Martedì 11 maggio si terrà l’edizione numero 66 dei David di Donatello, gli “Oscar” del cinema italiano. Inutile dire che il 2020 sia stato uno degli anni peggiori di sempre per l’industria cinematografica. Eppure, nonostante la pandemia e le sale quasi sempre chiuse, i bei film non sono mancati. In occasione dei David, anche noi abbiamo pensato di tirare le somme sull’annata da poco conclusa, selezionando le 5 pellicole che più ci sono piaciute, avendo come unico criterio l’uscita – in sala, in tv o su piattaforme streaming – nel 2020. Come potrete notare, a parte una pellicola, ci troviamo su un piano completamente divergente rispetto a quello dei David. Speriamo che la nostra diversità di vedute possa servire da stimolo per recuperare qualche film meritevole ma poco considerato in ottica premi. Ecco a voi i migliori film italiani del 2020 da vedere assolutamente.
5. Odio l’estate
Erano anni che Aldo, Giovanni e Giacomo non realizzavano una pellicola all’altezza dei loro primi lavori, anzi; il loro ultimo film, Fuga da Reuma Park, è stato probabilmente il punto più basso della loro carriera, tant’è che si ipotizzò anche uno scioglimento del trio. Fortunatamente, i tre hanno deciso di continuare assieme, gettando lo sguardo indietro, alle proprie origini. Il ritorno alla regia di Massimo Venier e ad uno script che sembra quasi un remake mixato dei loro primi film, poteva far sembrare Odio l’estate un’operazione di mero fanservice, dall’incasso sicuro e nulla più. Ad un primo sguardo superficiale, in effetti, il film potrebbe non differenziarsi poi molto dalle aspettative, ma Odio l’estate è qualcosa di più di un semplice ritorno ad una comfort zone. Al di là della patina di leggerezza che attornia l’intera pellicola, Odio l’estate riesce a configurarsi come un’operazione dai tratti meta-cinematografici, con punte di amarezza e dramma inedite per il trio, vicina alla commedia all’italiana degli anni 60′ e 70′. Per come il film si sviluppa e si conclude, è difficile pensare oggi a come la carriera cinematografica dei tre possa continuare, quantomeno sugli stessi binari di sempre. Odio l’estate infatti sembra quasi essere un piccolo testamento artistico, un bilancio di quanto fatto con la consapevolezza di aver concluso un ciclo e un’epoca. Il film ha avuto la “fortuna” di essere stato distribuito nelle sale cinematografiche poco prima della pandemia, agli inizi del 2020, riuscendo ad incassare la buona cifra di 7,45 milioni di euro. Dispiace che – a dispetto di un buon apprezzamento generale da parte di pubblico e critica – il film non sia riuscito a strappare neanche una nomination ai David di Donatello. Si tratta della loro pellicola della maturità.
4. Padrenostro
Padrenostro ha rappresentato il cinema italiano all’ultimo festival di Venezia assieme a Miss Marx e Le sorelle Macaluso, riuscendo ad entrare nel palmarès; Pierfrancesco Favino si è infatti aggiudicato la prestigiosa Coppa Volpi come miglior attore protagonista, l’ennesimo importante riconoscimento della sua carriera ma anche la seconda vittoria consecutiva per un attore italiano dopo il trionfo dello scorso anno di Luca Marinelli con Martin Eden. Padrenostro è un’opera fortemente autobiografica. Il regista e sceneggiatore Claudio Noce ha raccontato in questo film il sé stesso bambino, innocente spettatore dell’attentato a suo padre – il vicequestore Alfonso Noce – da parte dei Nuclei Armati Proletari, in cui persero la vita un poliziotto della scorta ed un terrorista. La carta vincente del film sta nel suo non voler essere solo una ricostruzione storica dei terribili anni di piombo, ma più una traslazione audiovisiva del forte senso di ansia e di perdita vissuto in quel periodo. Padrenostro è un film emotivamente in soggettiva, dove la percezione del reale è completamente distorta ed influenzata dalla paranoia, sino a diventare quasi un piccolo romanzo di formazione freudiano. Favino è meno protagonista di quel che si pensi, ma è perfetto nell’incarnare un modello paterno dalle caratteristiche ideali ed allo stesso tempo assai verosimili. Lo sguardo di Noce riesce a diventare lo sguardo di tutti. Una sola candidatura ai David, per la fotografia.
