Tina Anselmi è una di quelle donne da conoscere e da inserire nei libri di scuola perché sia d’ispirazione per tutti. I più giovani potrebbero non avere presente l’importanza di questa figura fondamentale nel panorama politico italiano del secondo Dopoguerra. Eppure Tina Anselmi ha dedicato quasi tutta se stessa allo Stato italiano, inteso nel suo senso di collettività.
Alcuni l’hanno definita una madre della Repubblica perché, proprio come un genitore, è stata un esempio di moralità e di devozione nei confronti del bene comune. Una vocazione che si traduceva soprattutto in una profonda lealtà verso le istituzioni e il loro ruolo, nella ricerca della verità anche quando scomoda o dolorosa, nella difesa a ogni costo della libertà democratica e nella tutela dei diritti di tutti, in particolare di coloro posti ai margini della società.
Tina Anselmi ha fatto tanto per il suo Paese, per l’Italia, per tutti noi. Ecco 5 buoni motivi per ricordarla.
1. È stata la prima donna ministro in Italia
Il 29 luglio 1976 Tina Anselmi viene eletta ministro della Repubblica Italiana. È la prima donna a ricevere un incarico del genere, per giunta non trattandosi di un ministero satellitare, ma del Ministero del Lavoro.
Nel documentario realizzato per la Rai Tina Anselmi: la grazia della normalità, creato da Anna Vinci e con la regia di Claudia Mencarelli , la sorella Maria racconta che quell’incarico aveva reso orgoglioso l’intero Castelfranco Veneto, il paese trevigiano in cui era nata e cresciuta, e le permise di esprimere al meglio le competenze sviluppate nel suo percorso, fra cui una notevole conoscenza del mondo del lavoro e delle sue istanze sociali.
Porta così la sua firma una legge fondamentale per il lavoro delle donne, la 903/1977, i cui 15 articoli intervengono in materia di parità di trattamento fra uomini e donne da un punto di vista professionale.
2. A lei si deve il Servizio Sanitario Nazionale
Il Servizio Sanitario Nazionale nasce nel 1978 e ha proprio Tina Anselmi come madre fondatrice. La storia della sanità pubblica italiana si intreccia con quella della prima donna a ricoprire la carica di ministro, del Lavoro prima e poi della Sanità, appunto. È stata fra i principali autori della riforma che introdusse il Servizio Sanitario Nazionale, lo schema di tutela per tutti i cittadini che ancora oggi è esempio di sanità pubblica nel mondo. Tina Anselmi si è battuta anche per la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza (pur essendo cattolica), oltre che per la tutela della maternità e per l’approvazione della legge 180 che portò alla chiusura dei manicomi.
3. Fu partigiana e antifascista
L’inizio del suo impegno in difesa della libertà coincide con l’aver sperimentato l’orrore, la prevaricazione, la violenza. Non ancora diciottenne fu costretta ad assistere all’impiccagione per rappresaglia di alcuni giovani prigionieri per mano dei nazifascisti. Era il 1944 e lei frequentava le magistrali a Bassano del Grappa. Oltre sessant’anni dopo, in un’intervista con Enzo Biagi del 2007 disse: “Quando ho incontrato la morte, una morte barbara, disumana, ho capito che non potevo rimanere indifferente”. Diventò così staffetta partigiana della brigata Cesare Battisti e quel momento è segnato da un cambio di nome che è in qualche modo emblematico di tutta la sua storia successiva: la donna, la persona, che fa un passo indietro rispetto al ruolo ponendosi al servizio del bene collettivo. Non più Tina, ma Gabriella, con un esplicito richiamo all’arcangelo Gabriele. Ne parla nel suo libro La Gabriella in bicicletta, edito da Manni editori.
4. Tina Anselmi e la P2
Si deve all’intesa fra Nilde Iotti, presidente della Camera dal 1979, e la vice presidente Maria Eletta Martini, l’idea di affidare a Tina Anselmi la presidenza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2. Tina Anselmi ebbe modo di tratteggiare il ritratto di Licio Gelli cogliendone i principali tratti psicologici e caratteriali: “Quante volte, noi commissari, ci siamo interrogati su di lui, persona non di grande fascino, neanche di straripante intelligenza, un uomo insignificante, in fondo. Le mie conclusioni sono che proprio la monomania unita alla totale amoralità lo ha posto al di sopra della sua stessa mediocrità. La storia è sempre attraversata da grandi uomini piccoli. E gli ha trasmesso quella grande energia e quella capacità di scartare tutto ciò che impediva la realizzazione del suo progetto” (Anselmi – Vinci, Storia di una passione politica). In più occasioni i “piduisti” tentarono di ostacolare l’opera della Presidente: non essendo in grado di ricattarla, la denunciarono tre volte alla magistratura per il modo in cui conduceva le indagini, senza risultati.
5. Il lungo cammino verso la parità
La politica italiana al femminile è una storia di assenze e di invisibilità, una storia in cui metà della popolazione è stata (ed è) costantemente sottorappresentata nelle istituzioni e nei luoghi dove si prendono le decisioni che riguardano le vite di tutte e di tutti. Basta un numero: in 75 anni di storia della Repubblica – dal governo De Gasperi II, il primo della Repubblica, al Conte II – su 4.864 presidenti, ministri e sottosegretari che hanno giurato al Colle appena 319 sono state donne. Il 6,56% del totale. Eppure le donne sono il 51,29% della popolazione (Fonte Il Sole 24ore del 12 febbraio 2021).
Come la Conci, più anziana, e come le sue coetanee, Tina Anselmi ha rivendicato con orgoglio il ruolo femminile, la centralità della conquista del voto alle donne, l’importanza del ruolo di genere nella costruzione della democrazia italiana. In queste persone non c’è alcuna ideologia della donna tutta casa e famiglia, ancella del focolare, ma la rivendicazione del diritto di partecipare a pieno titolo alla vita politica del proprio paese. Quando, dopo essere stata sottosegretario, Tina Anselmi è diventata nel 1976 la prima donna a ricoprire la carica di ministro, ciò non è avvenuto per un rituale ossequio alla quota rosa, ma nel contesto di quella specifica contingenza politica.
Non dovrebbe più essere necessario ricordare Tina Anselmi come emblema della presenza femminile in campo politico. Invece, purtroppo, è ancora doveroso farlo, finché non si darà più per scontato che ad occuparsi della cosa pubblica debbano essere soprattutto gli uomini. Le donne in politica sono ancora poche e rivestono per lo più ruoli legati alla cura: la salute, la scuola, il sociale. È il sintomo di una società che ancora non riesce a riconoscere l’autorevolezza femminile. L’Italia non ha mai avuto donne presidenti del Consiglio o presidenti della Repubblica. L’Ufficio valutazione d’impatto del Senato, nel dossier “Parità vo cercando” dedicato a 70 anni di elezioni in Italia dal 1948 al 2018, lo ha messo nero su bianco: «Le cariche di maggior rilievo politico paiono continuare a essere appannaggio prevalente degli uomini». Il ricordo di Tina Anselmi deve contribuire a innescare un’inversione di marcia.