Tra i romanzi e i racconti che affollano il ben nutrito comparto della letteratura Weird, genere che si trova in quel limbo tra il perturbante, l’horror e il meraviglioso, ce n’è uno, imprescindibile, scritto da Arthur Machen, che merita attenzione. Sono tanti i motivi per cui Il grande dio Pan, è da leggere ancora oggi, giorno in cui ricorre l’anniversario della nascita dello scrittore gallese nato a Carerleon-on-Usk il 3 Marzo 1863. Immaginate uno scienziato folle, il classico Mad Doctor, personaggio archetipico che, a partire da Frankenstein, ha costellato tanta letteratura e cinematografia horror. Immaginate un esperimento proibito, un’incisione chirurgica, effettuata direttamente nella materia grigia del cervello, che permette di andare oltre “i sogni e le ombre che nascondono ai nostri occhi il mondo reale”. Immaginate infine che, come in ogni storia dell’orrore che si rispetti, qualcosa vada storto e che le conseguenze siano terribili e nefaste. Questi sono gli ingredienti base del Il grande dio Pan, racconto lungo (o romanzo breve) pubblicato da Arthur Machen a puntate nel 1890 e poi riedito per la prima volta in un volume unico nel 1894.
L’endorsement di H. P. Lovecraft
Di primo acchito, il materiale narrativo del romanzo di Machen potrebbe sembrare il classico mélange orrorifico simile a tanti altri. Se un autore come H. P. Lovecraft, maestro della letteratura Weird, nonché indiscusso vate dell’orrore cosmico, nel suo saggio “L’orrore sovrannaturale in letteratura” (1927) affermava: “Fra i creatori di paura cosmica innalzata al massimo grado artistico, pochi, se non nessuno, possono sperare di eguagliare il versatile Arthur Machen… in cui gli elementi dell’orrore nascosto e del terrore incombente assumono un significato e conseguono una finezza realistica quasi incomparabili,” una ragione ci sarà. Affondando dunque gli occhi nella lettura de Il grande dio Pan ci accorgiamo che è impossibile non lasciarsi travolgere dalla vicenda del dottor Raymond, dei signori Clarke, Villiers e Austin, tutti testimoni di “orrori tali che talvolta mi fermo in mezzo alla strada e mi chiedo se sia possibile a un uomo contemplare simili cose e sopravvivere”.
La trama
La trama è presto detta: il dottor Raymond, in una remota villa del Galles, sperduta tra le valli dell’Usk (luogo di origine dello stesso Machen), chiama come testimone l’amico Clarke, per realizzare un esperimento su una giovane donna, Mary, che ha salvato dall’indigenza. Attraverso pratiche chirurgiche che sconfinano nell’occultismo, egli incide la materia cerebrale della paziente (vittima sarebbe più corretto) per aprirle le porte della percezione (di cui parlava anche il poeta William Blake) o, in altre parole, per sollevare il velo illusorio che, tramite i nostri limitati sensi, occulterebbe la realtà così com’è. Lo stesso Raymond afferma che gli antichi chiamavano tale condizione ‘vedere il dio Pan’. Gli effetti sulla povera Mary purtroppo non saranno benefici: al risveglio dall’operazione, dopo alcuni attimi di terrore, ella rimarrà inebetita indefinitamente, fino alla sua morte che avverrà circa un anno dopo.
Alcuni anni dopo, a Londra, ritroviamo Clarke che, spinto dai racconti inquietanti di un certo Villiers, comincia a indagare riguardo una misteriosa donna, chiamata Helen Vaughn, femme fatale dai tratti esotici che porterebbe gli uomini alla rovina. Herbert, un amico di Villiers, aveva infatti sposato tale donna ma ne era rimasto consumato nell’anima e nel corpo. Costui era solo l’ultimo di una lunga lista di uomini d’affari inglesi che si erano lasciati irretire dal mondo dissoluto di Helen che, con le sue pratiche sessuali estreme e le frequentazioni di circoli privati orgiastici, rendeva gli uomini folli, tanto da portarne molti al suicidio. Indagando sul passato di Helen si scoprirà che, da ragazzina, in uno sperduto villaggio del Galles, era stata affidata da un facoltoso e anonimo genitore adottivo, ad un agricoltore benestante della zona. Anche lì la ragazza aveva fatto danni. Un ragazzino, dopo averla vista giacere con uno strano uomo dei boschi, era letteralmente impazzito mentre una ragazzina, Rachel, che frequentava i boschi del villaggio insieme con la giovane Helen, era scomparsa. Inutile dire che tutti questi fatti sono collegati al terribile esperimento del dottor Raymond e che ci saranno risvolti soprannaturali indicibili.
