Il 13 Marzo 2009 usciva in Italia “Gran Torino”, film che segnava, a 5 anni da Million Dollar Baby (2004), il ritorno di Clint davanti alla macchina da presa, nonché il riaffacciarsi di un personaggio, Walt Kowalski, che in un certo senso ne ricapitolava molti altri dei precedenti. Va detto che in seguito le apparizioni attoriali di Eastwood si sono diradate sempre più: lo avremmo ritrovato soltanto nel 2012 con Di nuovo in gioco (regia di Robert Lorenz), nel 2018 con The mule – Il corriere (diretto dallo stesso Clint) e infine, a 90 anni suonati, con Cry Macho, di cui stiamo attendendo ancora l’uscita. Approfittando di questa ricorrenza vorremmo però concentrarci su 10 film meno conosciuti di Clint Eastwood da recuperare (più un jolly), sui suoi titoli meno celebrati dai media ufficiali. Non tratteremo dunque i capolavori con cui è stato riconosciuto dal gotha cinematografico mondiale (da Gli spietati [1992] a Mystic River [2003], da Un mondo perfetto [1993] a Million Dollar Baby [2004] e Lettere da Iwo Jima [2007]) ma seguiremo un percorso alternativo, facendoci trascinare dalla nostra passione eastwoodiana attraverso piccole e grandi pellicole che, come vedremo, sono state altrettanto importanti nel costruire la poetica e la statura di Eastwood autore-attore.
Includeremo anche alcuni film di cui Clint è stato solo interprete perché, a partire dalla fondazione nel 1967 della sua casa di produzione Malpaso con il western Impiccalo più in alto (1968, Hang’em high, diretto da Ted Post), ogni pellicola in cui egli abbia recitato ha sempre risentito del suo marchio di fabbrica. In particolare, dopo i due film di guerra girati da Brian G. Hutton (Dove osano le aquile [1969] e I guerrieri [1970]) che furono prodotti da altri, Clint attore ha sempre e solo partecipato ad opere coerenti al suo percorso filmico, autoriale e attoriale, puntualmente anche nelle vesti di produttore. Il controllo di qualsiasi progetto in cui fosse coinvolto è sempre stato fondamentale ed è per questo che, anche in quei film in cui lo ritroviamo solo come interprete e produttore, si avverte la sua mano, o comunque sono perfettamente collocabili all’interno del suo percorso artistico. Come vedremo ci sono tante piccole perle da riscoprire nella filmografia di Clint, ben prima che la critica ufficiale lo celebrasse per Gli spietati (Unforgiven) o che le signore si appassionassero per la (bellissima e struggente) storia d’amore de I ponti di Madison County (1995). Segnaleremo i casi in cui si tratta di film non diretti da Eastwood.
1. Il texano dagli occhi di ghiaccio (1976, The outlaw Josey Wales)
La parabola del ribelle Josey Wales, sebbene amata dagli eastwoodiani Doc e già apprezzata dalla critica, merita comunque di essere inserita in questa classifica, perché si tratta di una delle sue opere più personali e riuscite, comunque non troppo nota al grande pubblico rispetto ai successivi, nonché maggiormente celebrati, western Il cavaliere pallido del 1985 (‘scoperto’ dalla critica francese) e Gli spietati, premiato con l’Oscar nel 1993. Ambientato alla fine della guerra di secessione Il texano dagli occhi di ghiaccio vede il nostro, sfuggito ad alcune truppe nordiste (guidate dal crudele e fanatico capitano Terrill) che hanno massacrato la sua famiglia, darsi alla macchia con alcuni ribelli sudisti, diventando l’uomo più ricercato dei territori del Missouri e del Texas. Dopo una finta amnistia, durante la quale faranno fuori i suoi compagni, Josey si metterà in viaggio, raccattando lungo la strada i personaggi più improbabili: una ragazza indiana ‘proprietà’ del un crudele possessore di uno spaccio, un cane randagio, una anziana e bisbetica signora con la giovane nipote (Sondra Locke poi compagna di vita del regista), fragile e sperduta, infine un capo indiano, Lone Waite, cacciato dalla propria terra, la cui tribù è stata ‘civilizzata’ dai bianchi. Come conseguenza di questa ‘civilizzazione’ il nativo americano manca totalmente del famigerato sesto senso, tipico secondo lo stereotipo dei nativi americani, che gli permetterebbe di avvertire gli agguati in anticipo e infatti, al primo incontro, si troverà improvvisamente sotto il tiro di Wales. Questo elemento sarà motivo di numerose gag nel corso della vicenda. E’ possibile già intravedere in questo film come Eastwood giocasse in modo ironico e intelligente con gli stereotipi razziali, cosa che poi è stata portata al massimo grado in Gran Torino (2009). Con questi compagni di avventura Wales fonderà una sorta di idilliaca ‘comune’ in una fattoria, ma il passato tornerà a tormentarlo.