3. Lontano lontano
Il cinema di Gianni Di Gregorio è davvero un unicum nel panorama italiano. A partire dal brillante debutto con Pranzo di ferragosto, Di Gregorio si è fatto esponente di un cinema semplice, scritto e diretto con grande naturalezza e con pochi fronzoli, assolutamente anti-spettacolare anche se godibilissimo. Vedere una pellicola di Di Gregorio è come andare a pranzo fuori con un vecchio zio che ti racconta aneddoti del passato, è un’esperienza autentica. Lontano lontano non fa eccezione. Il film parla di tre pensionati (ultima interpretazione di un bravissimo Ennio Fantastichini) desiderosi di cambiare vita. Il loro progetto è quello di andare a godersi la vecchiaia all’estero, in una realtà con meno tasse e meno stress, dove poter vivere dignitosamente con una piccola pensione. Inutile dire che la cosa è destinata a scontrarsi con mille difficoltà. Il film è una piccola chicca, scritta ed interpretata con grande finezza, senza stereotipi e manierismi. Snobbato da ogni tipo di premio, lo potete vedere tranquillamente su RaiPlay.
2. Tommaso
In pochi lo sanno, ma Willem Dafoe e Abel Ferrara vivono a Roma ed hanno la cittadinanza italiana. Il regista newyorchese, in particolare, ha avviato una fase della carriera tutta italiana, realizzando lavori (film e documentari) da considerare pienamente appartenenti alla nostra filmografia. Nel corso del 2020 hanno visto la luce due sue pellicole, Tommaso e Siberia. Quest’ultimo ha goduto anche di una distribuzione limitata nelle sale in estate, mentre Tommaso – filmato nel 2019 – è stato mandato in onda in prima visione su Rai 3, per poi essere messo in streaming su RaiPlay. Le due pellicole sono strettamente collegate ed interconnesse, entrambe interpretate da Dafoe, anche se completamente diverse sul piano stilistico. Se Siberia è un viaggio onirico e metafisico, dall’impronta ermetica, Tommaso è un film diaristico, di vita quotidiana, una sorta di Caro diario nevrotico e tormentato. Il film ci ha conquistato per la sua totale sincerità. Tramite Dafoe, Ferrara ha messo a nudo sé stesso, girando il film nel suo vero appartamento romano, con la sua vera moglie e la sua vera figlia, raccontando le sue difficoltà da emigrato e le tensioni interne alla sua relazione. Dafoe recita per gran parte del film in italiano (Siberia invece è completamente recitato nella nostra lingua), riuscendo come sempre ad empatizzare con lo spettatore grazie alle sue grandi qualità di interprete. Il film è interessante e prezioso, uno dei migliori lavori di Abel Ferrara da tanti anni a questa parte. La natura intima del film unita alla sua non distribuzione regolare lo hanno reso un film semi-sconosciuto, che siamo sicuri saprà farsi valere col tempo, come successo a tante pellicole di qualità. Il cinema italiano ha un nuovo e vecchio autore importante tra le sue fila, e non possiamo che esserne lusingati.
1. Volevo nascondermi
Quando Volevo nascondermi uscì nelle sale, era la vigilia del primo lockdown nazionale. Dopo un solo giorno di regolare distribuzione, il film venne messo in stand-by per poi essere riproposto in estate, perdendo l’ondata positiva generata dalla vittoria a Berlino come miglior attore di Elio Germano. Nonostante si sia poi parzialmente rifatto, è davvero un peccato che un film come Volevo nascondermi non abbia potuto godere di una piena fruizione in sala da parte del pubblico, perché si tratta di un capolavoro. Il film di Giorgio Diritti (autore poco prolifico ma prezioso, uno degli sguardi migliori del nostro cinema) ci racconta la vita del grande pittore Antonio Ligabue, personaggio già portato sullo schermo da un magistrale Flavio Bucci nell’omonimo sceneggiato televisivo del 1977, peraltro con successo. Non era semplice andarsi a scontrare con un personaggio – reale e cinematografico – così innestato nell’immaginario collettivo, ma la missione è riuscita oltre ogni più rosea aspettativa. Elio Germano ha dato vita forse alla sua migliore interpretazione in carriera, ottimamente diretto da un Giorgio Diritti – coadiuvato dalla bellissima fotografia di Matteo Cocco, premiata agli European Film Awards – all’apice della sua maturità artistica. Il film ha fatto incetta di candidature ai David di Donatello e parte con i favori dei pronostici. Ai Nastri d’Argento è stato addirittura messo fuori categoria e premiato con il Nastro dell’anno, un riconoscimento simbolico alla qualità globale del film.