Questo articolo fa parte di Vita di Api, la rubrica di Chiara Apicella anche su Facebook e Instagram.
Non mi sono mai considerata una cosiddetta “canara”. Quando vedevo signore di mezza età che parlavano coi loro cagnolini adottando vezzeggiativi e sdilinquendosi, dentro di me sghignazzavo, pensando rappresentassero un mondo molto distante dal mio. Che sprovveduta. Poi è successo qualcosa: la pandemia e il lockdown a seguire. Sospirando dalla finestra e rimpiangendo i raggi di sole e quella brezza primaverile, che in quel momento sembravano quanto di più desiderabile la fantasia potesse mai concepire, ho cominciato ad avvertire un surplus d’amore che andava incanalato da qualche parte. Erano mesi che mi intenerivo ogni qual volta una mia amica pubblicava le foto del suo cane, Emilio, soffice e sorridente, passato dalla malinconia del canile alla morbidezza del suo divano di casa. Così un giorno ho detto a mio marito: “Facciamolo anche noi. Ormai le prove che adottare un cane è bellissimo superano gli indizi”. E lui mi ha risposto: “Va bene, ma lasciamo sedimentare questo pensiero per qualche giorno”. Molto coerentemente la sera stessa, spulciando (quale verbo fu mai più appropriato?) una pagina Facebook dedicata ai cani abbandonati, abbiamo scelto la nostra cagnolina. Ed ecco i motivi per cui non ce ne pentiremo mai.
1. L’adrenalina iniziale è un carburante magico
L’annuncio mostrava due fratellini meticci, un cagnolino e una cagnolina, tutti inzuppati per un acquazzone dentro uno scatolone abbandonato per strada. Lo sguardo umido della cagnolina ci ha commosso oltre ogni misura, così due minuti dopo abbiamo contattato Valeria, la ragazza che ha scovato quello scatolone carico di paura e aspettative e che, dopo esserselo caricato in macchina, ha pubblicato l’annuncio: lei aveva già due cani e purtroppo non poteva adottarne altri. Dalle conversazioni via chat e dalle foto che ci siamo inviate, la simpatia e la fiducia reciproche sono state istantanee, così una settimana dopo io e mio marito (del tutto incuranti di quel proposito accorto ma poco romantico di “lasciar sedimentare”) partivamo per Sellia Marina, in provincia di Catanzaro, perché non ci importava se il viaggio sarebbe durato quaranta minuti o sette ore. A separarci da Sandy (nome ispirato al cartone animato “Sandy dai mille colori”, visto che alla nuova arrivata volevamo offrire un’esistenza più colorata possibile) erano quei chilometri lì, e noi li avremmo percorsi tutti. Intanto in salotto erano stati tolti i tappeti ed erano già pronti, oltre a una cuccia arancione, venti giochini diversi: alcuni emettevano squittii (e da lì a qualche giorno l’avremmo sconsolatamente rimpianto), altri avevano la forma di animali improbabili, altri ancora erano corde o palline, consigliate con l’aria di chi la sa lunga dallo smilzo commesso del negozio di animali.
2. La conoscenza col tuo cane è indimenticabile
Dopo essere stati accolti da Valeria e aver fatto la conoscenza dei due cuccioli, siamo rimasti a dormire in un b&b poco distante, in attesa di portare la mattina seguente Sandy a Roma e affrontare altre sette ore di viaggio in tre anziché in due. Ma quella notte io non ho chiuso occhio. Sandy era un fagottino vaporoso nell’aspetto, ma il suo temperamento sembrava sfibrante. Nei giochi col fratello abbaiava in continuazione, era restia a farsi coccolare e invece molto portata a mordicchiare mani, piedi, orlo dei pantaloni e qualsiasi oggetto le capitasse a tiro, e io non sembravo neanche risultarle troppo simpatica. La mattina successiva, emaciata e con due occhi cerchiati dall’insonnia, ne ho parlato con mio marito. “E se avessimo agito troppo d’impulso? Se non fossimo pronti per un cane? Uno vero, intendo, non uno di peluche”. Ero stata così impaziente nel tuffarmi in questa scelta, e nel piluccare con entusiasmo giochi e palline squittenti, da non aver forse considerato le reali implicazioni di un cambiamento così significativo nella nostra vita. Allora ho chiesto a Valeria, con la stessa vergogna di chi confessasse una catena di efferati omicidi, se potevamo giocare con Sandy ancora un po’ prima di adottarla: a Roma io sarei rimasta a casa molto più tempo di mio marito, e volevo sviluppare con lei più empatia di quella che si era profilata il pomeriggio precedente. Lei è stata molto comprensiva e quella mattina, vinte le remore a parlare dei miei dubbi inconfessabili, mi è sembrato tutto più facile e luminoso. Sandy era vivacissima, ma si faceva coccolare con una maggiore accondiscendenza. Inoltre era tremendamente buffa: se puntava le zampette anteriori per terra, scivolava col sedere sul pavimento, ti seguiva come una paperella se subodorava che tu le nascondessi del cibo, e sembrava avere già un suo carattere delineato e alquanto comico. A un certo punto l’ho stretta a me e l’ho avvertito: era il nostro cane, quello che ci avrebbe accompagnato con i suoi gesti tipici e il suo temperamento risoluto negli anni a venire. La scena più straziante è stata assistere agli uggiolii del fratellino mentre ci congedavamo da Valeria; per fortuna già diverse famiglie erano pronte ad accoglierlo. Ma non sapevamo ancora che da lì a poco Valeria avrebbe deciso di tenerlo con sé e con gli altri due suoi cani, entrambi adottati anni prima: l’epilogo migliore che potessimo immaginare per Rain, così ribattezzato in memoria di quell’acquazzone che aveva colto lui e Sandy nel cartone abbandonato per strada.
