva a Brackley, in Inghilterra).
Quella del 2017 fu però una stagione di relativa svolta. La Ferrari, pur in colpevole ritardo, aveva finalmente compreso la direzione dello sviluppo tecnico da seguire e presentato una vettura competitiva, la SF70H. Come terzo incomodo, sempre presente la Red Bull Racing (motorizzata Renault). Così, con i trionfi in Australia, Bahrain e Monaco, il Cavallino tornò a mettere pressione sulla Mercedes e, sebbene le prospettive di vittoria in campionato fossero ancora non pienamente realizzabili, si intravide la possibilità di competere al massimo livello.
L’undicesimo appuntamento stagionale in Ungheria confermò tutte le qualità della monoposto di Maranello: passo corto del telaio, grande carico aerodinamico, buona gestione degli pneumatici e precisione in ingresso di curva, abbinata a una buona guidabilità. Caratteristiche ideali per l’Hungaroring e, infatti, la prima fila nelle qualifiche venne conquistata da Sebastian Vettel e da Kimi Raikkonen, che precedettero le due Mercedes di Bottas e Hamilton e le Red Bull di Verstappen e Ricciardo. In gara, ottima la partenza delle Ferrari, con le “lattine blu” che sopravanzarono il britannico delle Frecce d’argento; ma un contatto successivo tra le due Red Bull metterà fuori gara l’australiano, consentendo il recupero di Hamilton. Dopo l’ingresso della Safety Car e la ripartenza, Vettel sembrava poter gestire agevolmente la corsa ma, prima della sosta programmata attorno il trentesimo passaggio, il tedesco iniziò a lamentare dei problemi allo sterzo, che gli impedivano di guidare al meglio, mettendolo in difficoltà in diversi punti del tracciato.
Ma, grazie a una strenua resistenza di Sebastian, capace di guadagnare in allungo e di limitare in appoggio di curva, e alla difesa di Raikkonen, che da dietro rintuzzò gli attacchi prima di Bottas e poi di Hamilton, la Ferrari riuscì ad ottenere una straordinaria doppietta: quarto successo stagionale e vittoria di squadra come nella miglior tradizione del Cavallino Rampante. Successivamente, il campionato di Formula 1 avrebbe preso nuovamente la direzione della Mercedes: ma la Rossa di quell’annata sarebbe stata ricordata a lungo per il coraggio e l’ardente desiderio di riscatto.