Fotografato con chiaroscuri più da noir che da film western, grazie al sodale Bruce Surtees, che trovò una pellicola ad alta velocità la quale consentiva di ottenere dei neri davvero profondi (altro che i nostri maxi-schermi digitali) ma di cui non si producevano quasi più rulli. Clint fece infatti comprare tutti quelli che trovarono. Le musiche di Jerry Fielding, con quei tamburi da guerra che rimandano alle sonorità de Il mucchio selvaggio (1969) di cui pure compose la colonna sonora, danno la giusta atmosfera. Il texano sembra riproporre il personaggio del pistolero reso celebre dai film di Leone e proseguito con Lo straniero senza nome (1973) ma in realtà ne costituisce una significativa evoluzione. In questo caso il nostro ha un passato e una famiglia da vendicare ma, soprattutto, comincia a venire maggiormente fuori quella filosofia anarchico-individualista che caratterizzerà tutta la filmografia di Eastwood e che lo vede insofferente alle regole e ai poteri costituiti, quando questi diventano oppressivi e tirannici, o burocraticamente stritolanti. La comune costituita da Wales è proprio l’esempio di quella società ideale di cui i personaggi eastwoodiani si fanno di volta in volta ambasciatori.
Con Il texano Eastwood riesce a trovare la sintesi perfetta tra la classicità di un John Ford (vedi il micro-cosmo di una piccola comunità che sta nascendo), la messa in scena essenziale di Don Siegel (ogni sequenza va dritta al punto) e l’estro barocco di Sergio Leone (l’ironia beffarda, l’ambiguità del personaggio), fusi in una visione e uno stile personali, non mera somma di tali influenze ma ridefinizione di un intero genere cinematografico secondo una sensibilità unica. Come molti sapranno Siegel e Leone, oltre che dei punti di riferimento stilistico, sono stati entrambi mentori per il nostro Clint e soprattutto col primo si instaurò una durevole amicizia.
Non mancano ovviamente gli scontri a fuoco in Josey Wales, che costituiscono il sale dei film western ma il nostro, se può, preferisce la pace alla guerra. Per esempio nel confronto con la tribù di Orso Bruno, Wales stabilirà dei pacifici rapporti di buon vicinato. Nemmeno mancano le battute fulminanti. Quando l’ennesimo cacciatore di taglie incontra il protagonista e gli intima: “Sei ricercato Wales.” Il nostro risponde: “Sono molto popolare. Sei un cacciatore di taglie?”. L’altro, di rimando: “Bisogna pur fare qualcosa per vivere.” E Wales lapidario: “E tu stai facendo qualcosa per morire.” Il tormentone che ripetono tutti i personaggi, soprattutto cacciatori di taglie che puntualmente fanno una brutta fine, “Ma tu sei Josey Wales!” oppure “Che colpo ho beccato Josey Wales!”, riecheggia il più celebre, ma successivo, “Ma tu sei Jena Plissken, ti credevo morto” del carpenteriano 1997 fuga da New York (1981).
