Minuto 89 di Juventus-Spezia, anticipo infrasettimanale della 25° giornata di Serie A 2020/2021. Gli uomini di Pirlo conducono le danze in vantaggio di due reti (Morata al 62′, Chiesa al 71′), dopo un primo tempo di grande sofferenza. Bentancur recupera palla sulla sua trequarti di campo e avvia la ripartenza bianconera. Cristiano Ronaldo e Morata seguono l’azione e il portoghese viene servito coi tempi giusti per poter caricare il sinistro e infilare il portiere spezzino Provedel.
È il momento più atteso della serata, capace di mettere quasi in secondo piano l’importanza di una vittoria che per i campioni d’Italia in carica significa tenere il passo dell’Inter capolista. A testimonianza di ciò i titoli online dei quotidiani, subito dopo il fischio finale, celebrano il campione portoghese. CR7 ha raggiunto un altro record, un ulteriore prestigioso tassello da aggiungere all’incredibile cifra accumulata nel corso della sua carriera. La rete di quella sera ha riportato all’attenzione generale uno dei dibattiti maggiormente accesi fra gli studiosi di statistiche sportive e i semplici sportivi. Chi è il più grande ‘scorer’ di tutti i tempi? Quale calciatore detiene lo scettro di miglior goleador della storia?
La rete di Cristiano Ronaldo si trasforma in un assist perfetto per stilare la classifica dei 10 migliori marcatori di tutti i tempi. Il tema è talmente dibattuto che le varie classifiche ufficiali divergono, a causa di alcune marcature prese o meno in considerazione (amichevoli, eventi speciali), di numeri che non si affidano a dati affidabili e annose diatribe come quella che riguarda Pelé e quota 1.000.
In questa classifica abbiamo deciso di prendere in considerazione ‘soltanto’ le reti ufficiali segnate in prima squadra e nelle nazionali maggiori (in questo caso anche amichevoli).
1. Josef Bican (820)
Leggenda intramontabile dello Slavia Praga, club nel quale militò dal 1937 al 1948 e nel biennio ’53/’55, Josef Bican è il classico nome sconosciuto alle nuove generazioni di calciofili cresciuti a pane, Messi e CR7. In realtà anche per chi ha qualche anno in più, Bican rimane una fotografia sbiadita nell’immenso calderone di talenti e fuoriclasse più o meno riconosciuti negli annali calcistici. E invece là in vetta alla classifica dei migliori marcatori della storia (tra club professionistici e nazionali maggiori) ci staziona proprio lui. Di origine boema, austriaca e cecoslovacca, Bican era un centravanti moderno per l’epoca. Possente, dotato di una tecnica raffinata e soprattutto di un fiuto del goal invidiabile.
Dopo gli esordi convincenti tra Rapid e Admira Vienna e lasciata l’Austria agli albori della Seconda Guerra Mondiale, visse undici anni magici allo Slavia Praga, ottenendo la cittadinanza e vestendo i colori della Cecoslovacchia, con un intermezzo nella selezione del Protettorato di Boemia e Moravia in seguito all’occupazione nazista, che gli consente tutt’oggi di essere l’unico calciatore ad aver militato in tre nazionali maggiori differenti. A causa del periodo storico, che ha reso complicato il conteggio e il silenzio che ne ha contraddistinto il post-carriera a causa del regime totalitario del Partito Comunista, si è spesso dibattuto sul reale quantitativo di reti messe a segno da Josef Bican. D’altronde l’attenzione nei confronti della sua carriera è riemersa soltanto alla fine degli anni ’80. Riferendoci alle statistiche e ai dati certi, riteniamo di dover assegnare a lui la palma di miglior marcatore di tutti i tempi, rifuggendo dubbi e ipotesi e affidandoci alla semplicità oggettiva delle statistiche, pragmatiche come il calcio preistorico in cui Bican ha lasciato il segno:”Ho sentito molte volte la teoria secondo la quale era più facile segnare ai miei tempi. Ma le occasioni erano le stesse cento anni fa e saranno le stesse anche tra cento anni. Se avevo cinque occasioni facevo cinque goal, se ne avevo sette ne segnavo sette”.
