L’ultimo grande divo di Hollywood, uno degli interpreti più iconici del secolo scorso, oggi spegne 84 candeline. Nato a Neptune City (New Jersey) il 22 aprile 1937, Jack Nicholson rappresenta uno di quei rari casi a Hollywood in cui un singolo attore, oltre ad essere ancora oggi imbattuto per quanto riguarda le vittorie e le nomination agli Oscar (3 le prime, 12 le seconde), può vantare una filmografia che include alcune tra le migliori opere nella storia del cinema, nonché di aver lavorato con i migliori registi: da Stanley Kubrik a Martin Scorsese, da Roman Polanski a Miloš Forman, da John Huston a Tim Burton, da Mike Nichols ad Arthur Penn, da Bob Rafelson a Michelangelo Antonioni, per citarne solo alcuni.
Jack Nicholson ha attraversato e rappresentato la storia del cinema Hollywoodiano degli ultimi sessant’anni in tutte le sue sfaccettature e in tutte le sue correnti stilistiche e tematiche. D’altra parte non esiste altro attore, dopo Marlon Brando, che abbia saputo dimostrare lo stesso talento, carisma e quell’attitudine “larger-than-life” di Jack Nicholson. Molti dei suoi ruoli si sono impressi a fuoco nell’immaginario collettivo Hollywoodiano, basti pensare al suo Jack Torrance in Shining e al suo ghigno diabolico, al suo Joker, gangster post-moderno che concepisce l’omicidio come gesto artistico, o ancora al detective privato J.J. Gittes in Chinatown, con il famoso cerotto al naso, e la lista potrebbe continuare.Molti dei film da lui interpretati sono stati dei veri successi di pubblico e di critica, ma ci sono tanti altri suoi film che per i pochi incassi, per le recensioni poco lusinghiere o semplicemente per essere stati schiacciati dal peso delle sue interpretazioni più famose, sono stati relegati a una sorta di filmografia “minore”.
Quindi, in occasione del suo compleanno, scopriamo assieme 5 dei film meno conosciuti di Jack Nicholson da vedere assolutamente.
1. L’Ultima Corvé (The Last Detail, 1973 – Hal Ashby)
Nel 1973 Hal Hasby dirige un film del quale si parla sempre troppo poco: L’ultima Corvé. Due sottufficiali di marina, Billy “Badass” Buddusky (Jack Nicholson – “Somawsky” nella versione italiana) e Richard “Mule” Mulhall (Otis Young) sono incaricati di scortare il diciottenne marinaio Larry Meadows (Randy Quaid) verso il carcere militare di Portsmouth, a seguito di una condanna a otto anni per aver rubato quaranta dollari dal fondo di beneficenza della moglie di un ammiraglio. Durante il loro lungo viaggio, i due sottufficiali si affezioneranno al giovane, iniziandolo all’età adulta, ai suoi piaceri e alle sue sofferenze.
Il film di Ashby è fondamentalmente un road movie dove, come sempre accade, il viaggio coincide con una crescita personale, con una presa di coscienza. Ma questa volta (come già era accaduto in Easy Rider, seppur con intenti differenti) ciò che si trova sulla strada sono i resti di un disastrato sogno americano. Il senso fraterno e l’euforia che scaturiscono nel vedere il giovane marinaio mentre per la prima volta assaggia i piaceri della vita, procedono parallelamente all’ineluttabilità di un imminente destino che non fa sconti a nessuno.
Jack Nicholson dà vita a un marinaio con la battuta sempre pronta, euforico, con scatti d’ira improvvisi e con delle punte di follia goliardica, ma che allo stesso tempo conserva un forte scetticismo nei confronti del mondo che lo circonda, nonché una certa insofferenza alle regole di qualsiasi tipo esso siano. La sceneggiatura di Robert Towne esce quindi arricchita dalla performance di Nicholson che, come ha scritto Michel Cieutat in un suo articolo dedicatogli sulla rivista “Positif”, è un interprete “che mette in permanenza l’accento sulla complessità umana grazie all’aspetto fisico: le sopracciglia arcuate danno allo sguardo un aspetto demoniaco, contraddetto dall’infantile franchezza del sorriso“.
