Era il 23 luglio 2011 quando il mondo della musica accoglieva con sconcerto la notizia della morte di Amy Winehouse; una scomparsa prematura, avvenuta quando l’artista britannica aveva solo 27 anni, età che l’ha fatta entrare nel tristemente noto “Club 27” che riunisce tutti quegli artisti, in prevalenza cantanti rock, che sono morti proprio a questa età che molti considerano maledetta. Eppure, a differenza di quanto accaduto ai vari Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison e Kurt Cobain, la sensazione nel caso di Amy Winehouse resta che qualcosa in più si sarebbe potuto fare. Perché una parte di lei, in fondo, voleva guarire e scacciare quel demone che la teneva prigioniera. Un demone che la perseguitava e che l’ha divorata nel giro di pochissimo tempo. Nessuno può dire con certezza che, con un po’ di aiuto e supporto, Amy Winehouse ne sarebbe uscita e avrebbe affrontato una vita più regolare ma, di certo, ad oggi rimane il rammarico di non averci neanche provato. L’artista britannica, infatti, è morta nella più totale solitudine, dopo che era stata costretta a sospendere il suo tour perché nessuno a lei vicino era stato in grado di evitarle quelle figuracce sui palchi europei e quei fischi che le hanno inflitto la ferita definitiva. Un dolore così profondo da convincerla un’ultima volta a tentare di disintossicarsi dall’alcool.
Ed effettivamente all’epoca riuscì a rimanere senza droghe e senza alcool per diverse settimane finché, quella maledetta notte tra il 22 ed il 23 luglio 2011, non si è ritrovata da sola nella sua casa di Camden Town, a scorrere i video che la ritraevano in condizioni pessime sul palco, a sentire nuovamente quei fischi. A quel punto il dispiacere e la vergogna sono stati tali da portarla a bere di nuovo, rimanendo uccisa da uno shock chiamato stop and go, provocato cioè dall’assunzione di una massiccia dose di alcol dopo un lungo periodo di astinenza. Il suo corpo minuto è stato trovato senza vita soltanto molte ore dopo e questo non può che far storcere ulteriormente il naso a chi ancora oggi si domanda come sia stato possibile lasciare tutto quel tempo da sola una ragazza in un periodo così delicato ed anche come, in precedenza, nessuno sia riuscito a proteggerla dal giudizio della gente e dalla morbosità dei paparazzi che non si sono mai fatti scrupoli a darla in pasto alle prime pagine dei media quando era nelle peggiori condizioni psicofisiche.
Molte domande non troveranno mai risposta e, a distanza di dieci anni, l’unica cosa che possiamo fare è riascoltare le canzoni di Amy Winehouse più famose per ricordare quanto grande fosse quel talento che in pochi anni l’ha resa uno dei maggiori rimpianti della musica internazionale.
1. Love is a Losing Game
Iniziamo il viaggio nelle opere della breve ma intensa discografia di Amy Winehouse con uno dei suoi brani più struggenti, Love is a Losing Game. Scritta interamente dall’artista britannica, quest’opera lascia emergere tutta la sua disillusione nei confronti dell’amore, attraverso frasi come “L’amore è un gioco in cui si perde, a cui vorrei non aver mai giocato” o “L’amore è una mano perdente, più di quanto potessi sopportare“. Una scrittura diretta, che Amy Winehouse trasforma in musica attraverso un’esecuzione estremamente delicata e malinconica.
2. Rehab
In questo caso parliamo probabilmente del brano più celebre di Amy Winehouse, quello che esattamente 15 anni fa ha consacrato la cantautrice britannica a livello internazionale. In questo caso, l’artista racconta il rifiuto per il percorso di riabilitazione, che invece i suoi manager le avevano chiesto di affrontare. Durante la promozione del pezzo, la stessa cantante ha raccontato: “Ho chiesto a mio padre se pensava che avessi bisogno di andare in rehab. Ha detto ‘No, ma dovresti provarci’. Quindi l’ho fatto, ma sono durata 15 minuti. Ho detto ‘ciao’ ed ho spiegato che bevo perché sono innamorata ed ho rovinato la mia relazione. Poi sono uscita“. Nella canzone, Amy Winehouse spiega di non credere nella riabilitazione se per prima non è lei stessa a sentire la voglia di cambiare davvero (“Non c’è niente che tu possa insegnarmi che non abbia già imparato con Mr. Hathaway“), sottolineando come in fondo lei avesse bisogno semplicemente di un amico (“Sono stata triste ma quando passerà non vorrò bere mai più, ho solo bisogno di un amico“. All’epoca della sua pubblicazione, la canzone diventò disco di platino in Italia, in Svizzera, in Spagna, in Danimarca e negli Stati Uniti.