2. Cristiano Ronaldo (770- …)
Osservando i titoli dei giornali qualche ora dopo la rete di CR7 allo Spezia si nota piuttosto chiaramente come esista una certa confusione sull’effettivo record raggiunto dal fuoriclasse portoghese. Diversi quotidiani hanno riportato cifre completamente differenti fra loro, e in conseguenza di ciò varia anche la posizione nella classifica all time di Ronaldo. Tenendo fede alla nostra scelta iniziale di considerare nel conteggio soltanto le reti in partite ufficiali realizzate con i club e le nazionali, Cristiano Ronaldo si piazza attualmente al secondo posto di questa speciale classifica.
La brutale e impietosa continuità dei numeri in fase realizzativa è l’unico parametro oggettivo che spinge Cristiano Ronaldo – e Leo Messi – a farsi spazio fra le figure mitologiche di questo sport, tralasciando considerazioni sulla diversità di epoche.
L’evoluzione tattica di CR7 sembra andare di pari passo con la sua media goal. Dagli esordi come ala pura allo Sporting Lisbona e i primi anni di apprendistato al Manchester United ereditando la storica numero 7 vestita da leggende di Old Trafford come Best, Robson, Cantona e Beckham, il portoghese è diventato un calciatore a tutto campo, in grado di rivestire praticamente tutti i ruoli della fase offensiva. E di conseguenza ci ha preso gusto, mettendo in fila numeri impressionanti sotto porta. Tra United, Real Madrid e Juventus ha superato le 40 reti in tre stagioni, le 50 reti in quattro stagioni e addirittura toccato e superato le 60 reti in due stagioni.
Non destano meno stupore i numeri raggiunti con la nazionale portoghese. I lusitani sono storicamente poco avvezzi a sfornare goleador ma quando accade essi entrano nella storia. Dal 2003 ad oggi CR7 ha messo in fila 102 reti, secondo nella classifica dei più prolifici marcatori con la maglia della propria nazionale – a soli sette centri dall’iraniano Ali Daei – e nel palmarès il primo titolo europeo nella storia del Portogallo, obiettivo mai raggiunto nemmeno dalla generazione incompiuta di Figo e Rui Costa.
3. Pelé (761)
Una carriera ventennale per colui che la FIFA ha nominato come il calciatore del secolo e che la stessa federazione sostiene essere il bomber maggiormente prolifico nella storia del calcio, con la ben nota narrazione delle oltre 1.000 reti segnate in carriera. Quasi come per Bican, anche per O Rei il conteggio risulta non particolarmente semplice, oggetto di dibattito alimentato dallo stesso asso del Santos e della nazionale brasiliana. Colui che Gianni Brera definì ‘un tronco nel quale stanno due polmoni e un cuore perfetti’, ha diviso la sua carriera nelle due Americhe, senza mai raggiungere lidi europei, campi calcati soltanto con la Seleção o in partite celebrative. Dapprima il Santos, club di cui la Perla Nera entra a far parte da ragazzino uscendone leggenda. Diciassette anni di militanza durante i quali il mito di Pelé si allarga a tutto il territorio brasiliano, idolo incontrastato e simbolo di riscatto, vera e propria icona mondiale e archetipo del giovane brasiliano che riscatta le proprie origini povere grazie al talento con la palla tra i piedi. Pelé è leader di una nazionale piena zeppa di talento, in grado di sdoganare il mito del calcio brasileiro, tutto numeri ad effetto e divertimento che trascende il mero risultato finale, tanto caro al competitivo football europeo. Nel 1975 Pelé diventa uno dei primi manifesti sbandierati dal calcio nordamericano per far crescere il proprio movimento calcistico al fianco di Beckenbauer e l’ex laziale Chinaglia e approda ai New York Cosmos, tenendo fede al concetto basilare che sembra aver contraddistinto la sua carriera: il calcio come show d’intrattenimento, la giocata ad effetto come chicca esibizionista da sfoggiare in favore di pubblico. Pelé sembra aver scisso in due la propria carriera, affidando alla narrazione con la nazionale verdeoro il mix tra spettacolo e risultati. Unico calciatore ad aver vinto tre edizioni della Coppa del Mondo, la leggenda di Pelé si è alimentata nel corso degli anni, arricchita dal dualismo con Maradona, mai totalmente sopito. E se le reti ufficiali e riconosciute tra club e nazionali non sono proprio 1.000 non si può certo dire che siano risicate. Sommando le reti in maglia ‘Peixe’ a quelle nella Grande Mela, oltre al ricco bottino verdeoro, O Rei si attesta a quota 761, aggiudicandosi il gradino più basso del podio.