2. Missouri (The Missouri Break, 1976 – Arthur Penn)
E’ il 1870 e Tom Logan (Jack Nicholson) è a capo di una banda di ladri di cavalli nel Montana. Per difendersi, il ricco allevatore David Braxton assume Lee Clayton (Marlon Brando), tanto eccentrico quanto letale cacciatore di taglie, che si metterà sulle tracce della banda di Logan. L’epoca della New Hollywood si è conclusa da un anno e Arthur Penn, regista che aveva inaugurato proprio quell’epoca con Gangster Story (Bonnie and Clyde, 1967), recluta due pesi massimi come Nicholson e Brando per dare vita a un Western atipico, evitando accuratamente i tòpoi del genere.
Jack Nicholson mette in scena un cowboy moderato, contenuto, che non cede (se non in una piccola occasione) a sfuriate, che non è affatto sopra le righe, al contrario dei suoi personaggi più famosi. Marlon Brando è indimenticabile nella sua pacatissima follia, che lo porta ad essere un pericoloso assassino dai mille volti, innamorato del suo cavallo più di quanto ami sé stesso. Da un punto di vista commerciale, nonostante le aspettative che il pubblico aveva di vedere finalmente insieme sullo schermo Nicholson e Brando, fu un insuccesso. Si tratta di un film che va assolutamente recuperato, in quanto rappresentate di un genere solo apparentemente defunto a Hollywood, ma che in realtà aveva ancora molto da dire. In più, si tratta di uno di quei casi nella filmografia di Jack Nicholson dove egli lavora per sottrazione, mai per eccesso, restituendo un personaggio autenticamente ai margini della società, dimenticato da tutti tranne che dai suoi simili.
3. Il grande Inganno (The Two Jakes, 1990 – Jack Nicholson)
Los Angeles, 1984. Jake Berman (Harvey Keitel) assume l’investigatore privato J.J. Gittes (Jack Nicholson) per scoprire il tradimento della moglie. Durante l’appostamento il detective registra l’incontro tra i due amanti, fino a quando il marito non irrompe nella stanza sparando a Mark Bodine, l’uomo con il quale la moglie lo stava tradendo. Una volta dileguatosi dalla scena del crimine, Gittes riascolta il nastro che è riuscito a portare con sé, scoprendo dalle parole dei due amanti che Berman e Bodine non erano solo antagonisti in amore, ma rivali anche negli affari. Bodine infatti lo ricattava per mettere le mani sui diritti minerari dei terreni da loro lottizzati.
Questo è l’incipit di una trama molto complessa, come d’altro canto accade in ogni noir che si rispetti: molti personaggi, tante trame e altrettante sottotrame, legate a doppio filo con quanto narrato in Chinatown (Roman Polanski, 1974), di cui Il Grande Inganno è il seguito diretto. Jack Nicholson accarezzava da anni l’idea di continuare a raccontare la storia del detective J.J. Gittes, ma il progetto non era nato sotto una buona stella. Le vicende produttive furono incredibilmente complesse e si protrassero per molti anni, con produttori, registi e sceneggiatori che andavano e venivano quando ancora le riprese non erano nemmeno cominciate. Il film fu un insuccesso di pubblico e critica, anche a causa della pesantissima eredità che si portava sulle spalle. Nonostante le numerose critiche, Jack Nicholson dietro la macchina da presa riesce a dare vita a un’opera affascinante nelle sue atmosfere assolate, nei suoi tramonti, nelle ombre delle veneziane che si stagliano sui volti smarriti dei personaggi. Davanti la macchina da presa invece ci restituisce un’altra volta, un carattere posato, per certi versi quasi passivo nei confronti del mondo che lo circonda, o come ne ha scritto Fabio Bo in un suo articolo su Il Messaggero: “Il dolce, ingannevole estraniamento e la grazia pachidermica di un Jack Nicholson controllato (…)”.