2. Una calibro 20 per lo specialista (1974, Thunderbolt and Lightfoot, regia di Michael Cimino)
Tra i film non diretti da Clint, ma decisamente nati sotto la sua egida produttiva, fondamentale rimane l’esordio di Michael Cimino alla regia, futuro autore di capolavori come Il cacciatore (1978) e I cancelli del cielo (1980), nel quale Eastwood credette fermamente, affidandogli la direzione di questo bellissimo buddy-movie, purtroppo tradotto in italiano nel banale Una calibro 20 per lo specialista, ovviamente per rifarsi ai film di Callaghan (Callahan in originale) che all’epoca andavano per la maggiore. Qui il nostro si ritagliò un ruolo da duro, un ex rapinatore conosciuto come l’Artigliere (il Thunderbolt del titolo), diventato leggenda nel suo ambiente. Il film è divertente, appassionante e al tempo stesso amarissimo. L’indimenticabile looser ribelle Lightfoot – Caribu nel doppiaggio nostrano – interpretato da un giovanissimo e intenso Jeff Bridges, col quale l’Artigliere stringe un’improbabile amicizia, facendogli da padre putativo, finisce molto male perché la società americana contemporanea li divora gli outsiders, proprio come gli sfortunati protagonisti di Easy rider (1969). Impossibile non citare l’implacabile George Kennedy (visto in Nick mano fredda [1967] e Terremoto [1974]) nel ruolo del temibile Ned Leary e il goffo Jeoffrey Lewis (padre di Juliette), presenza immancabile per l’epoca nei film di Eastwood. Heist-movie (film su una rapina) nonché road-movie intriso di un’ironia spavalda e al tempo stesso di un terribile istinto di morte. Non a caso la vitalità e la sbruffoneria del Caribù di Bridges difficilmente si dimenticano. L’attacco del film, con Eastwood travestito da prete mentre officia un rito e l’irruzione improvvisa di un sicario, con inseguimento d’auto incluso, è da antologia e prefigura le future messe in scena, precise e concitate, di Cimino: in proposito consigliamo di riguardare l’irruzione di Christopher Walken/Nate Champion ne I cancelli del cielo (1980), oppure la scena della sparatoria nel ristorante in L’anno del dragone (1985).
3. Honkytonk man – L’uomo di Nashville (1982)
Nell’incipit di Honkytonk Man, emerge da una nuvola di polvere Red Stovall, proprio come il pistolero senza nome di Per un pugno di dollari. Stavolta però non si tratta del fumo della dinamite ma bensì di una tempesta di sabbia in un’America in ginocchio, a causa della depressione del ’29, periodo che Clint conobbe durante l’infanzia, quando la sua famiglia viveva arrangiandosi come poteva, col padre che lavorava in una stazione di servizio. Bellissima e malinconica elegia su un cantante folk gravemente ammalato che, accompagnato dal giovane nipote – interpretato dal figlio Kyle -, attraversa l’America degli anni ’30 per raggiungere Nashville, dove si dovrebbe concretizzare un contratto per incidere un disco. Forse uno dei personaggi più commoventi dell’intera filmografia eastwoodiana in cui la pietas di Steinbeck per gli ultimi incrocia la classicità di Ford, autore della trasposizione cinematografica di Furore (1940). Il carattere irremovibile e laconico del vecchio Red conferma le costanti dei personaggi del cineasta ma nel rapporto col giovanissimo nipote trova nuove traiettorie emotive.
4. Bronco Billy (1980)
Il cowboy Bronco Billy Mc Coy, negli Stati Uniti di oggi (o meglio del 1980) guida una comunità di artisti di strada sbandati – come ne Il texano dagli occhi di ghiaccio –, che attraversano l’America con il “Wild West Show”, una sorta di circo itinerante che propone uno spettacolo che si rifà alle atmosfere western di una volta. Un personaggio fuori tempo massimo che vive in un’illusione e la ripropone agli altri, raccontando storie sul west e su di sé, per lo più non vere, ed esibendosi in un pericoloso gioco di lancio dei coltelli. Imbonitore e attrazione egli stesso all’interno dello spettacolo che ha messo su. Riflessione sottile sulla fine del sogno americano e delle illusioni, nonché vicenda paradigmatica sul potere delle storie, è anche l’orgogliosa rivalsa di un looser che si gioca il tutto per tutto nei confronti di una società che sembra essersi dimenticata i valori su cui è stata fondata. Da ricordare la scena in cui Bronco ha l’occasione di vendicarsi di uno sceriffo che lo ha appena umiliato ma preferisce invece non reagire, per non danneggiare un amico che è nelle mani della giustizia. I produttori sconsigliarono una cosa del genere al regista e interprete, ma ovviamente il nostro proseguì per la sua strada.
