I padrini del prog metal. L’unione tra tecnica e melodia. Un quintetto che, nel corso dei suoi quasi quarant’anni di storia, nonostante parecchi cambi di formazione (l’ultimo nel 2010 fu un vero e proprio shock), non smette di catalizzare l’attenzione degli appassionati. Stiamo parlando dei Dream Theater, il gruppo progressive metal originario di Boston nato dalla passione di John Petrucci, chitarrista, John Myung, bassista, e Mike Portnoy, (ex-)batterista, che a fine ottobre 2021 è pronto a pubblicare il quindicesimo album in studio, dal titolo A View From The Top of the World.
Dagli inizi con Charlie Dominici alla voce e un primo album problematico, ma che già dimostrava la caratura tecnica e musicale del quintetto, sino ad arrivare a vere e proprie pietre miliari del genere come Images & Words e Scenes from a Memory, ancora oggi dischi imprescindibili per chiunque ami il genere. Dall’arrivo di Jordan Rudess alle tastiere sino all’abbandono del membro originario Portnoy e l’inizio di una nuova fase con Mike Mangini dietro le pelli. Riscopriamo la carriera dei nostri con le più famose canzoni dei Dream Theater, quelle da ascoltare assolutamente, in ordine cronologico, per meglio apprezzarne l’evoluzione e i vari cambiamenti.
1. Ytse Jam
Il primo album dei Dream Theater esce nel 1989. Sin da subito, il quintetto composto da John Petrucci, John Myung, Mike Portnoy, Kevin Moore (tastiere) e Charlie Dominici (voce) riesce a farsi riconoscere per la tecnica sopraffina utilizzata, ma il disco non riceve l’attenzione che merita a causa di un missaggio non all’altezza che inscatola sin troppo i suoni. Il nostro viaggio tra i brani più famosi dei Dream Theater non può che iniziare da Ytse Jam, un brano strumentale, il primo di una lunga serie, che mette in mostra l’abilità compositiva dei nostri.
2. Only a Matter of Time
Traccia conclusiva del primo disco When Dream and Day Unite, Only a Matter of Time è un brano che presenta nel migliore dei modi lo stile musicale dei Dream Theater. I continui cambi di ritmo, gli assoli di synth e chitarra, un testo, scritto dal tastierista dell’epoca Kevin Moore, di matrice prog sono sono alcuni degli aspetti che il quintetto porterà avanti nel corso della sua carriera. Da sottolineare l’intermezzo strumentale che richiama la composizione classica. Appare quasi naturale che questa sia l’ultima canzone prima di ascoltare quell’esplosione musicale che coglierà tutti impreparati nel 1992 con l’album successivo.
3. Pull me Under
Pull Me Under è l’unico singolo radiofonico vero e proprio della band (qui in versione edit, ma vi consigliamo di recuperare la versione lunga del disco), brano d’apertura di Images & Words, disco del 1992 che non solo ha reso i Dream Theater una delle band più riconoscibili nel panorama metal, ma che è persino considerato come il disco progressive metal per eccellenza. Questo secondo album in studio segna anche il primo cambio di formazione per il quintetto: separati dal cantante Charlie Dominici per divergenze creative, i Dream Theater vedono al microfono il talento di James LaBrie, dalla voce più adatta per il genere che intendono suonare.
4. Take the Time
Take The Time è uno dei brani di punta del disco. Otto minuti che iniziano furiosi, che lentamente si aprono alla melodia, per poi picchiare di nuovo fortissimo. Una vera e propria cavalcata instancabile dove LaBrie dimostra di raggiungere tonalità elevatissime e dove la sezione ritmica risulta irresistibile. Non mancano i duelli tra chitarra e tastiera che, grazie agli assoli, rendono il brano uno dei pezzi più memorabili della band. Da segnalare, verso la metà del brano, un sample preso dal film di Giuseppe Tornatore Nuovo Cinema Paradiso.