4. Blood and Wine (Blood and Wine, 1996 – Bob Rafelson)
Alex Gates (Jack Nicholson) è un commerciante di vini pregiati. Visti i debiti accumulati e le difficoltà nel mantenere la moglie Suzanne (Judy Davis) e il figliastro Jason (Stephen Dorff), con l’aiuto di Victor (Michael Cain), abile scassinatore di casseforti, decide di rubare una preziosissima collana a una coppia di suoi clienti. Il furto avrà delle conseguenze inimmaginabili per tutti loro. Jack Nicholson torna a lavorare con il regista Bob Rafelson dopo Cinque Pezzi Facili (Five Easy Pieces, 1970) e Il Re dei Giardini di Marvin (The Kings of Marvin Gardens, 1972), che con Blood and Wine formano un’ideale trilogia sui cortocircuiti e le disfunzionalità della famiglia media americana (per dovere di cronaca ricordiamo che Rafelson ha diretto Nicholson anche nel non riuscitissimo “La Gatta e la Volpe”, del ’92).
Se i primi due lo facevano secondo le regole del dramma, filtrate attraverso lo sguardo “controcorrente” della Nuova Hollywood, Blood and Wine mette in scena una racconto ibrido tra il thriller, il noir e il melodramma, dove l’occhio clinico di Rafelson, supportato da un cast eccellente, riesce a mostrare la desolazione che segna i volti dei protagonisti. Jack Nicholson abbandona la sua solita verve grandguignolesca in favore di un personaggio sì, amante delle giovani donne e della bella vita, ma sempre in bilico tra fini egoistici e voglia di redenzione, nonché di riscatto. Purtroppo il film passò in sordina, guadagnando solo poco più di un milione di dollari a fronte di un budget di ventisei milioni, nonostante le critiche generalmente positive.
5. La promessa (The Pledge, 2001 – Sean Penn)
Il detective di polizia Jerry Black (Jack Nicholson) è a un passo dalla pensione, ma il brutale omicidio di una bambina lo convince sempre di più a non volersi ritirare. Soprattutto perché ha fatto una promessa alla madre della piccola: trovare il suo assassino. Già il sottotitolo dell’omonimo romanzo di Friedrich Dürrenmatt (1958) sul quale si basa il film, è una dichiarazione d’intenti: “Un requiem per il romanzo giallo”. La regia di Sean Penn (col quale Nicholson aveva già lavorato nell’ottimo “Tre Giorni per la Verità”, nel ’95) e la sceneggiatura di Jerzy e Mary Olson Kromolowsky infatti puntano tutto sullo scardinamento del genere, raccontando la ricerca di una verità che non sembra arrivare mai, degli anni passati a cercare indizi che non ci sono, di un uomo terrorizzato dalla pensione e ossessionato dalla sua promessa, che diventerà presto l’unico scopo nella sua vita. Di questo film, della sua costruzione e delle sue intuizioni si potrebbe scrivere per pagine e pagine, ma si finirebbe inevitabilmente per rovinare tutte le sorprese che ha in serbo per lo spettatore.
Ci possiamo dunque “limitare” a parlare della straordinaria prova d’attore di Jack Nicholson, che per la prima volta porta sullo schermo un personaggio totalmente imperscrutabile agli occhi di tutti coloro che gravitano intorno al suo mondo. L’ossessione che lo divora dall’interno è appena percettibile. Ogni suo passo, ogni suo gesto è premeditato e messo lucidamente in atto con l’unico scopo di attirare a sé l’assassino. Non si era mai visto un Jack Nicholson così lontano dai personaggi sopra le righe ai quali eravamo tanto abituati. Da segnalare la presenza di un cast straordinario impegnato in piccole apparizioni: Vanessa Redgrave, Tom Noonan, Sam Shepard, Benicio del Toro, Helen Mirren, Patricia Clarckson, ma soprattutto Mickey Rourke, che in poco più di due minuti regala una delle sue interpretazioni più intense mai viste. Sfortunatamente il film non è stato un successo al botteghino ma ha ricevuto critiche positive, oltre a essere stato candidato per la Palma d’Oro a Cannes.