5. Coraggio… fatti ammazzare (1983, Sudden Impact) / Corda tesa (1984, Tightrope, regia di Richard Tuggle)
Con la quinta posizione bariamo spudoratamente e inseriamo questi due film insieme perché costituiscono un dittico quasi inscindibile, il primo, Coraggio… fatti ammazzare, diretto dallo stesso Eastwood, il secondo, Corda tesa, da Richard Tuggle, qui anche sceneggiatore, ma con lo zampino sul set del nostro. Si tratta di noir caratterizzati dalla splendida fotografia notturna di Bruce Surtees, che sono anche due tasselli fondamentali nell’evoluzione e ridefinizione del personaggio inaugurato con Callaghan. In entrambi assistiamo ad una messa in discussione del poliziotto tutto d’un pezzo che abbiamo imparato a conoscere nei film precedenti. In Sudden Impact – forse il più ricco di scene e battute cult che vengono citate a memoria dagli eastwoodiani – ritroviamo l’ispettore Callaghan che scenderà a patti con la propria coscienza e col proprio senso di giustizia, decidendo di non assicurare alla legge una affascinante pluriomicida (Sondra Locke, all’epoca anche compagna di vita), vittima a sua volta di uno stupro. In Tightrope si compie la demolizione di tale figura con l’investigatore della Omicidi Wes Block che, nella calda e lasciva New Orleans, scoprirà dentro di sé pulsioni e deviazioni che lo avvicinano maggiormente allo psicopatico di turno a cui darà la caccia che non alla gente cosiddetta normale. Nel ménage di padre single con due figlie piccole (tra cui Alyson Eastwood) a carico, scopriamo un lato tenero e inedito di Clint. Ma soprattutto con queste due pellicole prosegue il discorso di Eastwood che, attraverso gli strumenti del genere (che sia il noir oppure il western non importa), affonda sempre più il bisturi nella società americana, mostrandone contraddizioni e debolezze. Discorso che si farà certamente maggiormente compiuto con opere più blasonate come Gli spietati, Un mondo perfetto e Mystic river, ma che trova in questi piccoli gioielli i suoi prodromi. Iconica l’inquadratura notturna di Callaghan in Sudden Impact, con la sagoma in controluce di Clint, armato della sua inseparabile 44 Magnum che, come un fantasma, avanza lento ma inesorabile verso il suo destino. Sul carattere fantasmatico del personaggio ci torneremo.
6. Lo straniero senza nome (1973, High Plains drifter)
Primo western di Eastwood regista, Lo straniero senza nome è la pellicola che risente maggiormente della lezione di Leone. Dopo un’entrata a effetto nel paesino sperduto di Lago, che riecheggia quella di Joe in Per un pugno di dollari, lo straniero in questione fa fuori tre pistoleri assoldati da una compagnia mineraria per salvaguardare il paese e gli interessi della compagnia stessa. Il nuovo arrivato si offre di proteggere la cittadina, spaventata dal sicuro ritorno di alcuni pistoleri che hanno dei conti in sospeso con la comunità. Ricevuto l’incarico, lo Straniero comincia a spadroneggiare: fa ridipingere di rosso tutte le abitazioni, ribattezzando il paese Hell, instaura nuove regole e si trasforma in una sorta di signorotto locale. Così facendo riesce però anche a mettere a nudo le ipocrisie di una comunità apparentemente per bene ma, in realtà, con molti scheletri nell’armadio. Qualcosa cova anche sotto l’apparente laconicità del pistolero che, probabilmente, ha dei torti da vendicare. Western dall’impianto metafisico, ambientato in una location quasi fantasy, una cittadina costruita appositamente dalla troupe del film sulle rive di un lago spettrale, su cui davvero non volavano uccelli a causa dell’elevato tasso di salinità. Anche l’entrata dello straniero nel film è spettrale: ne intravediamo appena l’ombra all’orizzonte, nella prima inquadratura, in cui la sagoma sembra fluida, forse a causa del cosiddetto effetto Fata Morgana, dovuto al calore sprigionato dal terreno. Il paese pittato completamente di rosso assume connotati quasi orrorifici mentre tutta l’atmosfera del film è malata, trasuda rancore, vendetta e un certo sadismo. Il carattere fantasmatico, ereditato dai film di Leone, e che ritroveremo anche ne Il cavaliere pallido (1985), nonché in Callaghan e in altri film, inquadra la presenza di Eastwood come una sorta di spirito, o spettro che attraversa la storia americana, evidenziandone ombre e luci, in un percorso personalissimo e difficilmente etichettabile, tanto è ricco di sfumature e disparate declinazioni. Percorrendo la sua strada, indifferente alle mode e ai cliché, sbattendosene degli schieramenti e ascoltando soltanto la propria voce morale interiore, incarnando ciò che doveva essere forse il primigenio spirito americano, prima che si impantanasse in genocidi, burocrazia e razzismo strisciante, Clint Eastwood è come un fantasma che si nasconde nelle pieghe della storia americana.