3. Our day will come
Questo rappresenta invece il secondo singolo di Amy Winehouse estratto dall’album postumo Lioness: Hidden Treasures. Si tratta di una reinterpretazione dell’omonima canzone di Ruby and the Romantics, risalente agli anni ’60. In realtà era stata registrata tra il 2002 e il 2003 per essere inserita nell’album Frank ma soltanto dopo la tragica scomparsa dell’artista il produttore Salaam Remi scelse di inserirlo nel disco postumo, definendolo “Un ricordo commovente del suo talento“. In effetti, nonostante le sonorità ed un ritmo tutt’altro che tristi, ascoltare il brano dopo la morte di Amy Winehouse ha portato i fan e gli ascoltatori in generale a provare una profonda nostalgia, derivante dalla consapevolezza di aver perso un talento assoluto che ancora avrebbe potuto dare tanto alla musica.
4. Do you still love me tomorrow?
Anche in questo caso parliamo di un brano che Amy Winehouse ha scelto di reinterpretare, optando per una versione decisamente più malinconica rispetto a quella originale. Scritta nel 1960 da Gerry Goffin e Carole King, la canzone è stata rivisitata da numerosi artisti nel corso degli anni, a cominciare dalle Shirelles che hanno inciso la loro versione esattamente 60 anni fa, occupando il 1º posto della Billboard Hot 100 per due settimane. Quella di Amy Winehouse rappresenta una delle versioni più recenti (dopo di lei c’è stata solo quella di Leslie Grace in versione bachata) e sicuramente una delle più apprezzate di sempre. Realizzato nel 2004 per il film Che pasticcio, Bridget Jones!, il singolo è il terzo estratto dall’album postumo Lioness: Hidden Treasures. Impossibile rimanere indifferenti mentre l’artista britannica canta frasi come “Stanotte la luce dell’amore è nei tuoi occhi ma mi amerai ancora domani?” e “Il mio cuore sarà spezzato quando la notte incontrerà la luce del mattino?“, che ne lasciano emergere, ancora una volta, tutte le insicurezze e le fragilità.
5. You know i’m no good
Torniamo a parlare dei brani “originali” di Amy Winehouse, ricordando questo singolo contenuto nell’album Back to Black. Prodotta da Mark Ronson, la canzone è caratterizzata da sonorità R&B, con riferimenti al jazz, all’hip-hop e al soul. Dal punto di vista delle vendite, You know i’m no good è diventato disco di platino in Italia, in Svizzera e nel Regno Unito. Con un testo a metà tra l’ironico ed il serio, Amy Winehouse racconta di aver tradito il suo fidanzato e di essere ricaduta nel vizio dell’alcool, dicendo però alla gente “Io ci provo ma alla fine sapete che sono fatta così e che non sono brava“. Lascia quindi emergere tutta la schiettezza che la contraddistingueva ma anche un’amara rassegnazione a quell’altalena di stati d’animo che l’ha accompagnata fino all’ultimo.
6. Valerie
Altro giro, altra cover. Si tratta di una canzone inserita nell’album postumo Lioness: Hidden Treasures, che molti hanno conosciuto anche grazie alla reinterpretazione firmata da Naya Rivera, un’altra artista tragicamente scomparsa a soli 33 anni, nel luglio del 2020. Rivera ha eseguito il brano nella serie TV Glee, dando vita ad una performance che ha reso giustizia alla versione meno rock ma decisamente più travolgente della canzone, realizzata dalla cantante britannica. Nel video che riportiamo di seguito è possibile ascoltare una versione acustica di Valerie, dalla quale emerge ancora una volta lo straordinario talento di Amy Winehouse, nonché la potenza della sua voce che esce dal suo corpo minuto con estrema naturalezza, senza il minimo sforzo.
7. Stronger Than Me
Facciamo un salto nel tempo, tornando al 2003, quando cioè veniva pubblicato il singolo di debutto di Amy Winehouse. Estratto dall’album Frank, il brano ha calamitato sin da subito l’interesse della critica, lasciando intuire tutto il talento dell’artista britannica. Alcuni, già all’epoca, avevano di certo previsto che quella ragazza avrebbe lasciato un segno indelebile nella storia della musica mondiale, mentre nessuno poteva probabilmente immaginarne il tragico destino. La canzone, scritta dalla stessa Winehouse, racconta la relazione con un ragazzo che, anziché prendersi cura della propria fidanzata, si comporta in maniera infantile per far sì che l’attenzione rimanga tutta su di lui. Il videoclip mostra perfettamente questo scenario ed infatti vediamo la cantante che si arrabbia con il ragazzo che nel frattempo è troppo ubriaco per capire quello che lei sta dicendo e di cui ha bisogno. Riportiamo l’esibizione dal vivo al Festivalbar del 2004, in cui la vediamo all’inizio della sua carriera, ancora con pochi tatuaggi ed una condizione fisica ben lontana da quella che ha caratterizzato i suoi anni più bui.