5. Metropolis pt.1
Una delle canzoni più famose, se non la più celebre, dei Dream Theater. Metropolis Pt. 1 (il numero nel titolo è stato inserito in tono scherzoso e non era prevista una parte seconda) è tutto ciò che caratterizza il sound della band. Un metal duro, ma melodico, intenso nella tecnica e nell’abilità del suonare lo strumento, senza dimenticare il lato più progressive con scale armoniche e a tratti dissonanti. Forse richiede più di qualche ascolto per entrare al meglio nell’atmosfera futuristica, ma una volta entrati – ne siamo sicuri – non potrete più farne a meno. Qui sopra abbiamo deciso di inserire una versione dal vivo del brano, suonata nel 2011 e con una formazione diversa da quella dell’album.
6. Learning to Live
Non potevano non inserire nella nostra lista uno dei brani di punta di Images & Words. Si tratta della traccia conclusiva, Learning To Live, che nei suoi dodici minuti di durata muta e cambia continuamente, rendendo la durata persino troppo breve. L’epica suite finale sarà uno dei marchi di fabbrica della band, che predilige chiudere i loro dischi con una canzone lunga e memorabile. Obiettivo raggiunto in questo caso: con le note altissime raggiunte dall’ugola di LaBrie e un finale dalle sonorità epiche, Learning to Live consacra il secondo album in studio della band nell’Olimpo musicale.
7. Voices
Il terzo album in studio, dal titolo Awake, è quasi il contraltare del precedente. Più orientato su sonorità dure e cupe, più metal e con un cantato più aggressivo, il disco si dimostra l’altra faccia della medaglia del sound della band (e per questo motivo i fan sono divisi nel preferire questo o il precedente). Voices, parte centrale di una suite in tre parti, contiene un po’ tutta la varietà musicale presente in Awake dando vita a un brano roccioso, ma allo stesso tempo melodico. L’assolo di chitarra di John Petrucci è da brividi.
8. Space – Dye Vest
Un brano enigmatico, misterioso, soffuso. Ultima traccia del disco e ultimo brano composto dal tastierista Kevin Moore che da lì in poi abbandonerà la band. Space – Dye Vest funge da testamento dell’epoca d’oro dei Dream Theater, quella di inizi anni Novanta, la fase della consacrazione. Qui i toni si fanno più essenziali e minimalisti, fino ad esplodere in un climax finale che chiude il disco.
9. A Change of Seasons
Uscita nell’EP omonimo, ma composta all’epoca delle registrazioni di Images & Words, A Change of Seasons è una vera e propria suite prog che raggiunge e sorpassa i venti minuti di durata. Divisa in sette sezioni, legate tra loro da un tema musicale, questo lungo ed emozionante brano vede l’ingresso in formazione di Derek Sherinan, tastierista virtuoso dal sound inconfondibile. A Change of Seasons racchiude nel testo la ciclicità della vita: un modo per esorcizzare e mettere in arte il dolore per la perdita della madre del batterista Portnoy.
10. Peruvian Skies
Peruvian Skies è uno dei brani più apprezzati in sede live, complice la struttura particolare in cui la canzone muta, passando da sonorità più melodiche e rarefatte a un perfetto brano heavy metal. Canzone presente nel quarto album in studio, Falling into Infinity, che rispetto ai predecessori ha un occhio di riguardo verso il rock più commerciale. Non è un mistero che, con le modifiche volute dall’etichetta che richiedeva un disco più accondiscendente verso la massa e l’ingresso del produttore Desmond Child, il disco sia uno dei meno amati da Mike Portnoy.
11. Hollow Years
Una volta si tiravano fuori dalle tasche gli accendini, ora si accende la torcia dello smartphone, ma il gesto non cambia. Hollow Years è il perfetto brano romantico per rallentare i battiti e riprendere fiato. Una vera e propria ballad in cui James LaBrie si dimostra perfetto alla voce e con un assolo di John Petrucci che fa letteralmente piangere la chitarra. Vi proponiamo qui sopra il brano nella bellissima e più lunga (e pure più emozionante) versione live del concerto tenuto al Budokan di Tokyo molti anni più tardi, con una formazione rinnovata.
