Affermatosi a livello globale negli anni Novanta, John Woo è l’esempio registico di come, un autore, può vivere a cavallo di due mondi, ossia quello orientale e quello occidentale. Dagli esordi con le commedie e i wuxiapian, Woo si è specializzato nel genere d’azione. (Ri)scopriamo, insieme, perché è tra i migliori registi Made in Hong Kong.
Chi è John Woo
Wu Yu-sen (questo il vero nome di John Woo in mandarino) nasce a Canton, città nel Sud della Cina il 23 settembre del 1946. Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio dei Cinquanta, la famiglia decide di abbandonare la Cina e trasferirsi a Hong Kong. Il trasferimento, tuttavia, non è dei più rosei: il padre soffre di tubercolosi e la madre deve prendere le redini della famiglia, badando ai tre figli (John, un fratello e una sorella). A complicare l’esistenza del nucleo familiare, è un incendio che distrugge l’intero quartiere. John e i suoi, così, si ritrovano per strada, a contatto con la criminalità e lo squallore. Riusciti a trasferirsi in un piccolo appartamento di Kowloon, anche qui devono fare i conti con il degrado e situazioni al limite. L’unico luogo scevro da tali orrori è la chiesa che fequentano. Difatti, la famiglia Woo è di fede protestante. All’età di nove anni, John riceve un contributo economico da parte di una famiglia americana, il che gli permette di studiare e di iscriversi al Matteo Ricci College. Tra i dieci e i dodici anni, il futuro regista si innamora del cinema.
La lunga strada verso il successo
Il primo film che rimane nella memoria del giovane Woo è Il mago di Oz di Victor Flaming. Da qui, è solamente un crescendo di studi in merito e tanta passione. Tuttavia, il padre muore e, già sedicenne, John si vede costretto a trovare un lavoro per sostenere la famiglia. Inizia una collaborazione con il Chinese Study Weekly, giornale locale che si occupa di critica cinematografica. Sopraggiunti gli anni Settanta, Hong Kong è in piena rivoluzione culturale e, a soli ventitré anni, Woo viene assunto come tuttofare e poi, facendosi notare, come supervisore alla sceneggiatura presso i Cathay Studios. Tuttavia, lo studio di produzione è sul viale del tramonto e una proposta lavorativa da parte della Shaw Brothers non tarda ad arrivare. Woo si accinge a essere l’aiuto regista di nomi come Qi Shi e Shui Zhun. Ma la svolta avviene con l’incontro con regista Chang Cheh, che offre al giovane John un completo apprendistato. Intanto, la Cathay Studios viene rivelata da Raymond Chow, diventando la Golden Harvest, da quel momento in poi concorrente della Shaw Brothers. Nel 1973, grazie al finanziamento da parte di un amico, Woo scrive e dirige il suo primo film, The Young Dragons.
Dai film di kung fu alle commedie
Nonostante un blocco di due anni a causa di contenuti violenti, The Young Dragons è il lasciapassare nel mondo registico per Woo. Acquistato e distribuito dalla Gondel Harvest, il suo primo film ottiene ottimi riscontri, permettendo a Woo di continuare con altri lavori: è il caso di The Dragon Tamers, Hand of Death e Princess Chang Ping. Ma, al tempo stesso, gli vengono commissionate delle commedie, genere verso cui non nutre un grande interesse ma che gli permette di affinare le proprie doti. Alternando wuxiapian e comedy, nel regista si fa strada l’idea di dirigere dei film com meno restrizioni e forti di influenze come quelle di Sam Peckinpah e Jean-Pierre Melville. Trasferitosi con la sua famiglia a Los Angeles, dopo poco tempo rientra a Hong Kong accettando dei lavori per conto della Cinema City. Ma anche qui, le sue aspettative vengono meno. Nell’83 gira il film di guerra Heroes shed no Tears, senza ottenere il visto per la distribuzione. Woo inizia a soffrire di depressione e ad abusare di alcolici. Ma ecco che, nel 1985, c’è la svolta: fa la conoscenza di Tsui Hark, fondatore della Film Workshop ed ex collega alla Cinema City.
