Abbiamo raggiunto Marzia Gandolfi, critica cinematografica e autrice che di recente ha pubblicato La forma dell’attore (Santelli editore), un saggio in cui racconta la sua passione per il mestiere dell’attore.
Raccontaci di come è nata la tua immensa passione per la Settima arte.
“È nata con Visconti, senza dubbio. Devo questa passione a Rocco e i suoi fratelli, girato a due passi da casa mia. All’epoca, quella della mia infanzia, abitavo in Bovisa, un quartiere popolare di Milano reso celebre da Ermanno Olmi e il suo Il ragazzo della Bovisa. Ecco, ero una ragazza della Bovisa che abitava nel romanzo di Olmi e ai piedi del Ponte della Ghisolfa, quello dei racconti di Giovanni Testori che hanno ispirato il film di Luchino Visconti. Tre indizi fanno una prova, diceva Agatha Christie, non potevo scappare al mio destino, a una passione così prossima da poterla toccare. Annie Girardot, Alain Delon e Renato Salvatori sono stati i primi attori che ho incontrato, incarnavano personaggi proletari, come me. Eroi romantici e disperati che camminavano lungo le mie strade, mi indicavano un orizzonte di vita e mi invitavano a entrare in un mondo che sarebbe diventato il mio mondo.”
Una passione che, nel corso del tempo, è diventata professione?
“Sì, Milano non offriva solo un décor ai miei sogni ma una serie di sale cinematografiche dai nomi suggestivi, Astra, Excelsior, Eden, Apollo, Ambasciatori, molte non esistono nemmeno più, in cui potevo educare lo sguardo. Ma è stata Bologna a ‘formarmi’. Ho frequentato il DAMS e respirato il cinema di ogni età in Piazza Maggiore, dove da trentacinque anni passa il ‘cinema ritrovato’ e restaurato dalla Cineteca di Bologna. A Bologna ho studiato la teoria, a Milano, in quel laboratorio di scrittura che era la redazione di Duel, poi Duellanti, diretta da Gianni Canova, ho messo a punto la pratica e la parola. Poi è arrivato MyMovies e ho scoperto le possibilità della rete ma resto legata alla pagina e all’inchiostro, collaborando con periodici che trovano nella bellezza del cinema la forza di uscire ancora in edicola e in libreria.”
Di recente, è uscito il tuo libro La forma dell’attore. Ti andrebbe di parlarcene?
“È un libro che mette ‘in forma’ la mia passione per gli attori e a frutto una lunga esperienza di scrittura sul corpo attoriale cominciata sulle pagine di Duellanti, una delle prime riviste, se non l’unica forse, a ‘trattare’ gli attori e a trovare le parole per dire il mestiere dell’attore. Mi spiego, sovente gli attori sono la ragione stessa per cui andiamo al cinema, nondimeno per troppo tempo l’attore è stato trascurato se non addirittura dimenticato dalle analisi filmiche. A parte qualche aggettivo poco evocativo, ‘formidabile’, ‘impressionante’, ‘emozionante’, facciamo fatica a mettere insieme le parole per raccontare cosa fa concretamente un attore, per dire la maniera in cui rivela un personaggio o l’effetto che la sua interpretazione produce su di noi. Ho provato allora a ‘materializzare’, attraverso l’imbuto stretto del linguaggio, le ore infinite passate a guardarli sul grande, grandissimo schermo. Penso sempre con nostalgia alla sala Energia del Cinema Arcadia di Melzo ([r]esiste ancora, sono io che adesso vivo altrove), dove gli attori ‘campeggiano’ enormi assicurando un equilibrio impeccabile e incrollabile all’avventura cinematografica. L’ ‘Arcadia’ era di fatto la mia terra mitica, la terra di mezzo da cui ho pescato quattro nomi celebri, quattro attori diversi ma uniti da quella vocazione a offrire un’immagine sensibile ai loro personaggi, una fisionomia impossibile da dimenticare. Attori che possiamo ‘figurarci’ e in cui ho riconosciuto una figura artistica classica attraverso cui rileggerli. Gandolfini, Eastwood, Cruise, Pitt sono attori di forma che alla frammentazione dell’espressione oppongono un approccio più integrale del corpo. Quattro studi attoriali e quattro ‘bio-filmografie’ per omaggiare le rispettive carriere e tacitare, forse, il rimorso del critico. Perché l’attore è quello che più di ogni altro ci fa sentire i limiti della nostra comprensione, riconducendoci alla sensibilità comune, diffusa e intuitiva dello spettatore corrente. I riferimenti e le scale di valore di cui dispone la critica specializzata la rende poco capace, se non di apprezzare, in ogni caso di descrivere e di analizzare la creazione, sovente nominata con una punta di biasimo, performance. Ci si limita perciò a una soluzione riduttiva ricorrendo all’aggettivo qualificativo tra parentesi: ‘un film con Bill Murray (rimarcabile)…’. Senz’altro un critico sa descrivere e analizzare un film ma raramente sa dire altrettanto bene come recita un attore o come crea un personaggio. Ci sono varie ragioni per questo, la principale è forse quella della soggettività. L’attore è un oggetto d’amore che sembra scappare all’obiettività scientifica. Ho accettato la sfida e ho scritto questo libro, probabilmente sbilanciato dalla parte dell’amore.”