Le atmosfere di Machen
Ciò che colpisce nella narrazione di Machen è l’incredibile suggestione che egli ottiene con la costruzione di un’atmosfera di terrore crescente e tramite l’utilizzo di una mitologia pre-esistente, qui sfruttata in modo originale e scaltro. Lo sperduto paesino del Galles in cui si svolgono le gesta della giovane Helen è infatti ricco di antiche vestigia romane, che suggestionarono non poco il giovane Machen, che trascorse in quelle zone la sua bucolica giovinezza. La casa dei genitori della scomparsa Rachel, risulta infatti nel romanzo costruita su resti romani tra cui spicca la testa di un fauno, o satiro, dall’espressione malvagia, mentre in un museo del luogo viene esposto, insieme con altri cimeli ritrovati da poco, un altare con un’iscrizione latina, dedicato al dio Nodens, nume delle profondità e dell’abisso. Bastano questi pochi accenni per calare il lettore in un’atmosfera ancestrale, inquietante e affascinante al tempo stesso. Machen riesce, con semplici allusioni disseminate in tutto il romanzo, a farci percepire l’ambiente lascivo che evidentemente pervadeva le terre del Galles al tempo dell’occupazione romana, in cui i rituali latini si fusero forse con altri culti più antichi, già presenti sul luogo, riferibili appunto al dio Nodens.
La sessualità repressa nell’Inghilterra vittoriana
Nel corso della narrazione non si scende mai nel dettaglio dei vizi sessuali di Helen che, in epoca vittoriana, erano visti come male assoluto e che oggi magari verrebbero definiti solo come stravaganze, seppur estreme. Eppure tramite pochi accenni il lettore è portato a immaginare un mondo di perdizione, vicina a certi culti pagani nei quali l’unione dell’uomo con la natura e con le forze del cosmo erano una cosa certa e naturale. Helen, con i suoi costumi disinvolti, mette in crisi l’etica borghese di fine Ottocento che ha rimosso e costretto nell’ombra gli istinti sessuali più sfrenati, relegandoli al mondo del peccato e della malvagità. La sessualità disinibita della dark lady del racconto di Machen costituisce dunque una scheggia impazzita all’interno della società londinese del tempo, rischiando di farne saltare le valvole sociali di sicurezza. Così come era successo per “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde” (1886) di Robert L. Stevenson (al quale Machen, per sua stessa ammissione, si era ispirato), anche Helen Vaughn diventa dunque il simbolo del rimosso istintuale della civiltà occidentale.
Pan simbolo inesauribile
Senza pretendere di esaurire la ricca simbologia presente nel romanzo, già sviscerata in numerosi e interessanti saggi, possiamo però dire qualcosa sul simbolo più potente che Machen mette in gioco e cioè lo stesso Pan, divinità dei boschi, spesso rappresentata come un fauno, o satiro, dalle gambe di capra e dalle corna in testa. Se nel corso dei secoli questa figura è stata associata dalla chiesa cattolica al diavolo, in realtà essa raffigurava l’energia vitale che è all’origine di tutte le cose, identificata nel mondo antico anche con Dioniso. Quella stessa energia generatrice, ma anche disgregatrice, che sostiene la vita ma al tempo stesso, se scatenata, la distrugge. Chi riusciva ad avere la visione di Pan, ovvero ad accedere a tali energie, poteva rimanerne sopraffatto, in preda appunto al terrore panico. Cosa che succede puntualmente ad alcuni personaggi del libro.