7. Brivido nella notte (1971, Play Misty for me)
Non poteva mancare in questa classifica l’esordio alla regia di Eastwood e cioè quel Brivido nella notte che campeggiava già sui cartelloni del cinema facendo da sfondo alla famigerata sparatoria iniziale di Ispettore Callaghan il caso Scorpio è tuo in cui Dirty Harry (ovvero Harry la carogna) snocciolava per la prima volta i grandi vantaggi della 44 Magnum al malcapitato delinquente di turno. Il battesimo del fuoco per l’Eastwood regista avviene all’insegna del noir, genere cardine che lo avrebbe accompagnato per gran parte della sua carriera, di cui ritroviamo tracce anche nei suoi western. In questo caso Clint interpreta Dave Garner un Dj della piccola cittadina californiana di Carmel (luogo in cui Eastwood risiede e dove è stato anche sindaco tra il 1986 e il 1988), piccola celebrità locale impegnata in una relazione stabile, che decide di lasciarsi andare all’avventura di una notte con una affascinante sconosciuta, Evelyn, interpretata da una conturbante Jessica Walter, che chiede sempre di passare in radio la canzone “Misty” di Ella Fitzgerald. Pessima idea perché, quando verrà scaricata, Evelyn tormenterà la vita di Dave in modi sempre più imprevedibili e violenti. Nato da esperienze reali, ovviamente esagerate, il film è una denuncia dei rapporti morbosi – oggi diremmo tossici – e dello stalking, il cui tema fu declinato successivamente, in maniera più patinata, da Adrian Lyne in Attrazione fatale (1987). In questa pellicola, il cineasta utilizza abilmente il fascino delle location di Carmel, in cui minacciose e affascinanti scogliere fanno da controcampo alla vicenda malata che mette in scena. I luoghi nei film di Eastwood ‘parlano’, divengono quasi dei personaggi essi stessi, rientrano nell’atmosfera visiva che Clint in genere già prefigura prima di girare, secondo un suo metodo di lavoro al tempo stesso metodico ma aperto all’imprevisto, e cioè al saper cogliere ciò che il reale gli offre. Non a caso, in una scena di relativo sollievo dalla minaccia di Evelyn, Clint si riserva di portare la troupe a New Orleans per girare alcune scene durante il Monterey Jazz Festival. In un cameo, nel ruolo di un barista, troviamo Don Siegel, mentore cinematografico di Eastwood, che volle assolutamente sul set come buon augurio. Il vecchio Don verrà poi ricordato, insieme con Sergio Leone, nei titoli di coda de Gli spietati.
8. La notte brava del soldato Jonathan (1971, The beguiled, regia di Don Siegel)
Diretto proprio dal suo maestro Don Siegel, ma fortemente voluto dal divo. Anche La notte brava del soldato Jonathan, come The outlaw Josey Wales, ambientato durante la guerra civile americana, vedeva il protagonista, un soldato nordista stavolta, il caporale John McBurney, ferito in guerra, salvato e curato dalle donne di un collegio femminile dove poi diveniva l’oggetto del desiderio, conteso tra le educande e le insegnanti – compresa la preside Geraldine Page – nonché la fonte di una serie di guai. La vicenda si trasformava così in un fosco noir a tinte gotiche, intriso di un erotismo illanguidito dalla tipica calura del sud. Lo sguardo di Siegel, in perfetta sintonia con quello eastwoodiano, calava già nel cuore oscuro delle radici del sogno americano. Caliamo invece un velo pietoso sull’altro adattamento dello stesso romanzo di Thomas Cullinan, l’inconsistente ed estetizzante L’inganno del 2017 ad opera di Sofia Coppola.