12. Lines in the Sand
Le direttive per la composizione di Falling Into Infinity non hanno fermato la band a comporre un paio di brani più lunghi e di stampo progressive. Lines in the Sand è l’ennesima cavalcata in cui le tastiere di Derek Sherinan, con i loro singolari suoni, fanno da padrone. A una prima sezione più atmosferica segue un groove che non lascia indifferenti. Anche in questo caso la lunga durata della canzone non pesa minimamente: variazioni e diversi movimenti si susseguono senza sosta, lasciando spazio anche a una pausa in cui la chitarra di Petrucci regala un assolo che si avvicina a sonorità jazz e un gusto melodico degno dei migliori Pink Floyd.
13. Strange Déja-Vu
Il quinto album in studio dei Dream Theater, che vedono di nuovo un cambio di tastierista con l’ingresso di Jordan Rudess, è anche il capolavoro da tutti ricordato. Scenes from a Memory (o anche Metropolis pt.2 , sì, finalmente si è dato un seguito a quel gioco nel titolo del brano di Images & Words) è un concept che racconta una storia divisa in due diverse linee temporali. Strange Déja-vu è il primo brano cantato dell’album, che segue un prologo e un’Ouverture ed è anche la perfetta sintesi musicale dell’intero disco. Anche in questo caso abbiamo prediletto una versione dal vivo del 2014, anni dopo l’uscita del disco targata 1999.
14. Home
Per quanto sia complicato scegliere solo alcune delle canzoni presenti in questo straordinario disco, Home merita un posto speciale. Melodie orientaleggianti si contaminano con un l’heavy metal più duro, per poi aprirsi in un ritornello incredibilmente catchy. La lunga sezione strumentale si conclude con uno sfoggio di tecnica negli arpeggi che ricorda, ovviamente, la sezione strumentale di Metropolis pt.1.
15. The Dance of Eternity
Eccola qui, la canzone strumentale più complessa e difficile della band. The Dance of Eternity è un vero e proprio mostro che tutti guardano con ammirazione e timore. Inizia come una revisione del tema musicale di Metropolis pt.1, per poi dare vita a una libertà compositiva (una danza vera e propria) senza precedenti. Cambi di ritmo tra singole battute, intermezzi ragtime, persino un assolo di basso. Una dimostrazione di forza e di talento che non può lasciare indifferenti.
16. The Spirit Carries On
Tempo di romanticismo e lacrime agli occhi. The Spirit Carries On, inno spirituale con un retrogusto gospel, è una delle ballad più amate della band, tutt’ora cavallo di battaglia in sede live. Se nel brano precedente avevamo conosciuto i Dream Theater come un gruppo musicale estremamente tecnico e “freddo”, con questa canzone scopriamo l’enorme calore e il cuore che anima il loro talento compositivo. Impossibile non commuoversi con l’escalation finale, a partire dall’assolo di Petrucci.
17. Six Degrees of Inner Turbolence
Six Degrees of Inner Turbolence, title track dell’album successivo in due dischi, è una lunghissima suite di 42 minuti, divisa in otto brani, che occupa tutto il secondo cd. A partire dalla lunga ouverture, la canzone ci introduce in una lunga storia di sei persone affette da diverse malattie. Nonostante sia concepita come un’unica canzone, la divisione tra movimenti appare più marcata che in passato, ma tra sezioni orchestrali, brani più metal oriented e aperture più pop (è il caso di Solitary Shell che ricorda Peter Gabriel), si tratta di un pezzo coraggioso e di pregevole fattura.