Le influenze cinematografiche di Machen
Ciò che rende ancora attuale le numerose suggestioni contenute nel racconto più famoso di Machen sono i sorprendenti legami con alcuni filoni di tanto cinema horror degli ultimi decenni. Questo breve estratto parla infatti da solo: “Avevo il privilegio, o forse la dannazione, non so dire quale, di assistere alla trasformazione di ciò che giaceva sul letto, nero come inchiostro. La pelle e la carne, i muscoli e le ossa, e la solida struttura del corpo umano, che avevo sempre giudicato immutabili, permanenti come il diamante, hanno iniziato a fondersi e a dissolversi…il mutamento e la dissoluzione di cui ero testimone erano provocati da una qualche forza interna di cui nulla sapevo. Inoltre si ripeteva dinanzi ai miei occhi l’intero processo che aveva condotto alla creazione dell’essere umano. Ho visto la forma ondeggiare da sesso a sesso, scindersi e poi ricomporsi. Ho visto il corpo discendere alle bestie da cui era asceso, e ciò che era in cima cadere nelle profondità, persino nell’abisso dell’intero essere. Il principio della vita che crea l’organismo permaneva, mentre la forma esterna mutava”. Se adesso pensiamo al mostruoso essere alieno che nel finale del carpenteriano, nonché lovecraftiano, La cosa (1982), nel corso di una raccapricciante trasformazione, ripercorre tutte le forme viventi che ha imitato nel corso del film non sbagliamo di certo. Pensiamo anche alle mutazioni della carne, visibili in tanto body-horror degli anni Ottanta, sia cronenberghiano (pensiamo soprattutto a La mosca del 1986) sia carpenteriano, nonché nel sociologico e antropologico Society (1989) di Brian Yuzna. Perfino in un film apparentemente più leggero come Le streghe di Eastwick (1987) in cui un luciferino Jack Nicholson interpretava addirittura il demonio in persona, alla fine il suo personaggio, provvisoriamente sconfitto dalle affascinanti streghe Pfeiffer, Sarandon e Cher, subiva anche lui una mostruosa mutazione che ne ripercorreva le fasi evolutive fino a farlo tornare ad una sorta di mostruoso stadio pre-natale. Non è un caso infatti che Pan, nel racconto di Machen, instilli negli esseri che vengono a contatto con la sua energia, un ritorno allo stadio primordiale delle forme. Anche in 2001 Odissea nello spazio (1968), pellicola che apparentemente nulla sembra spartire con gli orrori macheniani, assistiamo ad una trasformazione del protagonista, l’astronauta David Bowman, che avanza velocemente lungo le varie età della vita fino a ripresentarsi come enorme feto spaziale. Non ci sono mutazioni orribili ma concettualmente siamo molto vicini. Per non parlare inoltre delle suggestioni pagane, velatamente alluse nell’opera di Machen, che ritroviamo poi nei rituali cruenti di tanto folk-horror moderno, dal capostipite The wicker man (1973) di Robin Hardy al recente Midsommar (2019) di Ari Aster, dal The Witch (2015) di Robert Eggers a Il rituale (2017) di David Bruckner, solo per dirne alcuni tra i più interessanti.
Da segnalare infine una curiosa coincidenza: il breve estratto che abbiamo riportato sopra è tratto dagli appunti di un personaggio del libro (che, come abbiamo detto, risale al 1890) chiamato Robert Matheson, omonimo di Richard Matheson, uno dei maestri della letteratura del terrore del XX secolo.
Suggerimenti di lettura
Come abbiamo visto, la lunga mano di Machen si estende ancora oggi lungo tanto immaginario filmico attuale, in forme e modalità meno evidenti del ben più famoso Lovecraft, ma non meno suggestive e penetranti. Per chi volesse leggere il romanzo suggeriamo l’ultima edizione, del 2016, edita da Tre editori in cui è inclusa la prefazione di Lovecraft e il bellissimo saggio di Susan Johnston Graf Il risveglio della selva. Sempre di Machen consigliamo inoltre il labirintico I tre impostori, composto di più racconti connessi tra loro, riedito nel 2020 da Fanucci, Un frammento di vita/Il popolo bianco edito da Hypnos nel 2018 e Il terrore (edizioni Theoria 2017), romanzo che anticipa sorprendentemente “Gli uccelli” di Daphne Du Maurier che, a sua volta, fu all’origine del film omonimo di Hitchcock. Come approfondimento segnaliamo infine la raccolta di saggi Arthur Machen – L’apprendista stregone a cura di Paolo Mathlouthi, edito da Bietti, in cui è presente l’interessantissimo intervento di Marco Maculotti: Arthur Machen, profeta dell’avvento del Grande Dio Pan.