9. L’uomo nel mirino (1977, The Gauntlet)
La demolizione del poliziotto tutto d’un pezzo iniziò già con L’uomo nel mirino in cui l’ingenuo agente Ben Shockley, almeno nella prima parte del film, non riesce a credere alla prostituta Augusta ‘Gus’ Mally (ancora la Locke), la quale afferma che i superiori del detective sono coinvolti in loschi affari con la malavita di Las Vegas e Phoenix. Dovrà imparare la verità a proprie spese nel lungo viaggio dal Nevada all’Arizona dove la donna dovrà testimoniare ad un processo, se riuscirà ad arrivare viva. Il film si trasforma dunque in un survival movie nel quale i due devono sfuggire ad assedi dei poliziotti, elicotteri e bikers ostili, fino al climax che li vede attraversare la città di Phoenix a bordo di un Pullman opportunamente modificato e blindato, sotto una pioggia di proiettili sparati da decine di cecchini appostati lungo i tetti della città. La struttura narrativa anticipa in parte il bel thriller di Richard Donner Solo due ore (2006), in cui un attempato Bruce Willis, poliziotto in crisi, doveva accompagnare un altro testimone scomodo per inchiodare i suoi stessi colleghi poliziotti. The gauntlet è il film eastwoodiano più marcatamente action di quegli anni, terribilmente divertente per i duetti tra la scafata Gus e il monolitico Ben e per il ritmo delle scene d’azione. La denuncia dell’autorità corrotta rientra perfettamente nelle tematiche del cineasta, sempre più sfiduciato nei confronti di un sistema simile ad un moloch tirannico che preserva i corrotti e perseguita i più deboli. Non è un caso che nell’ultima fase (tuttora in corso) della sua carriera Clint prediligerà storie vere con persone semplici come protagonisti (Sully , Ore 15:17 – Attacco al treno, The mule, Richard Jewell) che si votano ad azioni puramente altruistiche, di sacrificio, che incarnano al meglio quello spirito americano più genuino di cui si diceva prima.
10. Assassinio sull’Eiger (1975, The Eiger Sanction)
Diretto e interpretato dal divo, Assassinio sull’Eiger è spy-story considerata minore, ma con questa pellicola Clint diede una stoccata al patinato mondo delle spie alla 007, offrendoci il ritratto di un ex-agente disilluso, Jonathan Hamlock, appassionato d’arte nonché provetto alpinista, invischiato in una missione per nulla edificante che, a ridosso del Watergate, già denunciava la totale mancanza di scrupoli dei servizi segreti americani. C’è comunque un personaggio degno dei migliori villain dei film di Bond, e cioè un viscido dirigente dei servizi, chiamato Drago, dalla pelle albina che non sopporta la luce del sole e che vediamo soltanto in interni illuminati dagli infrarossi. Il pezzo forte del film sono le spettacolari scene di arrampicate, girate sul vero sul massiccio dell’Eiger, in Svizzera, nelle quali lo stesso Eastwood non volle alcuna controfigura. Nella prima parte del film, ambientata in Arizona durante l’allenamento di Jonathan, le scene dell’arrampicata sul picco del Totem Pole prefigurano in un certo senso quelle dell’incipit di Mission Impossible II (2000), mentre la gustosissima scena in cui Jonathan abbandona nel deserto dell’Arizona l’infido agente Miles (il bravissimo Jack Cassidy), richiama quella analoga in cui il Biondo abbandonava Tuco in un altrettanto assolato deserto ne Il buono il brutto e il cattivo (1966). A proposito di western all’italiana, va ricordata infine la presenza della affascinante Vonetta McGee che aveva lavorato nel bellissimo Il grande silenzio (1968) di Sergio Corbucci. Ultima notazione, ma non per importanza, le musiche di Ennio Morricone, unica collaborazione tra Clint e il maestro che accompagnò i suoi esordi cinematografici.
Film Jolly: Gli avvoltoi hanno fame (1970, Two Mules for Sister Sara, regia di Don Siegel)
Divertente avventura picaresca, anche questa diretta dal mentore Don Siegel, Gli avvoltoi hanno fame è una variazione sul tema dello spaghetti-western, con una prorompente Shirley MacLaine che tiene banco per tutto il tempo nel ruolo di una prostituta che si finge suora, a causa di un malinteso sorto durante uno scontro a fuoco in cui l’avventuriero Hogan (il nostro Cint) la salva da alcuni malintenzionati che volevano stuprarla. Malinteso avallato da ‘suor Sara’, per evitare le attenzioni del suo angelo custode. Come il Juan Miranda di Rod Steiger nel leoniano Giù la testa, anche Hogan verrà coinvolto, suo malgrado, nella rivoluzione messicana, in particolare nell’attacco dei ribelli ad una fortificazione francese. Lo ricordiamo per i divertenti duetti tra MacLaine e Eastwood che costrinsero quest’ultimo ad allargare il range delle sue espressioni e per l’efficace e ironico motivo musicale di Morricone che faceva da contrappunto alla storia, arricchito da un suono che ricordava quello di un mulo, ciò che diventa appunto Hogan per sorella Sara. La melodia sarà poi ripresa affettuosamente da Quentin tarantino in Django Unchained (2013) per descrivere il viaggio di una altrettanto improbabile coppia.