Il cinema di Marco Bellocchio rappresenta una delle più alte espressioni della Settima Arte nel nostro paese; nessuno come lui ha saputo raccontare con tono provocatorio ed anticonformista le ipocrisie della piccola e media borghesia dell’Italia del Dopoguerra, la contrapposizione tra questo ceto medio-alto al Paese della provincia agricola ed arretrata, i rapporti talvolta malati e morbosi che si instaurano all’interno delle famiglie italiane. Madri/padri e figli sempre in conflitto, scontri generazionali, traumi infantili che finiscono per influenzare il destino dei protagonisti del cinema di Bellocchio in età adulta, questi i temi fondanti del suo cinema. Se l’arte dietro la macchina da presa del regista piacentino dovesse misurare lo stato di salute dell’Italia dal Dopoguerra ad oggi, sarebbe un medico lucidissimo e senza pietà.
Ecco i migliori film di Marco Bellocchio, le più belle pellicole della sua carriera come regista e sceneggiatore, per celebrare l’arte di uno dei nostri più grandi cineasti viventi.
1. I pugni in tasca
Debutto assoluto per Marco Bellocchio dietro la macchina da presa per un lungometraggio, e per molta critica cinematografica, questo è il suo film più bello. Siamo nel 1965 e questo ritratto in bianco e nero di una famiglia epilettica nella provincia piacentina del Dopoguerra ha fatto scuola, entrando di diritto nella Storia del Cinema Italiano. Ne I pugni in tasca, c’è già tutto il cinema di Bellocchio, le sue ossessioni, i suoi temi, il suo anticonformismo dietro la macchina da presa.
2. Vincere
Nel 2009, per questo film, Bellocchio vince il suo primo David di Donatello alla regia (il secondo arriverà nel 2020 per Il traditore). Racconto, tra finzione e repertorio storico, di Ida Dalser, una delle amanti di Benito Mussolini che verrà internata in un manicomio dallo stesso politico dopo che quest’ultima, invaghitasi di lui, diventerà troppo invadente nella sua vita privata e pubblica. Benito Albino, figlio della Dalser e mai ufficialmente riconosciuto dal futuro leader del Partito Fascista, morirà in un istituto psichiatrico nel 1942, abbandonato poi dalle istituzioni del tempo. Un mirabile esempio cinematografico in cui il rapporto trino madre/padre – figlio finisce per fotografare con lucidità e grande forza visiva uno dei momenti più bui della Storia italiana. Con due sontuosi Giovanna Mezzogiorno e Filippo Timi.
3. Buongiorno, Notte
Nel 2003 arriva nelle sale italiane uno dei lungometraggi più amati della filmografia di Marco Bellocchio. Il racconto del rapimento di Aldo Moro, leader politico della DC ed ex-Presidente del Consiglio, è qui raccontato attraverso le parole del romanzo Il prigioniero di Anna Laura Braghetti, ex-brigatista e un titolo, quello del film, che richiama la traduzione della poesia di Emily Dickinson “Good morning, midnight”. Con un dei finali più struggenti del cinema italiano di sempre sulle note immortali di “The Great Gig in the Sky” dei Pink Floyd. Imperdibile.
4. L’ora di religione (Il sorriso di mia madre)
Un anno prima di Buongiorno, Notte, un altro caposaldo della filmografia di Marco Bellocchio. Sergio Castellitto è il protagonista di una storia familiare tormentata e misteriosa che si intreccia con sapienza narrativa e acume intellettuale alla personale idea di ateismo dello stesso regista. Un’invettiva profonda e radicale alla religiosità provinciale e da salotto dell’Italia imbevuta di Cristianesimo dove torna di nuovo, prepotentemente, il tema della pazzia e della malattia mentale. Un tema caro a Bellocchio in molti dei suoi film precedenti e successivi, un modo di omaggiare e ricordare le sue dolorose radici famigliari, sconquassate dalla morte per suicidio del fratello gemello Camillo all’età di 29 anni.
5. Esterno Notte
Un film? Un prodotto televisivo? Un’epopea audiovisiva che è arrivata nelle sale divisa in due parti e in tv come serie di sei episodi? L’ultima fatica scritta e diretta da Marco Bellocchio sembra quasi non volersi incasellare né all’interno del mezzo propriamente cinematografico, al buio di una sala, né all’interno degli spazi limitanti di un piccolo schermo casalingo. Ma la qualità, altissima, di Esterno Notte pare travalicare ogni idea preconcetta. Ancora una volta il regista piacentino si immerge nell’affaire Moro, raccontandone, però, i dolorosi 55 giorni del rapimento nel 1978 attraverso molteplici punti di vista inediti: quello dello stesso leader della DC, della moglie di Moro, di Papa Paolo VI, del Ministro degli Interni Cossiga e di alcuni giovani brigatisti. Un affresco illuminante e lucidissimo di una delle pagine più nere della storia della Repubblica Italiana, un capolavoro di narrazione per il piccolo (grande) schermo, regalato al suo pubblico all’età di 82 anni.