Sticky Fingers, uno dei dischi più famosi dei Rolling Stones, compie 50 anni. Usciva infatti in Gran Bretagna il 23 aprile del 1971 (negli Stati Uniti sarebbe uscito il primo maggio) e, come spesso accadeva quando si parla della band di Mick Jagger e Keith Richards, non lasciò nessuno indifferente. Merito della musica: è il disco di Brown Sugar, di Wild Horses. Can’t You Hear Me Knocking e Sister Morphine. Ma è merito anche della copertina del disco, una delle più celebri e discusse della storia della musica rock, creata ad arte per colpire e far discutere da quel genio della Pop Art che era Andy Warhol. Non era la prima volta che Warhol si cimentava nella confezione delle cover di un album, e non sarebbe stata l’ultima. In alcuni casi ha fatto letteralmente la storia di quei dischi, contribuendo ad alimentarne la leggenda. In altri casi la sua presenza all’art direction è meno nota. E non tutti sanno che ha avuto anche a che fare con la musica pop di casa nostra. Ecco allora quali sono le copertine di Andy Warhol storiche, le cover più particolari che ricorderemo.
The Velvet Underground & Nico (The Velvet Underground)
Andy Warhol ha fatto la storia del rock la prima volta con The Velvet Underground & Nico, il disco d’esordio della band di Lou Reed, del 1967. Warhol aveva voluto diventare il manager della band dopo averli visti suonare al Cafè Bizarre del Greenwich Village, a New York, ed era stata sua l’idea di far entrare nella band la cantante tedesca Nico. Intorno a loro aveva costruito la performance multimediale Exploding Plastic Inevitable, una formula che anticipava un nuovo modo di vivere i concerti: non solo musica, ma anche immagini. Ed è quello che è, grazie alla sua copertina, il famoso disco. È pura pop art alla Warhol: un oggetto di tutti i giorni, una banana, come lo era quella lattina di zuppa Campbell’s, che grazie all’arte viene elevata allo status di icona. La buccia di banana è formata da un adesivo, con una linguetta alla sommità, e il famoso invito, “peel slowly and see”, scritto sulla copertina: solleva lentamente e vedi (cosa c’è dietro). Warhol aveva pensato alla cover come a un lavoro autonomo, qualcosa di completamente slegato dai contenuti e dal suono della band: il loro nome non appare sulla copertina, che è firmata solo da Warhol. In quel momento era lui ad essere conosciuto, non la band. E fu proprio il nome di Warhol a lanciare il disco. Per la sua copertina, e per la sua musica, ovviamente, sarebbe diventato uno degli album più famosi della storia.
Sticky Fingers (Rolling Stones)
Sticky Fingers dei Rolling Stones, del 1971, è l’altro grande colpo di Andy Warhol nella storia della musica rock. Quella del disco di Jagger e soci è una cover ancora più provocatoria. Su fronte e retro della copertina c’è un primissimo piano di un uomo in jeans attillati, ripreso proprio all’altezza del bacino. E in corrispondenza della chiusura dei jeans c’è una vera zip. La busta che contiene il disco, all’interno, è una foto della stessa zona in biancheria intima. Anche qui l’idea – che l’artista aveva proposto a Mick Jagger a una festa – era slegata dalla band: Warhol l’aveva immaginata come poster per un suo film, Lonesome Cowboys. Ma l’idea era perfettamente in sintonia con quella reputazione iconoclasta e maledetta che la band si era costruita. “Il packaging più sexy e originale in cui sia mai stato coinvolto” lo definì Mick Jagger. La zip però era un problema, perché rischiava di rovinare il vinile: nonostante del cartone per rinforzare le copertine, alcune copie vennero danneggiate. E allora si decise di lasciare la zip aperta. Come si può immaginare, non mancarono le polemiche: in America molti negozi decisero di non vendere l’album a causa della copertina. E in Spagna, dove vigeva ancora il regime di Franco, fu messa al bando dalla Chiesa Cattolica, e sostituita con un’altra cover: una lattina da cui spuntavano delle dita…
Made In Italy (Loredana Bertè)
Se parliamo di artisti provocatori per natura, e guardiamo all’Italia, non possiamo non pensare a Loredana Bertè. Sì, è lei l’artista italiana che è riuscita a farsi disegnare una copertina da Andy Warhol. L’occasione è stata il suo disco Made In Italy del 1981. È un lavoro molto diverso da quelli più noti di Andy Warhol. Al centro c’è una foto in un bianco e nero molto contrastato, un intenso primo piano della cantante. La risposta sta nel fatto che si tratta di un lavoro più della Factory, e del fotografo Christopher Markos, che di Andy Warhol, che ha comunque coordinato e firmato il progetto. Tutto nacque nel 1978: Loredana Bertè viveva a New York (ci passò un anno e mezzo), e conobbe Warhol in un negozio di Fiorucci, un nome storico della moda italiana. A proposito, il retro della copertina è una bandiera italiana, e nella copertina interna figurano delle mappe di Napoli, Roma e della metro di Milano. La Factory di Warhol girò anche il video di una canzone, Movie.
Menlove Ave. (John Lennon)
Non tutti sanno che Andy Warhol curò la copertina di un disco di John Lennon. Ma si tratta di Menlove Ave., del 1984, un disco postumo di John Lennon, che non fa parte della discografia ufficiale. È un disco di registrazioni inedite all’epoca. Yoko Ono, su richiesta della Capitol Records, lavorò alla supervisione dell’artwork e si rivolse ad Andy Warhol. Tirò fuori due foto di Lennon dalla sua collezione personale. E Warhol realizzò due ritratti virando il volto dell’artista sul rosso. Andy Warhol e John Lennon erano molto amici. È anche per questo che la copertina è uno dei lavori più intimi dell’artista: il senso della perdita per l’amico è rappresentato dallo sfondo nero e da quei bagliori arancioni sul suo volto, che evocano le luci delle fiaccolate avvenute in tutto il mondo alla notizia della sua morte.
The Smiths (The Smiths)
Poco nota, e anche lontana dallo stile che tutti siamo soliti associare a Andy Warhol, è la collaborazione con la band di Morrissey e Johnny Marr. L’occasione è stata l’uscita di The Smiths, l’omonimo disco d’esordio del 1984. È una copertina molto sobria. È infatti più legata al cinema che alla pittura di Warhol. Anche in questo caso si tratta di un’opera non creata direttamente da lui, ma è tratta da una fotografia di un film della Factory. È una foto in bianco e nero di Joe Dallesandro, star del film Flesh, prodotto da Andy Warhol e diretto da Paul Morrissey nel 1968. Molti anni dopo il suo quasi omonimo, Peter Morrissey, leader degli Smiths, scelse una foto. Ma ne fu utilizzata solo una parte: in quella mancante si vedeva un uomo praticare una fellatio a Joe.