4. Romário (745)
L’appellativo di ‘erede di Pelé’ nel corso dei decenni è stato affibbiato a tantissimi giovani virgulti brasiliani. E se basarsi solo sul talento significa avventurarsi in un dibattito infinito e basato perlopiù sui propri gusti personali, i numeri raccontano che fin quasi ai livelli realizzativi di Pelé si è spinto Romário de Souza Faria, uno dei più grandi assi verdeoro di tutti i tempi.
Per certi versi agli antipodi rispetto ai canoni sudamericani, la carriera di Romário si differenzia notevolmente da diversi dei fuoriclasse contemporanei con i quali ha condiviso gli anni di vita professionale.
Dal 1985 al 2009 Baixinho ha calcato i maggiori palcoscenici del mondo, rappresentando per caratteristiche tecniche il prototipo perfetto del calciatore brasileiro che alla tecnica individuale coniuga l’abnegazione necessaria ad esaltare l’armonia del gioco delle formazioni nelle quali ha militato.
Se l’esperienza in Brasile – con vari intermezzi in Nordamerica, Qatar e Australia – lo vede cambiare frequentemente casacca privilegiando a più riprese quella bianconera del Vasco da Gama e quella rossonera del Flamengo, in Europa Romário vive un trascorso identico a quello che sarà il suo erede anche nella nazionale brasiliana, Ronaldo.
Romário sosta cinque anni in Olanda, al PSV Eindhoven, mettendo a referto una media goal stratosferica (149 presenze e 128 reti), e seppur in Catalogna l’exploit nel Dream Team di Cruijff sia riservato soprattutto alla stagione 1993-1994 (32 reti in 47 presenze) culminata con la clamorosa disfatta in finale di Coppa dei Campioni contro il Milan di Capello, il suo impatto nell’immaginario collettivo diventa nel corso degli anni assolutamente iconico. Il Brasile dei primi anni ’90 per i calciofili è soprattutto Romário e purtroppo i tifosi nostrani conservano un ricordo negativo indelebile del Baixinho.
Al campionato del mondo di USA 1994, Romário è l’autentico mattatore della formazione di Parreira, con cinque reti realizzate in tutto l’arco del torneo e una rete nella serie di calci di rigore della finale di Pasadena contro gli uomini di Sacchi.
5. Lionel Messi (743 – …)
Bandiera del Barcellona, squadra nella quale ha esordito a soli 17 anni nel 2004 conquistando tutto quello che c’era da vincere, Lionel Messi è considerato, insieme a CR7, il più grande fuoriclasse degli ultimi vent’anni e uno dei maggiori talenti della storia del calcio. Il dualismo con il campione di Funchal ha contraddistinto la narrazione sportiva degli ultimi decenni, creando inevitabili fazioni e sfide a distanza a suon di reti e performance sul tappeto verde.