18. As I Am
Il settimo album dei Dream Theater mostra subito i muscoli e il cambio di tono rispetto al passato con il brano di apertura dal titolo As I Am. Stavolta, il quintetto ha voglia di pestare duro tanto che Train of Thought è il loro disco più metal. Sonorità vicine al thrash metal dei Metallica, un clima oscuro e claustrofobico dove i riff pesanti di chitarra hanno la meglio rispetto alle melodie più solari caratterizzano non solo questa canzone, ma anche tutti i quasi ottanta minuti di musica del disco.
19. In the Name of God
La suite conclusiva di Train of Thought è In the Name of God, canzone lunga che sprigiona tutta la potenza voluta dalla band di Petrucci. Molto orientata sul suono della chitarra, In the Name of God vede un LaBrie sempre più incattivito man mano che il brano procede e una sezione strumentale senza tregua. Nel finale, la canzone si apre finalmente in un clima epico e definitivo che conclude degnamente il pezzo.
20. Sacrificed Sons
La tragedia dell’11 settembre 2001 è alla base del testo scritto da James LaBrie in Sacrificed Sons, penultimo brano dell’ottavo album in studio dei Dream Theater, Octavarium. Si tratta di una delle canzoni più lunghe del disco, che nel corso dei suoi dieci minuti di durata alterna momenti più delicati (specie nell’inizio che tradisce una dimensione tragica e triste) ad altri più pesanti (tra cui un riff di Petrucci davvero spigoloso e potente). Splendide le armonie di Rudess che, con l’uso anche del continuum, costruiscono un tappeto sonoro di forte atmosfera.
21. Octavarium
L’immancabile suite finale del disco dal titolo Octavarium è una vera e propria follia musicale. Un viaggio sonoro che racchiude perfettamente l’essenza del progressive rock, come musica atta a esteriorizzare un percorso interiore. Allo stesso tempo omaggio ai giganti del prog, come Genesis, King Crimson e Pink Floyd, e chiusura ciclica dello stesso album (che, di traccia in traccia, compone un’ottava musicale che qui si chiude e ricomincia, come nelle tastiere del pianoforte), Octavarium è un grandioso pezzo di 25 minuti che non passa inosservato.
22. In the Presence of Enemies pt. 1
https://www.youtube.com/watch?v=miPMbVhJui0
In the Presence of Enemies pt.1 è il brano che dà il via al nono album in studio dal titolo Systematic Chaos. La band è rodata ormai e, con il passaggio di etichetta dalla Atlantic alla Roadrunner Records, anche il suono si fa più duro e metal oriented. Questa prima parte della suite del disco, che per l’occasione è stata divisa in due tracce separate, una in apertura e una in chiusura, per non replicare un’abitudine ormai stanca, introduce benissimo l’ascoltare nel nuovo mondo sonoro più moderno dei Dream Theater. Tecnica e pesantezza al servizio di una canzone che cresce con gli ascolti.
23. Constant Motion
Il singolo dell’album è anche uno dei più diretti e frenetici. In Costant Motion si nota un tentativo di cambiare lentamente genere e tentare un approccio più djent e fresco al genere musicale di appartenenza. Alla voce di LaBrie si aggiunge quella del batterista Portnoy, ormai presente in maniera sempre più insistente come secondo vocalist. Il risultato ha lasciato delusi molti dei fan più attratti dal lato melodico dei Dream Theater tanto da considerare questo album come un esperimento poco riuscito.
24. A Nightmare to Remember
A Nightmare to Remember è uno dei brani più pesanti e violenti della band. Brano d’apertura di Black Clouds & Silver Linings, album tematico che alterna racconti a cavallo tra momenti tragici e solari della vita, questa canzone si divide in tre parti, dove solo quella centrale rallenta i battiti. Sono presenti alcune novità all’interno del brano, come l’utilizzo del theremin per dare la sensazione di un’atmosfera onirica e da incubo, e il blast beat tipico del death metal.
25. The Best of Times
Brano toccante e commovente The Best of Times, scritto da Mike Portnoy in ricordo di suo padre. Un inizio orchestrale lascia spazio alla leggerezza degli accordi della chitarra di Petrucci dando il via a una canzone sul filo dei ricordi. Un primo assolo di violino spezza l’incedere del brano che prosegue su note più solari sino ad arrivare a un lunghissimo ed emozionante assolo di chitarra da far venire i brividi.