La svolta: Woo dirige A Better Tomorrow
A Better Tomorrow rappresenta il cambio di registro per un nuovamente motivato John Woo. A metà strada tra gangster movie e noir, A Better Tomorrow segna la nascita di quello che, il critico Rick Backer, chiama Heroic Bloodshed, ossia eroico spargimento di sangue. In questo film, Woo riversa tutta una serie di tematiche come la lealtà, il senso dell’amicizia e del sacrificio alternando, questi, a tematiche come la morte tragica e lo spargimento di sangue. Non a caso, il primo lavoro di quello che potrebbe giustamente essere identificato come secondo periodo hongkonghese di Woo, ha un contenuto estremamente violento. Alternando furiose sparatorie a momenti più introspettivi, si carpisce che l’Heroic Bloodshed è una forma di redenzione attraverso le vie della violenza. Paradossale, certo. Ma non per nulla banale nella visione antieroistica di Woo. Diventato un vero e proprio cult, nell’87 arriva A Better Tomorrow II che divide critica e pubblico riuscendo, però, a ottenere un buon successo. Iniziano alcuni dissidi tra Woo e Tsui Hark. Nel 1989 il regista dirige a quattro mani Just Heroes e, subito dopo, The Killer liberamente ispirato a Frank Costello faccia d’angelo.
The Killer e i lavori successivi
The Killer si può annoverare tra i capolavori wooiani. Successo totale per il regista che, però, si vede costretto a interrompere la collaborazione con Tsui Hark poiché, questi, ha girato A Better Tomorrow III senza mettere a conoscenza del progetto il collega. Nel 1990, Woo dirige quella che può essere definita la sua summa stilistica: Bullet in the Head, annichilente dramma a metà strada tra film di guerra e d’azione. Qui, i valori cavallereschi insiti nel regista detonano con la stessa potenza dei colpi di pistola esplosi. Mentre, nel ’92, è la volta di Hard Boiled, poliziesco senza un attimo di sosta che segna, per il momento, la fine del secondo periodo hongkonghese di Woo. Corteggiato dagli States l’autore si trasferisce nuovamente nella Nazione a stelle e strisce. Qui nascono film come Senza tregua, Nome in codice: Broken Arrow, Face/Off – Due facce di un assassino, Mission: Impossible 2, Windtalkers, Paycheck. Tuttavia alti e bassi segnano la permanenza americana di Woo il quale, anche qui, si sente limitato nelle sue scelte contenutistiche. Rientrato, nuovamente, in patria dirige il kolossal La battaglia dei tre regni, il dramma The Crossing, Manhunt e co-dirige La congiura della pietra nera.
Poetica e stile di un regista visionario
Se fino a questo punto la poetica wooiana è stata analizzata en passant, è giunto il momento, dopo un attento sopralluogo nella carriera del regista, spiegare quella che è la sua visione contenutistica dei film da lui diretti. Come già affermato, nelle sue pellicole sono forti temi quali il senso del sacrificio nonché quello dell’amicizia leale. Al tempo stesso, nella produzione di stampo Heroic Bloodshed di Woo, anche il male è ben presente: tradimento, ingiustizia e soprusi sono il contraltare della visione eroistica (e in alcuni casi anti[eroistica]) insita nei suoi film. Ed è questo scontro di forze dicotomiche, bene e male, che porta i personaggi wooiani, solitamente caduti in disgrazia o che si trascinano con dentro colpe che pesano come macigni, a riprendere la strada del guerriero, di un risolutore che deve, per etica e giustezza, risolvere l’eterno scontro tra i buoni e i cattivi. È l’eroico spargimento di sangue, forma ultima di sacrificio in extrema ratio volto a garantire, per chi rimane, un domani migliore (parafrasando lo stesso A Better Tomorrow) perché il male non può avere terreno fertile.
L’eredità wooiana
A quasi settantacinque anni di età, ci si domanda quale sarà l’eredità che, un domani, John Woo lascerà ai cinefili e agli addetti ai lavori. Di certo è vero che non bisognerà aspettare la dipartita di un grande del cinema come lui per poter vedere, così, qualcuno che ne raccolga l’imprinting. Già nel corso degli anni passati, non sono stati pochi i tentativi di emulazione, alcuni con risultati buoni (pensiamo al franchise di John Wick), altri tralasciabili di replicare il Woo Style. Eppure, ancora oggi, è impossibile spodestare dal trono di re dell’Heroic Bloodshed, questo profondo quanto innovativo regista chiamato John Woo.