Numeri da capogiro quelli della Pulce, soprattutto in maglia blaugrana: da 13 stagioni è sopra le 20 reti stagionali, con picchi clamorosi come l’annata 2011-2012, al termine della quale ha messo a referto 73 reti (!) in 60 partite.
Una carriera incredibile nonostante l’apporto alla nazionale argentina non abbia raggiunto sinora le vette sperate, prestando il fianco ai detrattori che nel paragone con Maradona hanno sempre visto un affronto per il Pibe de Oro.
Vincitore di 4 Palloni d’Oro (record assoluto), da più di quindici anni Messi è considerato il simbolo del talento divino, il Messiah – come l’ha ribattezzato Gary Lineker – a cui Dio ha affidato il genio che tutto gli permette con la palla fra i piedi, antitesi della vocazione asservita alla disciplina e all’applicazione costante, come viene considerata quella di CR7.
Il duello è meno attuale del solito perché entrambi stanno vivendo pagine complicate di carriera; da una parte la difficoltà di Cristiano di condurre la Juventus sul tetto d’Europa (un’eliminazione ai quarti e due agli ottavi durante il suo avvento a Vinovo) e dall’altra la tregua dopo la tempesta catalana della scorsa estate, quando per la prima volta pubblicamente Messi è entrato in rotta di collisione con l’ambiente e soprattutto con l’allora presidente del club, Bartomeu. Ma i numeri restano lì, scolpiti nella storia e indicano Leo Messi come il miglior marcatore nella storia del Barcellona, della Liga spagnola e della nazionale Albiceleste. Le credenziali per far parte di questa classifica ci sono tutte.
6. Gerd Müller (729)
3 novembre 2010. A San Siro il Real Madrid di José Mourinho – per la prima volta al Meazza dopo lo storico Triplete con l’Inter di qualche mese prima – affronta il Milan futuro campione d’Italia allenato da Massimiliano Allegri. In vantaggio i Blancos di una rete grazie al ‘Pipita’ Higuain, al minuto 60 Allegri sceglie di richiamare in panchina Ronaldinho per dare spazio alla fame di Pippo Inzaghi, che in pochi minuti buca Casillas per ben due volte (prima del pari definitivo di Pedro Leon). Grazie a questa storica doppietta Superpippo prima raggiunge e poi supera nella classifica dei bomber europei un nome illustre: Gerd Müller.
Possibilità di ridurre la grandezza del calcio tedesco alla mera logica dei numeri. Müller è stato questo per lo sport teutonico. Miglior marcatore di sempre nella storia del Bayer Monaco, Müller era il centravanti tedesco per antonomasia, il Bomber der Nation, ribattezzato anche Kleines dickes Müller (piccolo grasso Müller) per via del suo aspetto tarchiato e per nulla slanciato. Un autentico cecchino, non a caso stimolo incredibile per centravanti famelici come Inzaghi.
In Baviera dal 1964 al 1979, Müller ha messo la firma su 14 trofei, mantenendo per quasi quarant’anni il record di marcature in una sola stagione (73) e in un anno solare (85), prima di essere superato da chi lo precede in questa speciale classifica, Leo Messi.
Uno dei pochi calciatori ad aver vinto la classifica marcatori sia in un Mondiale sia all’Europeo, Müller collezionava record come noccioline, soprattutto in Bundesliga, dove regna in testa alla classifica dei goleador all time e in una sola stagione (40 reti nel 1971-72) ed è tuttora il calciatore ad aver segnato più volte cinque goal in un solo match (in 4 occasioni). In Europa – così come in nazionale, a due reti da un altro stakanovista del goal Miroslav Klose – è stato a lungo il miglior marcatore, poi spodestato da Cristiano Ronaldo, così come nella fase finale dei Mondiali, sopravanzato da Ronaldo il Fenomeno. Niente che possa scalfire la leggenda di Gerd Müller, mister 0,93 per media reti a partita.
