I say the right things but act the wrong way
I like it right here but I cannot stay
I watch the TV, forget what I’m told
Well, I am too young and they are too old
«[…] l’album di debutto degli Strokes è puro rock & roll newyorkese: tutta l’aggressività da marciapiede avvolta in elegante pelle nera». Nella recensione di Is This It pubblicata da Rolling Stone l’11 ottobre 2001, gli Strokes vengono definiti senza mezzi termini «la miglior giovane rock band in America»: non si tratta dell’iperbole di una singola rivista, ma di una delle innumerevoli voci del plauso generalizzato con cui viene accolto il disco d’esordio del gruppo. È il 30 luglio 2001 quando Is This It fa la sua prima comparsa nei negozi in Australia, e contemporaneamente viene reso disponibile per l’ascolto sul web: il mondo, del resto, sta entrando a tutti gli effetti nell’era di internet, e anche l’industria discografica deve iniziare a tener conto di questa nuova realtà. Un mese più tardi, il 27 agosto, gli Strokes daranno l’assalto al Regno Unito, dove Is This It si piazza al secondo posto in classifica, mentre gli Stati Uniti dovranno aspettare il 9 ottobre per l’uscita dell’album. E nel frattempo, ovviamente, qualcosa è cambiato.
La New York post-punk degli Strokes
Perché Is This It è anche una celebrazione di New York, vista e vissuta dalla prospettiva di cinque ragazzi di età compresa fra i venti e i ventidue anni: i newyorkesi Julian Casablancas (cantante e principale autore dei pezzi), Nick Valensi (chitarra) e Nikolai Fraiture (basso); il losangelino Albert Hammond Jr (chitarra), figlio d’arte del compositore Albert Hammond; e l’italo-brasiliano Fabrizio Moretti (batteria), nato a Rio de Janeiro ma newyorkese d’adozione. Nel melting pot della Grande Mela, tre anni prima i cinque ragazzi avevano cominciato a suonare insieme, ispirandosi in parte al garage rock degli anni Sessanta, in parte al punk e al post-punk di band storiche come gli Stooges, i Ramones e i Television, da cui gli Strokes non esitano a riprendere influssi musicali, ma anche look e atteggiamenti. Is This It, dato alle stampe a sei mesi di distanza dal loro EP The Modern Age e spalleggiato da una grande etichetta quale la RCA Records, in fondo è proprio questo: un album nel segno della nostalgia, un inno al revival di un genere i cui splendori risalivano a vent’anni prima.
Mentre i Radiohead, con il dittico formato da Kid A e Amensiac, stavano spingendo il rock verso territori inediti, secondo un approccio sempre più sperimentale, gli Strokes si lanciano in direzione opposta: Is This It, con le sue undici canzoni spalmate su appena trentasei minuti, punta sulla vitalità e l’immediatezza di melodie che si stampano in fretta nella memoria degli ascoltatori, sull’energia incalzante delle basi ritmiche e su sonorità che appaiono quasi grezze. Il senso di spontaneità che pervade tutto l’album è ricalcato non a caso pure dai quattro video realizzati dal regista Roman Coppola per la promozione dei singoli di Is This It, in cui scene di vita quotidiana dei cinque ragazzi si alternano a semplici spezzoni di esibizioni sul palco. E Julian Casablancas, frontman e leader degli Strokes, si presenta con il viso incorniciato da una massa di capelli scuri alla Mick Jagger, mentre il suo modo di cantare ricorda un po’ l’ironia beffarda (e con una punta di nevrosi) di Tom Verlaine o di Lou Reed.
L’alba del millennio e l’ultima età dell’innocenza
Se però, nelle canzoni dei Velvet Underground o dei Television, gli affreschi notturni di New York si coloravano di elementi simbolici e dettagli onirici, gli Strokes mantengono una maggiore aderenza al reale: gli irresistibili brani di Is This It, dalla title track in apertura all’epilogo di Take It or Leave It, con il suo ritornello ossessivo, si focalizzano su temi quali la natura precaria ed effimera delle relazioni o su una spensieratezza offuscata di rimpianto, magnificamente espressa in Someday («I’m working so I won’t have to try so hard/ Tables, they turn sometimes/ Oh, someday I ain’t wasting no more time»). Quella evocata nell’album è la stagione di una “età dell’innocenza” e di un commiato dall’adolescenza, in cui perfino le pretese di lust for life, per dirla alla Iggy Pop, sono ricoperte da una patina di noia e di svogliatezza: «Life seems unreal, can we go back to your place?/ Oh, ‘You drink too much’ makes me drink just the same», recita Casablancas in Alone Together.
«Well, I’ve been in town for just about fifteen minutes now/ And baby, I feel so down and I don’t know why/ I keep walkin’ for miles» è invece il lamento pronunciato in Last Nite, altro cavallo di battaglia della band insieme alla strepitosa Hard to Explain, scelta come singolo di lancio dell’album. Ma, dicevamo, dal debutto di Is This It fra Australia ed Europa all’arrivo negli Stati Uniti, qualcosa è cambiato: l’11 settembre ha deturpato irrimediabilmente il volto dell’amata New York e aperto una fase storica nuova e inaspettata. Per la release statunitense, New York City Cops viene sacrificata all’ultimo minuto e rimpiazzata da When It Started (gli Strokes rinunceranno inoltre alla sensuale copertina con il profilo di una natica femminile), e paradossalmente proprio in America il successo del disco sarà più lento e graduale, superando comunque il milione di copie vendute. Costantemente in cima alle liste dei migliori album del decennio (primo nella classifica di NME, secondo in quella di Rolling Stone), Is This It non resterà un fuoco di paglia, ma si sarebbe guadagnato un posto di rilievo fra i dischi che, vent’anni fa, hanno segnato il panorama musicale all’alba del terzo millennio.