Di Alejandro González Iñárritu stiamo tutti aspettando il suo ultimo lavoro, Bardo, la cronaca falsa di alcune verità (Bardo, falsa crónica de unas cuantas verdades), che vedremo su Netflix il prossimo 16 novembre. Il lungometraggio è stato presentato in anteprima alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ed è stato scelto per rappresentante il Messico nella corsa all’Oscar per il miglior film straniero. Sicuramente, con due premi per la migliore regia alle spalle, è difficile che il regista messicano venga ignorato, specie per quello che è a detta di molti il suo 8 1/2. Vedremo però se sarà piaciuto anche all’Academy.
In attesa di Bardo, abbiamo pensato di omaggiare la filmografia di questo illustre regista messicano stilando una classifica dei film di Alejandro González Iñárritu, dal peggiore al migliore. Al momento i lungometraggi da lui realizzati sono sei, vediamoli quindi uno per uno.
6. Amores perros (2000)
Sicuramente non è il peggiore nel senso di “più brutto”, ma visto oggi risulta un film che ha fatto la sua epoca. Si tratta del primo lungometraggio realizzato da Iñárritu e il suo percorso, negli anni, è andato davvero oltre. Amores perros è comunque da vedere, anche perché rappresenta il primo capitolo della trilogia sulla morte, composta dai successivi 21 grammi e Babel. Ed è anche la prima collaborazione con Guillermo Arriaga, sceneggiatore di fiducia di Iñárritu e futuro regista di The Burning Plain – Il confine della solitudine. In più, compare per la prima volta sullo schermo Gael García Bernal.
Si tratta di un film importante considerando che, alla sua uscita, è stato accolto calorosamente dalla critica, raccogliendo ben 50 premi cinematografici e arrivando infine alla candidatura all’Oscar per il miglior film straniero (poi andato al taiwanese La tigre e il dragone di Ang Lee). Il titolo ha un duplice significato: può essere inteso sia come “amori cani” che “amori cattivi”. Amores perros racconta infatti tre storie distinte in cui le vicende dei personaggi sono tutte accomunate dalla presenza dei cani, alter ego degli stessi protagonisti: per fuggire con la sua amante vittima di un compagno violento, un giovane decide di fare soldi facendo partecipare il proprio cane ai combattimenti clandestini; in seguito ad un drammatico incidente, il rapporto tra una modella, legatissima al suo cane, e il suo compagno si incrina; un uomo solitario vive soltanto in compagnia dei suoi amati animali domestici, ma è in realtà un sicario.
5. Biutiful (2010)
Meno incisivo di altri film di Iñárritu e forse un po’ scoordinato nel legare le sotto-trame, nonostante un risultato coinvolgente. Pur non facendo parte della cosiddetta trilogia della morte, il tema centrale di Biutiful è proprio quello. Il film si avvale di una bellissima sceneggiatura scritta dallo stesso regista con Armando Bo e Nicolás Giacobone, che presenta un impianto narrativo ciclico con scena iniziale e finale che di fatto coincidono e con personaggi che parlano attraverso le rispettive preoccupazioni. Il tutto è sorretto dalla performance di un titanico Javier Bardem, giustamente premiato a Cannes.
Protagonista di Biutiful è Uxbal, un uomo di estrazione sociale modesta che vive ai margini della legalità. Per mantenere i suoi due figli, Ana e Mateo, si guadagna da vivere aiutando gli extracomunitari nella ricerca di un lavoro, spesso in nero. Uxbal ha inoltre un dono speciale: di fronte ad una salma ancora fresca, è in grado di mettersi in contatto con le anime dei morti e farsi dire le loro ultime parole e volontà. Quello che ancora nessuno sa, però, è che anche la sua stessa vita sta giungendo al termine: Uxbal ha infatti un cancro che gli lascia poco tempo e la sua unica preoccupazione è rappresentata dal futuro dei suoi figli, dal momento che la sua ex moglie, Marambra, è mentalmente instabile e non sembra in grado di occuparsene.
4. Revenant – Redivivo (2015)
Il lavoro più divisivo di Iñárritu è sicuramente questo, forse perché più improntato ad un modo di fare cinema strettamente legato al divismo. Non a caso, ad interpretarlo è proprio un’indiscussa star di Hollywood, Leonardo DiCaprio (che giunge finalmente al suo tanto agognato Oscar). Allo stesso tempo, però, non è un film divistico nel senso classico del termine. Anzi, la sua visione risulta piuttosto impegnativa tra lunghi silenzi, sequenze che ritraggono il solo agire dei personaggi o inquadrature di paesaggi.
Da un punto di vista produttivo, Revenant – Redivivo è il film più ambizioso di Iñárritu. La sceneggiatura è firmata insieme a Mark L. Smith (The Hole) ed è tratta in parte da un romanzo di Michael Punke che si intitola Revenant – La storia vera di Hugh Glass e della sua vendetta. Si tratta quindi del racconto su una figura realmente esistita e già interpretata, seppur sotto un nome diverso, da Richard Harris nel 1971 in Uomo bianco, va’ col tuo Dio.
Siamo nel gelo del North Dakota ed è il 1823. L’esploratore e cacciatore di pelli Hugh Glass è assalito da un orso durante una spedizione. Rimasto gravemente ferito e creduto in fin di vita, viene abbandonato dagli altri uomini della spedizione insieme a suo figlio Hawk, che viene ucciso dallo spietato Fitzgerald. Rimasto solo in una fossa scavata nel ghiaccio, Glass tornerà in vita spinto dall’istinto di sopravvivenza e dalla sete di vendetta.