7. Ferenc Puskás (704)
Fuoriclasse leggendario e protagonista assoluto dell’iconica Honvéd del ventennio ’40-’60, Forenc Puskás è stato uno dei grandi mancini della storia ‘pallonara’, al pari di Maradona. Giocatore dotato di una classe sopraffina abbinata ad una corporatura possente ma agile, Puskás ha costruito la propria continuità realizzativa grazie alle sue peculiarità da atleta moderno, che al fisico formatosi grazie ai duri allenamenti militareschi nelle giovanili ungheresi aggiungeva un tocco di palla rapido e vellutato, coltivato nelle infinite partitelle per strada con gli amici del quartiere.
La vita di Puskás si divise tra due nazioni. Dapprima l’Ungheria, dove cresce e si forma come uno dei calciatori maggiormente prolifici e completi del panorama calcistico dell’epoca, collezionando statistiche mostruose. Alla Honvéd mette a segno 378 reti in 369 presenze, trascorrendo periodi burrascosi nel periodo della rivoluzione ungherese del 1956, quando circola addirittura la notizia falsa della sua uccisione.
L’era-Honvéd si conclude da clandestino in Austria e poi in Italia e da squalificato dalla FIFA dopo il suo rifiuto, insieme a quello dei compagni, di rientrare in patria.
Avvicinato da Inter e Manchester United, Puskás si accorda con il Real Madrid di Santiago Bernabéu, dove si accasa per 8 anni e consolida la sua fama internazionale accanto al genio di Alfredo Di Stéfano. Con la formazione merengue arricchisce il palmarès di 6 campionati spagnoli e 3 Coppe dei Campioni, con un poker storico rifilato nella finale del 1960 all’Eintracht Francoforte.
Al Real vive una seconda giovinezza e accumula altre 242 reti in 262 partite, interpretando alla perfezione il ruolo di compare di magie con Di Stéfano. Ottenuta la cittadinanza spagnola, vestirà anche i colori iberici dopo quelli magiari. Le reti ufficiali di Ferenc Puskás si attestano a quota 704, nonostante siano andati perduti alcuni dati riguardanti il periodo della Seconda Guerra Mondiale, quando il campionato ungherese venne interrotto e ridimensionato in un torneo ristretto alle sole squadre di Budapest.
8. Eusébio (620)
Quando si pensa al Benfica solitamente le immagini che appaiono nella mente sono due: la maglietta encarnada (rossa) della squadra portoghese più titolata e il volto di Eusébio da Silva Ferreira. Soprannominato Pantera Negra (Pantera Nera), Eusébio è considerato uno dei più grandi fuoriclasse del calcio internazionale, trascinatore della nazionale ‘portuguesa’ e soprattutto del club sopracitato di Lisbona, del quale è diventato il simbolo maggiormente riconosciuto al mondo per quindici anni, approdandovi appena diciottenne per 350.000 escudi con un trasferimento piuttosto controverso. Il Benfica visse attimi di preoccupazione per un possibile ‘scippo’ del giocatore da parte dei rivali dello Sporting Lisbona, società affiliata al club del Mozambico nel quale militava Eusébio. Alla fine prevalse la società allenata da Béla Guttman che puntò sul giocatore considerandolo già pronto per recitare un ruolo da protagonista al contrario dello Sporting, intenzionato ad ingaggiarlo con un contratto junior e senza retribuzione.
Sin dalle prime stagioni in Portogallo Eusébio dimostra tutte le sue qualità atletiche e calcistiche, diventando uno dei giocatori più temuti in ambito internazionale.
Il Benfica durante il suo regno vive annate gloriose non solo in patria ma anche in Europa, riuscendo a raggiungere l’alloro europeo nella stagione 1961-62, conquistando la Coppa dei Campioni in finale contro il Real Madrid, battuto 5-3 grazie anche alla doppietta dell’asso portoghese, che si classifica secondo nel conteggio per il Pallone d’Oro, riconoscimento che otterrà nel 1965. L’anno successivo segnerà il parziale vantaggio nella finale contro il Milan di Altafini, che con una doppietta ribalterà poi il risultato permettendo al club rossonero di potersi fregiare per la prima volta del titolo di campione d’Europa. Magie in Europa e dominio incontrastato in Portogallo, con undici campionati e sette classifiche cannonieri in bacheca prima di svernare negli States.