26. The Count of Tuscany
Difficile parlare di suite in un disco dove quasi tutti i brani sorpassano i dieci minuti, ma sicuramente The Count of Tuscany con i suoi venti minuti di durata si avvicina alle vecchie tradizioni della band. Violento all’inizio, con tanto di voce “pesante” regalataci da Mike Portnoy, il brano si adagia in una lunga sezione ambient che richiama qualche momento di Echoes dei Pink Floyd, sino a riaprirsi in un climax emozionante e catartico nell’ultima parte. Davvero una delle canzoni più belle dei Dream Theater.
27. On The Backs Of Angels
Quasi in continuità con l’album precedente, nel settembre 2010 scoppia un fulmine a ciel sereno nella band. Il batterista Mike Portnoy, fondatore della band, decide di lasciare il gruppo. I Dream Theater sono costretti a scegliere un nuovo componente (un’eredità difficile visto l’amore dei fan verso Portnoy) e la decisione ricade su Mike Mangini. Per A Dramatic Turn of Events, titolo che descrive benissimo il momento, i nostri cercano un ritorno alle origini lontano dalle sperimentazioni degli ultimi album. On the Backs of Angels è il primo brano presentato e verrà persino candidato ai Grammy Awards.
28. Bridges in the Sky
Anche Bridges in the Sky si dimostra uno dei brani di punta dell’undicesimo album dei Dream Theater. Il canto di uno sciamano apre le danze a un brano ritmato, ma non pesante che ha dalla sua parte un ritornello davvero orecchiabile e memorabile. Come a voler rimarcare uno stile tradizionale, non manca una lunga sezione strumentale in cui gli strumenti si sfidano a colpi di assoli.
29. Breaking All Illusions
Uno dei brani più tipicamente progressive e solari dei Dream Theater, a sottolineare una volta di più come siano tornati “quelli di una volta”. Breaking All Illusions sembra provenire, seppur con qualche soluzione nuova, dagli inizi degli anni Novanta, dai Dream Theater di Images & Words. Una forte componente melodica predomina la canzone che si dimostra uno degli highlights del disco.
30. Beneath the Surface
Rompendo ancora una volta la tradizione, Beneath the Surface è un breve brano che conclude l’album. Quasi unicamente basato su una struttura acustica, dove chitarra e voce, supportate da un tappeto orchestrale si sposano nel migliore dei modi. Un brano essenziale dove spicca un bellissimo e atipico assolo di synth che presenta la sezione finale in maniera emozionante.
31. The Enemy Inside
Ripartire vuol dire riscoprire la propria identità. Nasce così Dream Theater, album omonimo che dà il via a una nuova definitiva fase del gruppo. Stavolta l’apporto compositivo di Mike Mangini trova maggiore libertà (nell’album precedente le parti di batteria erano già scritte attraverso una drum machine e Mangini si è limitato a risuonare) e lo si dimostra in The Enemy Inside, canzone più pesante rispetto all’album precedente che unisce tecnica e alti BPM. Anche stavolta il brano, singolo apripista del nuovo lavoro in studio, verrà candidato come Miglior Brano Hard Rock/Metal ai Grammy Awards.
32. The Bigger Picture
Più arioso e di stampo classico The Bigger Picture, pezzo che rallenta l’adrenalina dei brani precedenti e fa riscoprire una dimensione più orchestrale e melodica della band. Ascoltandolo ci si rende conto di come i Dream Theater stiano iniziando a comporre canzoni dalla durata più classica rispetto al passato, cercando una sintesi nel loro stile e abbassando di misura la sperimentazione e la contaminazione con altri generi.