3. Babel (2006)
Entriamo quindi nel podio dei migliori film di Iñárritu con Babel, il terzo capitolo della trilogia della morte, accolto da una critica non unanime, ma con diversi riconoscimenti, non ultimo il Prix de la mise en scène a Cannes e l’Oscar per la migliore colonna sonora a Gustavo Santaolalla.
Con Babel, Iñárritu ha avuto modo di lavorare con un cast stellare che comprende anche Cate Blanchett, Brad Pitt, Elle Fanning, Gael García Bernal, Adriana Barraza, Rinko Kikuchi e Koji Yakusho. Essendo ambientato in diverse parti del globo terrestre, i dialoghi sono in più lingue che vanno a formare una specie di Torre di Babele (da qui il titolo).
In Marocco, un pastore affida le capre ai suoi giovani figli, non prima di averli addestrati ad usare il fucile per uccidere gli sciacalli. Sempre in Marocco, una coppia di turisti americani in crisi coniugale lascia i figli a casa per godersi una dolorosa vacanza in cui cercano di fare i conti con il lutto del loro terzogenito. Negli Stati Uniti, la tata messicana a cui sono affidati i figli della coppia americana è determinata a rientrare in patria per un matrimonio. In Giappone, una ragazza sorda e figlia di un mercante di armi affronta la sua prima crisi adolescenziale. Cosa accomuna i destini di questi personaggi? Che piega prenderanno le loro storie?
2. 21 grammi (2003)
Secondo capitolo della trilogia della morte, forse il più penetrante dei tre. 21 grammi è un film che fa malissimo: anche qui ci troviamo di fronte a destini che si intrecciano, questa volta in modo più marcato, ma si tratta di storie più dolorose, che fanno leva su emozioni molto profonde.
Anche in questo caso, Iñárritu si confronta con un cast stellare. Accanto ai tre interpreti principali, ovvero Sean Penn, Naomi Watts e Benicio del Toro, compaiono infatti: Charlotte Gainsbourg, Melissa Leo, Eddie Marsan, Danny Huston, Clea DuVall e Denis O’Hare. Il livello delle performance è altissimo e i protagonisti sono stati tutti e tre investiti di riconoscimenti o candidature: Sean Penn ha vinto la Coppa Volpi al Festival di Venezia, Naomi Watts e Benicio del Toro sono stati nominati all’Oscar rispettivamente come migliore attrice protagonista e come miglior attore non protagonista.
Un tragico incidente stradale in cui muoiono due bambine e il loro padre intreccia le vicende di tre personaggi: Cristina, la vedova e madre, che si trova ad affrontare le conseguenze di un pesante evento luttuoso; Jack, un ex detenuto poi redento e divenuto integralista cattolico, l’uomo che ha accidentalmente investito i tre; e infine Paul, un malato terminale che ha ereditato il cuore di Michael, il marito di Cristina…
1. Birdman (o l’imprevedibile virtù dell’ignoranza) (2014)
Ed eccoci arrivati alla punta di diamante della filmografia di Iñárritu. È proprio con Birdman (o l’imprevedibile virtù dell’ignoranza) che il regista messicano realizza il suo lavoro più ambizioso e riuscito. Anche questo è un film divisivo, che spiazza con quel suo eccentrico modo di porsi, in cui gli snodi narrativi vengono sacrificati in favore di un immaginario sicuramente penetrante; nonostante ciò, è riuscito a conquistare perfino i detrattori di Iñárritu. In più, nel 2015, si è aggiudicato ben quattro premi Oscar sbaragliando la concorrenza del superfavorito Boyhood di Richard Linklater: miglior film, migliore regia (il primo per Iñárritu), migliore sceneggiatura originale e miglior fotografia.
Pur essendo una storia originale, Birdman è un incrocio tra la biografia di Michael Keaton, protagonista del film, e la sua ascesa come interprete di Batman, Eva contro Eva al maschile e un libero adattamento di Raymond Carver. L’intero film è montato in un modo da dare l’impressione di stare guardando un piano-sequenza in cui seguiamo il protagonista, entriamo nelle stanze insieme a lui, ci prendiamo gli insulti che è lui stesso a subire e le sue umiliazioni, fino a trovarci imprigionati in una mente instabile. Anche in questo caso il cast è molto ricco e comprende, oltre a Keaton, anche Edward Norton, Emma Stone, Naomi Watts, Andrea Riseborough e Zach Galifianakis.
Protagonista di Birdman è Riggan Thompson, un attore decaduto, un tempo popolare per aver interpretato un supereroe dei fumetti e oggi passato al teatro. Riggan è combattuto tra la sua ansia da palcoscenico, la minaccia di una critica teatrale spietata, il rapporto conflittuale con una figlia tossicodipendente e la rivalità con un attore narcisista, Mike Shiner. Riggan sembra trovare rifugio nei suoi dialoghi con Birdman, suo storico personaggio e in fondo suo alter ego, sempre pronto a prendersi gioco di lui. Quello di cui non si accorge, però, è che questa profonda crisi che sta attraversando lo sta portando a perdere il contatto con la realtà.