8. Back to Black
Insieme a Rehab, questo è senza dubbio il brano più famoso e amato di Amy Winehouse, disco di platino in Italia, negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Grecia e in Svizzera. Dal punto di vista del testo, la canzone sembra rappresentare l’emblema degli ultimi anni dell’artista. Quel “nero” a cui fa riferimento il titolo può essere visto come il baratro nel quale Winehouse è sprofondata in seguito alla relazione malata con Blake Fielder-Civil, il più grande amore e demone della sua vita. Nel comporre il singolo, la cantante si è ispirata proprio al dolore provato nel momento in cui l’uomo l’ha lasciata per tornare dalla sua ex fidanzata (anche se molti pensano si riferisse al ritorno alla tossicodipendenza). Nonostante la depressione dalla quale si è sentita travolta in quel frangente, Amy Winehouse scrive di volersi asciugare le lacrime e andare comunque avanti a testa alta. Nell’ormai celebre videoclip (oltre 700 milioni di visualizzazioni su Youtube) si vede però come la cantante partecipi al funerale di se stessa, proprio a voler sottolineare che dopo la fine della storia con Blake non avrebbe più vissuto e provato emozioni ma avrebbe tentato semplicemente di sopravvivere (“Ci siamo detti addio solo a parole, sono morta un centinaio di volte, tu torni da lei ed io torno nel nero“), riuscendoci però solo a malapena, fino a quel maledetto 23 luglio del 2011.
9. Tears dry on their own
Torniamo a parole e sonorità meno drammatiche con questo che è stato il quarto singolo estratto dall’album Back to Black. Scritta anch’essa da Amy Winehouse, la canzone (così come tutto l’album) fa riferimento alla relazione finita con Blake. Nel titolo ritroviamo infatti le “lacrime che si asciugano da sole” di cui l’artista aveva già parlato nella title track del disco. Troviamo anche la descrizione del rapporto concluso, dei passi che l’uomo fa mentre si allontana da lei che questa volta sottolinea quanto si senta ingenua per aver perso tempo e creduto in un futuro con una persona tanto egoista e immatura. Spezzoni di testo come “Ti aspettavo nella stanza dell’hotel a tarda notte, sapevo di non aver trovato la persona giusta ma, non so perché, mi sono affezionata così tanto. Ma è una mia responsabilità e tu non mi devi niente” o anche “Io non capisco perché stresso un uomo quando ci sono così tante cose più importanti da fare. Potevamo non affrontare tutto questo ma abbiamo dovuto schiantarci contro un muro e questo è un inevitabile finale“, lasciano intendere perfettamente il rammarico dell’artista che però, alla fine dei conti, si è scoperta ancora più fragile di quanto potesse immaginare.
10. Fuck Me Pumps
Quarta traccia dell’album Frank, questo brano contiene tutto il sarcasmo critico di Amy Winehouse che tramite questo testo fa riferimento alle cosiddette gold – digger, le giovani donne che frequentano uomini facoltosi solo per trarne benefici economici. In inglese il termine Pump definisce un tipo di scarpa a tacchi alti molto scollata, ed il titolo del brano fa riferimento alle calzature dal maggior richiamo sessuale. Nel videoclip vediamo Amy Winehouse mentre passeggia di mattina, alla chiusura dei locali notturni, con in mano un microfono, il cui cavo ha una lunghezza indefinita (si srotola lungo il cammino). Nel testo, Amy Winehouse spiega ad una di queste donne che “Senza ragazze come te non c’è vita notturna”, anche se poi “gli uomini tornano a casa dalle loro mogli”. Si legge poi: “Non ti perdi una serata, perché il tuo sogno della vita è diventare la moglie di un calciatore. Dovresti saperlo che vieni sempre usata e gettata via, quindi ora lucidati le tue ‘fuck-me pump’” (praticamente un invito a non lamentarsi della vita che ha scelto).
11. Body and Soul
Concludiamo questo omaggio ad Amy Winehouse con un duetto. Si tratta di una cover del brano jazz che, dagli anni Trenta in poi è stato rielaborato da numerosi artisti, tra cui Louis Armstrong. L’artista britannica l’ha reinterpretato insieme a Tony Bennett che l’ha quindi inserito nel suo album Duets II (che contiene anche la celebre The Lady is a Tramp con Lady Gaga). Nel guardare il videoclip della canzone non si può che provare un pizzico di malinconia. Le immagini mostrano infatti Amy Winehouse ed il crooner statunitense nella sala d’incisione degli Abbey Road Studios, dove la cantante appare profondamente triste, capace comunque di tirar fuori la forza necessaria per dar vita ad un’esecuzione tanto impeccabile quanto straziante. Considerando che l’album di Bennett è stato pubblicato nel settembre 2011, due mesi dopo la morte dell’artista, questa viene considerata, di fatto, la sua canzone d’addio, contenente frasi premonitrici come “Sembra che sia la fine, a meno che non possa avere una possibilità in più per provarci”. Ricordando quella giornata trascorsa insieme, Bennett ha in seguito dichiarato: “È stato molto bello registrare insieme in studio. So che Amy era molto felice della sua prestazione di quel giorno. Penso che sia stata fantastica. Era un talento raro“. Il cantante ha anche sottolineato di aver percepito sin da subito il disagio della giovane collega: “Quando abbiamo registrato era in difficoltà. Aveva problemi e non aveva più voglia di vivere. Non è stata la droga ad ucciderla, è stato l’alcool”.