33. Illumination Theory
Non manca anche in questo caso la suite conclusiva. Illumination Theory sprigiona l’anima della band del 2013, pur mantenendone intatte le caratteristiche che hanno reso i Dream Theater particolarmente a proprio agio con composizioni così lunghe. L’intermezzo orchestrale chiaramente ispirato alla musica di Tchaikovsky è da pelle d’oca: un piccolo movimento sinfonico che commuove e apre le danze a un ritmato pezzo finale che, non è una novità, lascia gli ascoltatori sorpresi ed emozionati.
34. The Gift of Music
Opera divisiva tra i fan, The Astonishing è una vera rock opera in 130 minuti di musica. Difficile, quindi, scegliere delle canzoni particolari, essendo tutte connesse come nella migliore tradizione musical. Il primo singolo è The Gift of Music che mostra i Dream Theater alle prese con una dimensione più semplice e diretta, dai suoni meno duri e più accessibili. In questo brano si presentano i personaggi dell’opera e il contesto della storia: un futuro distopico in cui la musica è bandita.
35. A New Beginning
Dove i Dream Theater hanno deciso di sperimentare in questo tredicesimo album è nella proposta musicale, mettendo da parte il metal più puro e abbracciando di gran lunga la dimensione progressive. A New Beginning, nel complesso del doppio disco, è una della canzoni che spiccano in quanto a originalità (sempre considerando la proposta musicale dei nostri), alternando una dimensione tipicamente operistica a un piacere rock.
36. Our New World
L’hard rock da radio nella sua massima potenza, che diventa inno da arena. Fa strano sentire una band che predilige la complessità e la tecnica divertirsi con un brano così diretto come Our New World. Brano (quasi) conclusivo dell’opera, è una canzone che funziona anche per chi non ama il prog e il metal più duro. Piccola curiosità: il videoclip che trovate qui sopra è stato girato durante le date milanesi del tour.
37. Untethered Angel
Si arriva al quattordicesimo album in studio per i Dream Theater che, quasi come conseguenza dell’immane epopea precedente, decidono di basare il nuovo disco sulla velocità e l’immediatezza. Nasce così Distance Over Time di cui Untethered Angel è il primo singolo. In esso ritroviamo tutto ciò che abbiamo amato della band nel corso della loro lunga carriera. Poche le novità per un lavoro che intende più adagiarsi che sfidare l’ascoltatore. Ciò non toglie che questo primo brano si dimostra una delle canzoni più solide del gruppo, con un ottimo scontro tra tastiera e chitarra, come d’abitudine.
38. Barstool Warrior
Uno dei brani più melodici del disco, Barstool Warrior ricorda i Dream Theater di Six Degrees of Inner Turbolence nel replicare canto melodico, pianoforte e chitarra emozionante. Quasi come a voler ritrovare vecchi fan delusi da The Astonishing, i Dream Theater sfoggiano tutto il loro repertorio più classico dando vita, in ogni caso, a canzoni che risultano, dopotutto, davvero piacevoli.
39. Pale Blue Dot
Non manca il brano ipertecnico e di difficile assimilazione, in chiusura del disco. Pale Blue Dot ci catapulta nello spazio più profondo, in osservazione del nostro pianeta Terra e facendoci riscoprire una band attenta alla composizione più complessa e tecnica. Dal mood oscuro, Pale Blue Dot non è una vera e propria suite, ma l’ennesimo sfoggio di abilità di una band ormai rodata.
40. The Alien
Spazio e tecnica sono gli elementi che contraddistinguono The Alien, primo singolo dell’album numero 15 in uscita a ottobre 2021. Il fill di batteria è solo l’inizio di una furiosa batosta musicale nella quale Mike Mangini mostra i muscoli, suonando la batteria come se avesse il doppio delle braccia. Segue un’apertura più melodica, senza dimenticare la complessità a cui i Dream Theater hanno abituato i loro fan. Particolarmente azzeccata la sezione finale, di forte impatto che dimostra, una volta di più, come a quasi quarant’anni di carriera sul groppone, il quintetto abbia ancora voglia di divertirsi, suonare ed emozionare.