Al di là dei quattro attori da te analizzati, quali pensi che siano le nuove leve che promettono bene?
“Non credo esistano oggi attori in grado di avere una carriera longeva come quella di Eastwood, Pitt o Cruise, o ancora, attori che assicurino l’unità e la continuità di una serie, il singolare che sottenda il plurale di un titolo. I Soprano erano un corpo, quello di Tony, quello di Gandolfini. Sono cambiate le regole del gioco e anche la maniera di stare ‘in schermo’, piccolo o grande che sia. Con le miniserie per esempio. Una manciata di puntate da bersi in un colpo ha rimpiazzato la durata fiume dei Soprano o di Mad Men. Accorciare in televisione la vita dei personaggi non può non impattare il mestiere dell’attore. Tony Soprano e Don Draper ci erano apparsi nello splendore della loro tarda giovinezza per poi congedarsi sei o sette anni più tardi alla soglia della vecchiaia… Le serie oggi sembrano offrire sottili fette di vita, difficile trovare un respiro epico in un arco temporale così ridotto. Tra le giovani leve, apprezzo Alden Ehrenreich, Daniel Kaluuya, Nicholas Hoult, Elle Fanning, Thuso Mbedu, Sheila Atim, Adèle Haenel, Félix Maritaud, Alessandro Borghi e Luca Marinelli in Italia e potrei andare avanti all’infinito ma di nuovo penso che viviamo in un mondo senza (più) star, senza leggende, senza miti. Difficile per un attore contemporaneo durare come Clint Eastwood. Pitt e Cruise sono a mio parere gli ultimi divi dell’Olimpo. Con la televisione gli dei sono scesi sulla terra e sono entrati nelle nostre case, sono diventati come noi. Quella popolarità ha progressivamente ridotto la nostra venerazione. James Gandolfini, Bryan Cranston e Jon Hamm sono tre magnifiche eccezioni che tuttavia hanno fatto fatica a esistere sul grande schermo. Il passaggio conclusivo avviene con internet e i social network, la celebrità adesso la puoi toccare fino a banalizzarla, a demitizzarla. Insomma oggi nessuno è famoso perché tutti possiamo diventare famosi. Ma attenzione, si può essere celebri, non divi.”
Con la pandemia che sembra dare più respiro e le sale nuovamente aperte, come vedi il futuro del cinema?
“Lo vedo in grande. Vedo il futuro del cinema in sala alla faccia di quelli che ‘vuoi mettere il divano’, ‘magari dopo il mare’, ‘tanto ci sono le piattaforme’, ‘ah, il film sul cellulare’, ‘si vede meglio a casa’, ‘il cinema è morto e bla, bla, bla…’. È probabile che la pandemia abbia provocato una sorta di spaccatura, una perdita di abitudini, uno spostamento di bisogni e di desideri, tuttavia resto ottimista. Quello che abbiamo vissuto e che stiamo ancora vivendo è una situazione unica nella storia dell’umanità e non è assurdo inquietarsi ma la passione e la curiosità hanno vinto immediatamente. Leggevo i numeri incredibili che ha fatto la Francia, 7 milioni di ingressi alla fine della quarta settimana dopo la riapertura dei cinema, dal 19 maggio al 15 giugno. Una nouvelle vague di uomini, donne e bambini che non ha dimenticato il piacere del grande schermo e ha scongiurato l’orrore di un mondo senza sale. Almeno in Francia.”
Ci sono nuovi progetti letterari all’orizzonte?
“Progetti sempre, magari esplorare ‘la forma dell’attrice’… Eva Green, venere di Milo fuori dal tempo, o Kate Winslet, femme moderna e primitiva di Renoir, Pierre-Auguste Renoir.”