9. Ferenc Deák (579)
Uno dei più grandi bomber dimenticati nella storia del calcio, Ferenc Deák veniva soprannominato Bamba (bambù) per il suo caratteristico stile di gioco, oggi assolutamente improponibile: Deák era solito posizionarsi all’interno del cerchio di centrocampo per scattare immediatamente appena il pallone circolava nella sua zona. Una tecnica attendista, quasi da felino che studia il posizionamento della preda prima di attaccarla con ferocia.
La sua carriera durò un ventennio, dal 1940 al 1960 e a differenza del suo connazionale ben più noto – Puskás – egli stazionò in Ungheria per tutto l’arco della sua carriera, tanto da rifiutare anche la chiamata del Torino, desideroso di portarlo in Italia.
Deák aveva un fiuto della rete invidiabile e la sua media goal era impressionante sin dagli esordi nelle serie inferiori con la maglia del Szentlőrinci, con la quale segnò quasi 300 reti prima di accasarsi ad un club maggiormente blasonato, il Ferencváros, con il quale riuscì a raggiungere il suo unico titolo nazionale in carriera. Ovviamente a suon di goal, ben 59. Dopo il rifiuto al trasferimento all’estero, Deák si rese protagonista di una rissa in un locale con due agenti dei servizi segreti che gli condizionerà la carriera, così come la sua pubblica ostilità nei confronti del regime comunista che finì per condurlo verso un lento e inesorabile oblio.
Nonostante un percorso tormentato e un prestigio oscurato dalla difficile situazione politica nella quale versava il territorio magiaro, Deák è stato al centro di un processo di rivalutazione negli ultimi decenni che l’ha condotto finalmente nell’Olimpo dei più grandi calciatori della storia, grazie ad un fiuto del goal raro e la media di 1.4 marcature a partita. Quelle accertate sono 579 ma chissà, magari tra qualche anno scopriremo che Deák di reti ne aveva bucate molte di più.
10. Túlio (571)
«Quando Túlio è in campo, non esiste gol banale» raccontava Armando Nogueira, uno dei più noti giornalisti sportivi brasiliani. Una caratteristica che sembra accomunare diversi campioni brasiliani del passato consiste in un passaggio di carriera nel calcio ad alti livelli europeo concentrata in poche annate e un successivo lento incedere in patria, magari cambiando spesso casacca.
Non è esente ad questa descrizione nemmeno l’ultimo componente di questa top 10 sui più prolifici marcatori nella storia del calcio.
Túlio Humberto Pereira Costa ha costruito una carriera lunga 32 anni e terminata ufficialmente soltanto nel 2019 all’età di 44 anni, dopo aver calcato una serie impressionante di campi da calcio viaggiando in lungo e in largo per il Brasile. Soprannominato Maravilha per la sua propensione a realizzare goal di pregevole fattura tecnica e per nulla banali nell’esecuzione, Túlio ha dimostrato di saper distribuire egregiamente il numero di reti in tutte le squadre nelle quali ha militato. Pochi bomber verdeoro hanno avuto la sua costanza, passando anche attraverso le categorie minori e facendosi apprezzare da tutte le curve sotto le quali ha esultato.
Il numero di goal impressionante accumulato nella sua ultra-trentennale carriera contrasta in parte con il suo apporto alla nazionale carioca. Breve e intenso, con 10 reti in 14 presenze ma anche un rigore decisivo sbagliato in finale di Copa America contro l’Uruguay e un goal viziato da un fallo di mano contro i rivali di sempre dell’Argentina, che nella categoria delle ‘reti segnate con la mano’ ha un precedente di lusso con risvolti divini.