3. Diventa in poco tempo un membro fondamentale della famiglia
Chi non ha esperienza di cani si figura i cuccioli come creature coccolose che passano il tempo a spalmarsi sul pavimento a pancia in su per farsi fare i grattini. Quanto di più ingenuo come scenario. O meglio, c’è anche quell’aspetto, ma prevale decisamente un altro che in pochi menzionano: la lotta continua con un essere venuto dagli inferi, che fa di tutto per morderti con i suoi dentini da latte acuminatissimi e la sua irrequietezza che, sempre a chi non sa nulla di cani, sembra tutt’altro che normale. Il primo mese non contavo più le discussioni con mio marito, per il quale Sandy era semplicemente una cucciola vivace in una maniera tutta sua e adorabile, e non certo il violento animale sociopatico con cui io avevo a che fare mattina e pomeriggio, schermendomi da graffi e morsetti tutt’altro che teneri. Poi per fortuna è passata la fase nefasta dei dentini da latte, e Sandy ha iniziato a calmarsi. Non saprei datare con precisione il momento in cui ho cominciato a innamorarmene, ma credo risalga a una delle prime corse trafelate dal veterinario: temevo che, nella sua ingordigia per nulla schifiltosa, avesse appena ingoiato (tra cerotti, foglie e cacche) un sasso aguzzo. L’ecografia ha confermato che non aveva ingoiato nessun sasso, e che io piuttosto mi ero trasformata in una di quelle madri apprensive che vedono pericoli spaventosi a ogni angolo di marciapiede. Ma era un fatto: di Sandy mi ero finalmente innamorata.
4. La tua vita sarà inondata di tenerezza
Io e mio marito ci chiediamo spesso quale miscela di razze ci sia nel DNA di Sandy, ma poi stabiliamo che qualunque sia è il milkshake migliore del mondo. Sandy, come ogni cane meticcio, ha un aspetto unico: orecchie flosce e ingombranti con la punta nera, manto scuro che se pettini contropelo rivela mèches bionde, due occhi liquidi che si conficcano nei tuoi ogni volta che mangi e non condividi il tuo pasto con lei. E pure il suo carattere è unico, come quello di ogni cane, ma il suo ci sembra anche irresistibile. Sandy è placidamente pigra: se poltrisce sul divano, non c’è verso che collabori per farsi infilare pettorina e guinzaglio. O si spalma sui cuscini, rendendoti il compito impossibile, o devi rincorrerla per casa e a un certo punto placcarla come si farebbe con un ostinato giocatore di football americano. Rispetto a quando aveva due mesi, e opponeva resistenza facendosi trascinare su tutto il pavimento come la testa filamentosa di un mocio, è comunque un progresso. Superata la fatica di uscire di casa, Sandy mostra un repentino cambio di personalità: diventa un cane irruento e vivacissimo, che si fionda per giocare con tutti i cani che incrocia, che siano minuscoli o di cinquanta chili, e a cui deve imporre il tiro alla fune con il primo ramo raccolto per strada, che sia un fuscello o una trave di quattro metri. Questo estenuante tira e molla lo impone anche a tutti i cani del parchetto: alcuni accettano il gioco, altri si rifugiano sotto le gambe del loro proprietario, altri ancora le ringhiano contro. Come con i bambini, dovrai vedertela con signore arrabbiate e iperprotettive, signori che con petulanza ti spiegano in cosa sbagli, e chat su WhatsApp che ti trapanano le orecchie a ogni ora del giorno. Ma quando vedi la tua cagnolina correre nel parco all’impazzata con la lingua penzoloni (corsa che ho scoperto essere denominata significativamente “turbo mode”), felice che i suoi amici stiano arrivando alla spicciolata, o quando torni a casa stanca e lei ti sta alle calcagna con il suo giochino di stoffa ridotto quasi a un gomitolo, ti chiedi come fosse la tua vita prima del suo arrivo. Non lo ricordi, e non sai più immaginartela. Il suo odore, che i primi giorni impregnava fastidiosamente tutti i cuscini del divano, è diventato fondamentale; le sue leccate sulla faccia, che all’inizio schivavi accuratamente, adesso sei tu a cercarle, e a ricambiarle con strofinate guancia-contro-muso. E tutti i difetti che i primi tempi ti apparivano insormontabili adesso ti sembrano vezzi, che ti fanno scuotere la testa ridendo. Perché è il tuo cane: l’hai visto passare da una situazione di vulnerabilità al tuo divano Ikea, e non rammenti neanche più gli scogli che hai dovuto superare. Adesso la sua felicità alimenta la tua, e quell’adozione impulsiva e partita con qualche intoppo ora ti sembra la svolta che ha veramente completato la tua quotidianità: la scelta più saggia e al contempo la più naturale che tu abbia mai preso.