“Gianna, figlia mia adorata, sarò fucilato all’alba per un ideale, per una fede che tu, […], un giorno capirai appieno”. Paolo Braccini scriveva queste parole il 5 aprile del 1944, poco prima di essere giustiziato.
A maggio invece sarebbe toccato a Giordano Cavestro, 18 anni: “Cari compagni, ora tocca a noi. Io muoio, ma l’idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella”.
E ancora: “Caro Mario, sono le ultime ore della mia vita, ma con questo vado alla morte senza rancore delle ore vissute”. Franca Lanzone a 24 anni, poco prima di essere fucilata nel novembre 1944.
Nello stesso mese Giacomo Ulivi, 19 anni, diceva rivolgendosi agli amici: “Dovete convincervi e prepararvi a convincere, non a sopraffare gli altri, ma neppure a rinunciare. […] Oggi bisogna combattere contro l’oppressore. Questo è il primo dovere per noi tutti. Ma è bene prepararsi a risolvere quei problemi in modo duraturo, e che eviti il risorgere di essi e il ripetersi di tutto quanto si è abbattuto su noi”.
Di lettere come queste scritte dai partigiani condannati a morte ce ne sono a centinaia, si potrebbe continuare a lungo a scorrere tra le righe di questo enorme lascito etico e civile, specialmente in tempi estremamente divisivi come quello che stiamo vivendo. La storia della Resistenza Italiana passa da quelle testimonianze e culmina nel 25 aprile del 1945, quando il Comitato di Liberazione Nazionale liberò l’Italia dall’occupazione nazifascista. Da quel momento ogni anno il paese celebra la Festa della Liberazione, per ricordarci chi siamo e per non dimenticare il sacrificio di chi in ogni modo provò, riuscendoci, a salvarci. Qui ripercorriamo i motivi per cui è importante festeggiarla anche in questo 2021 tormentato dalla pandemia.
Il valore della resistenza
Quel 25 aprile 1945 fu una data fondamentale per il futuro democratico del nostro paese e rappresentò simbolicamente la fine della guerra. Proprio quel giorno infatti il Comitato di Liberazione Nazionale con sede a Milano diede l’ordine di insorgere contro la Repubblica di Salò e le truppe tedesche che, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, avevano occupato buona parte della penisola. Fu l’inizio della resa e della liberazione delle principali città del Nord, poco prima che arrivassero gli Alleati. Al grido di “Arrendersi o perire”, come recitava il proclama diffuso in radio da Sandro Pertini, finiva un ventennio di regime fascista; alla lotta di liberazione avevano partecipato uomini e donne, per la maggior parte giovanissimi, poco più che ragazzi, animati da una profonda passione civile. A decidere che il 25 aprile diventasse festa della Liberazione fu l’anno dopo il governo di Alcide De Gasperi con un decreto che la rendeva “festa nazionale”.
Ma la Resistenza italiana non è solo un fatto storico, è soprattutto un atto sociale e politico, resistere è il dovere di ciascun cittadino, di tutti gli uomini e le donne di ogni epoca e luogo, è una categoria dello spirito. È cambiato il campo di battaglia, sono cambiati gli invasori ma resistere rimane una necessità oltre che una responsabilità collettiva: oggi si resiste in mezzo al mare, nelle corsie di un ospedale, nei campi alla mercé dei caporali, contro gli imbonitori di masse e l’azzeramento della competenza. Resistere significa recuperare il senso dello Stato, riscoprire il valore della ricostruzione, della condivisione, della consapevolezza e insegnarlo alle generazioni future.
La dimensione della memoria
Gran parte della narrazione di quegli anni ci arriva dagli scritti di chi non ce l’ha fatta e dalle testimonianze dirette dei partigiani sopravvissuti, ascoltarli vuol dire allenare la memoria, perché un Paese smemorato è destinato a perdersi. E quando quelle voci si assopiranno, toccherà a noi continuare a raccontare, ricordare ed educare all’esercizio della democrazia, perché i più giovani non rimangano orfani di un patrimonio umano che è stato prezioso nella conquista della libertà a costo della vita. Cosa saremmo oggi se quell’esercito di operai, contadini, studenti, insegnanti o ex soldati non avessero deciso di lottare con ogni mezzo a disposizione? Forse saremmo comunque un paese libero, ma probabilmente non sapremmo mai cosa significhino la lotta, la luce e la voglia di ricostruzione di un popolo liberato.
“La democrazia ha bisogno di normalità. […] È giustizia, è rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne. È tranquillità per i vecchi e speranza per i figli. È pace”, diceva Tina Anselmi. È con il pensiero rivolto a lei che ci piace immaginare quella normalità democratica, quotidiana ma mai scontata. Guai a considerarla come tale. Abbiamone cura ogni giorno che ci sembrerà di troppo e riprendiamoci la bellezza della speranza.