Come ogni anno, il Festival di Cannes attira addetti ai lavori e cinefili da tutto il mondo, ansiosi di vedere e scoprire i titoli in programma alla più prestigiosa kermesse cinematografica che esista. Un programma ricco e denso, a volte troppo (la durata di alcuni film e una scaletta a dir poco ottimista hanno comportato dei ritardi di un certo peso nei primi giorni del festival), ma sempre interessante. Un programma che abbiamo voluto sviscerare con questo piccolo bilancio sotto forma di classifica dei 10 migliori film del Festival di Cannes 2023, tra quelli che siamo riusciti a vedere.
1. Close Your Eyes (Cannes Premiere)
Uno dei casi del festival, con tanto di polemica annessa (il regista ha rifiutato di presenziare a Cannes per alcuni retroscena legati alla selezione), nonché un titolo che i cultori del cinema spagnolo aspettavano da anni: era dal 1992, infatti, che Victor Erice non girava un film. Attesa largamente ripagata, poiché Close Your Eyes, quarto lungometraggio del cineasta, include la nozione del tempo nella sua lunga (169 minuti) e ponderata riflessione sul legame tra arte e amicizia, concentrandosi sul potere delle immagini cinematografiche, anche incomplete. Con tanto di ode, molto toccante, alla conservazione analogica, in un’epoca in cui il digitale sta dando i primi segni di cedimento con titoli che spariscono nell’etere per i capricci delle piattaforme streaming.
2. Kubi (Cannes Premiere)
Altro grande ritorno, anch’esso fuori concorso, quello di Takeshi Kitano, che tende a preferire Venezia ma ogni tanto si palesa anche sulla Croisette (l’ultima volta nel 2010). Con Kubi il grande attore e regista nipponico si sposta dai suoi soliti territori gangster all’epopea dei samurai, ma con lo stesso gioco a base di intrighi di potere e gente che muore male ogni cinque minuti. E sono proprio le decapitazioni, spettacolari e mai ripetitive, a mantenere costante l’impeto propulsivo di una pellicola indubbiamente densa, altrimenti di non immediata fruizione per chi non conosce bene la Storia nipponica. Se con il film precedente Kitano sembrava dire addio al suo alter ego attore Beat Takeshi, qui lo ha riesumato con la stessa energia di prima, circondato da cadaveri eccellenti e scenografie mozzafiato.
3. La chimera (Concorso)
Terza volta in gara per Alice Rohrwacher, che a questo giro, con La chimera, non si è portata a casa un premio ma ha regalato agli avventori di Cannes quello che a oggi è il suo lungometraggio più riuscito, quello dove i suoi temi ricorrenti – il legame con la terra, la famiglia, il realismo magico – creano un tutt’uno ipnotico e travolgente, esplorato dal punto di vista dell’archeologo che arriva da lontano (Josh O’Connor, uno dei volti di punta della nuova generazione britannica). Significativa sul piano simbolico anche la presenza di Isabella Rossellini, che torna a recitare in una produzione italiana a più di dieci anni da La solitudine dei numeri primi.
4. Vincent Must Die (Semaine de la Critique)
Un esordio potentissimo, fatto con pochi mezzi eppure ricchissimo nel suo approccio minimalista a un mondo apocalittico. Questo è Vincent Must Die, opera prima di Stéphane Castang, la cui premessa è diabolicamente semplice: un giorno, un certo Vincent scopre che praticamente tutte le persone in cui lui si imbatte vogliono ucciderlo, senza spiegazione apparente. La violenza avvolge il microcosmo creato dal regista, dove però c’è spazio anche per un’inattesa, disarmante tenerezza. Strepitoso l’amico a quattro zampe del protagonista, l’unico in grado di identificare a priori i malintenzionati.
5. Fallen Leaves (Concorso)
Dopo aver dichiarato di volersi ritirare dal cinema nel 2017, il finlandese Aki Kaurismäki è tornato in pista con Fallen Leaves, il suo ventesimo lungometraggio, sequel spirituale della trilogia proletaria che lo ha reso un nome importante del cinema nordico negli anni Ottanta. Lo stile è sempre quello, la coerenza etica idem, ma dietro la ripetitività di temi, gesti e recitazione si cela un cuore molto sincero, con un impatto emotivo che supera agilmente lo scoglio dell’apparente freddezza dei personaggi. Manca all’appello Kati Outinen, la musa del regista, ma i nuovi arrivati Alma Pöysti e Jussi Vatanen si inseriscono perfettamente nell’universo kaurismäkiano.
6. Cobweb (Fuori Concorso)
Cannes significa anche almeno un appuntamento annuale, solitamente fuori concorso o addirittura nello slot di mezzanotte, con il cinema di genere proveniente dalla Corea del Sud. E tra questi c’era l’autore di culto Kim Jee-woon con il suo Cobweb, brutale e divertente pezzo di satira su un regista (Song Kang-ho, il protagonista di Parasite) che ricorre a menzogne e altri stratagemmi per poter portare a termine il proprio film senza che lo studio o la censura interferiscano. Nulla di particolarmente originale (le variazioni sul tema tendono a seguire uno schema narrativo molto basilare), ma eseguito con brio e irriverenza.
7. Robot Dreams (Séances Spéciales)
Il regista spagnolo Pablo Berger è noto soprattutto per Blancanieves, rilettura della fiaba di Biancaneve e al contempo omaggio al cinema muto. E l’assenza di dialoghi udibili fa parte della cifra stilistica anche per Robot Dreams, il primo lungometraggio d’animazione del cineasta, un racconto quasi asimoviano sull’amicizia tra un cane – la storia si svolge in un mondo di animali antropomorfi – e il robot incaricato di tenergli compagnia. Forse non interamente per caso, l’estetica ricorda quella di Futurama, e pur non avendo la carica dissacrante di quella serie il film riesce comunque a muoversi in territori simili per quanto riguarda la comicità visiva (tra cui alcuni rimandi che faranno molto ridere il pubblico adulto) e, nei momenti cruciali, il pathos.
8. Rien à perdre (Un Certain Regard)
Nel 2022, alla Mostra di Venezia, l’attrice belga Virginie Efira era la protagonista de I figli degli altri, sulle difficoltà di una donna a farsi accettare dalla figlia del nuovo compagno. Con Rien à perdre, l’opera prima di Delphine Deloget, si parla sempre di problemi in seno al nucleo famigliare, ma con un’ottica diversa: a questo giro, Efira è una madre single che deve dimostrare di sapersi prendere cura del secondogenito dopo un incidente verificatosi mentre lei era al lavoro e lui solo in casa. Un esordio che arriva dritto al cuore per come mette in scena pregi e difetti di una famiglia unita ma molto imperfetta.
9. The Old Oak (Concorso)
Stando al diretto interessato, The Old Oak sarà l’ultimo lungometraggio di Ken Loach, il quale già in passato ha più volte detto di volersi ritirare salvo poi ritrovare le energie creative per contestare i governi di stampo conservatore nel Regno Unito. Questa volta, però, l’effetto testamentario è esplicito, con la storia di un piccolo villaggio nella parte settentrionale dell’Inghilterra, dove il bigottismo abbonda a causa di vecchi risentimenti nei confronti di autorità che non hanno fatto nulla per la popolazione locale, mentre il proprietario del pub e le nuove famiglie di immigrati cercano di promuovere una coesistenza pacifica basata sulla gentilezza reciproca. Semplice ma potente, con gli ultimi quindici minuti che sono tra i più emotivamente devastanti dell’intera filmografia di Loach.
10. Banel & Adama (Concorso)
Unica opera prima nel concorso principale 2023, Banel & Adama segna l’esordio nel lungometraggio di Ramata-Toulaye Sy, francese di origine senegalese che ha precedentemente lavorato come sceneggiatrice su progetti altrui e ha poi firmato un corto, Astel, ambientato nella medesima regione del Senegal dove si svolge la vicenda di Banel e Adama. La gioventù si ribella ai precetti ancestrali del villaggio, con conseguenze potenzialmente distruttive per l’intera comunità, e la regista, che ha inseguito questa idea per diversi anni (il copione nasce come lavoro di diploma nel 2015, otto anni prima dell’uscita), esibisce una maturità notevole nella commistione di racconto intimo e riflessione più ampia sulla società senegalese, con l’arido paesaggio desertico a simboleggiare la crisi sistemica in corso.